Il tormentone dei voti numerici

Premessa: gli antefatti della nota “Bruschi”

È da molto tempo che alcune Associazioni professionali, particolarmente sensibili all’idea di scuola inclusiva, sollecitano l’abolizione dei voti numerici, utilizzati dai docenti per la valutazione scolastica dei loro alunni. Ho sottolineato l’aggettivo inclusiva per differenziare l’idea di scuola richiesta oggi dalle norme legislative e dalle Indicazioni Nazionali – note ministeriali orientanti l’operato dei docenti per realizzare tali norme – nei confronti dell’idea precedente che possiamo definire elitaria. Il cammino è stato lungo per arrivare ad auspicare una vera scuola che sappia riconoscere “a tutti e a ciascuno” non solo il diritto allo studio ma anche il diritto alla cultura. La svolta epocale è avvenuta, come sappiamo tutti, dopo l’approvazione della nostra Costituzione repubblicana, caratterizzata per l’idea di scuola aperta a tutti, dall’articolo 34 e dall’articolo 3, articolo bellissimo che non finisce di emanare suggestioni e orientamento. Il primo passaggio legislativo determinante è stata l’approvazione della scuola media unica e l’irrompere conseguente della scuola di massa. È stato qui che la valutazione scolastica numerica, in assenza del ri-orientamento dei docenti, da parte del Ministero, nei confronti di tale cambiamento dell’utenza così radicale ma significativo ed auspicabile, ha cominciato a fare danni. Non è questa la sede per ricostruire la storia dell’evoluzione della valutazione scolastica, basti ricordare le critiche sociopolitiche, quelle docimologiche, quelle psicologiche fino a quella pedagogica che ha varato nel 1977 finalmente il concetto di VALUTAZIONE FORMATIVA. Quello che è successo poi, in concomitanza con l’abolizione del voto numerico sui documenti ufficiali, ma non nella mente dei docenti, è analizzato molto bene da Franca Da Re nel numero 200 di Scuola7.

Perché la valutazione numerica è inadeguata

Innanzitutto per un rilievo della Docimologia (scienza della misurazione) per cui il suo utilizzo “presuppone che i voti possano essere considerati vere e proprie unità di misura di una scala perfetta, con intervalli tra loro perfettamente uguali (i docenti questa impossibilità la avvertono e si aggiustano usando i “- “, i “+”, i “1/2” ma spesso non auto-interrogandosi oltre). Ciò ne determina che l’applicazione della valutazione numerica, per noi su scala decimale, sia assolutamente soggettiva ed arbitraria;

-perché il voto semplifica una operazione complessa come la valutazione e la spinge verso la misurazione (con cui non va assolutamente confusa )

– perché sclerotizza una situazione ed ostacola l’apprezzamento del processo di apprendimento: si pensi alle micidiali medie aritmetiche sollecitate fra l’altro dall’utilizzo del registro elettronico;

– perché, di fatto, finisce con l’attribuire all’alunno il mancato apprendimento, senza che avvenga più di tanto il suo coinvolgimento da parte del docente con l’offerta di una attività individualizzata;

-perché non induce l’autointerrogazione del docente sul proprio insegnamento e non sollecita il suo bisogno formativo (la responsabilità del voto negativo è tutta da attribuire all’allievo);

– perché, soprattutto quando è pesantemente negativo, incide sull’autostimasull’autoefficacia e sulla motivazione o demotivazione degli alunni aumentando il rischio di dispersione degli stessi;

-perché non aiuta il processo di autovalutazione degli allievi;

– perché non offre informazioni sui punti forti o sulle lacune utilizzabili dall’allievo per il processo di miglioramento; fa emergere solo gli sbagli (e non gli errori che invece si potrebbero recuperare con una modalità diversa dalla stigmatizzazione)

-perché stimola il confronto inutile e dannoso nel gruppo e tra le famiglie che lo usano per ricavarne una classifica;

perché sollecita un clima di classe competitivo, non positivo e non cooperativo (come sollecitato dalle Indicazioni nazionali vigotskiane) inibendo così l’aiuto reciproco e l’apprendimento tra pari, che poggiano sulla prosocialità.

La delusione del decreto 62/2017

Gli appelli per l’abolizione del voto sono stati numerosi e ben argomentati. Anche la Commissione incaricata dal MIUR di approfondire la questione, in vista del nuovo decreto legislativo, oggetto di una delle Deleghe derivanti dalla L. 107/2015, aveva consegnato al Governo una relazione in cui offriva delle alternative al voto, considerato anche da essa inadeguato. Sembrava che ormai avessimo raggiunto l’obiettivo ma la domanda cruciale da parte di un membro del Governo ha determinato la decisione: ”Ma i genitori cosa preferiscono? (sic) e alla risposta “Ma i voti naturalmente…! E i voti siano“. Lasciamo perdere il facile commento sul costume politico ormai consolidato di prendere le decisioni più sull’onda della ricerca del facile consenso che sull’opportunità psicopedagogica, in questo caso, di un sistema di valutazione adatto all’idea di scuola cambiata nel tempo. C’è da rilevare però il contrasto con il dettato della delega che chiedeva fosse dato “rilievo alla funzione formativa e di orientamento della valutazione stessa” e questa decisione onestamente troppo frettolosa e stridente. A dire il vero il termine “formativa” compare anche nell’articolo 1 del decreto ma si capisce subito che il valore semantico di questo termine che, per gli addetti ai lavori connota in modo molto preciso e inequivocabile un tipo di valutazione che non può poggiare sui voti, è stato usato dal legislatore con un significato generico.

Si riaprono i giochi

Tra gli effetti del coronavirus e il conseguente lockdown, l’interruzione inaspettata della scuola, la devastante clausura dei bambini e la chiacchieratissima DAD – con il risultato doloroso della inequivocabile emarginazione dei soggetti più deboli, spesso senza possibilità di connessione per svariati motivi – è scaturita la necessità di porre mano anche alla valutazione. Nel frattempo si sono moltiplicate le petizioni da parte delle varie Associazioni professionali e sindacali allo scopo di approfittare di questo spiraglio legislativo per correggere il tiro, rispetto al recente decreto n.62, che aveva invece inaspettatamente confermato i voti numerici.

La Legge n.41 del 6 giugno 2020, che ha convertito il Decreto Legge n.22 dell’8 aprile 2020, uscito nella situazione di emergenza, ha recepito infatti un emendamento votato in Parlamento e presentato da una rappresentante della maggioranza. Questo emendamento, riportato anche da Franca Da Re, recita:

“In deroga all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 2017,n.62, dall’anno 2020/2021, la valutazione finale(neretto mio) degli apprendimenti degli alunni delle classi della scuola primaria, per ciascuna delle discipline di studio previste dalle Indicazioni nazionali per il curricolo, è espressa attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione e riferito a differenti livelli di apprendimento, secondo termini e modalità con ordinanza del Ministro dell’istruzione”.

A dire il vero questa era sembrata ai più una vittoria a metà in quanto ci sembrava che il vero passo avanti ci sarebbe stato se tutta la scuola dell’obbligo, o almeno il primo ciclo, avesse potuto usufruire di tale cambiamento. Ci siamo però accontentati.

La doccia fredda

Una nota emessa dal MI il 1 settembre a firma M.Bruschi, interviene però a gamba tesa ad interrompere la soddisfazione per il risultato ottenuto, sia pure parziale. La succitata nota invalida per il primo quadrimestre della scuola primaria la valutazione attraverso l’uso di giudizi descrittivi e ripristina i…voti, rimangono i giudizi solo nel risultato finale. Cosa è successo? Semplicemente che il capo Dipartimento dottor Max Bruschi – già noto al mondo della scuola per essere stato il consigliere del ministro Gelmini per il ripristino dei voti nel 2008 – ha emanato una nota che in sintesi afferma questo.

Bruschi recentemente promosso dalla Ministra Azzolina al posto della dott.ssa Palumbo, tornata a dirigere l’USR del Veneto, applicando una analisi prettamente letterale dell’emendamento, invece di cercare di cogliere lo spirito della legge, ha fatto uscire dallo sfondo il termine finale nell’emendamento ed ha così stravolto l’intenzione di chi l’emendamento l’ha steso e di chi l’ha votato al Parlamento.Come è possibile pensare e poi sostenere che nel primo quadrimestre si utilizzino i voti e nella valutazione finale i giudizi? Dal punto di vista logico, ma non politico, semmai potrebbe essere sostenuto solo il contrario. Il dottor Bruschi, una volta fatta questa analisi occhiuta dell’emendamento, secondo me doveva segnalarlo alla Ministra che doveva provvedere in tempi brevi, sollecitando quelle modifiche che potranno intervenire in sede legislativa, come si evince dalla nota stessa, non allarmare i Dirigenti presi in questo momento dai problemi seri della Scuola.

Le proteste

Non ha fatto infatti un buon servizio alla Scuola stessa questa nota che è deflagrata proprio alla vigilia della sua riapertura, con docenti, dirigenti, genitori, amministratori locali e cittadinanza tutta in fibrillazione. Non ha fatto un buon servizio alla ministra Azzolina da tempo nell’occhio del ciclone…

Sono subito infatti partite le proteste da parte della Associazioni professionali e sindacali. Anche l’A.N.DI.S., l’Associazione Nazionale dei Dirigenti Scolastici, ha emanato un comunicato stampa in cui appalesa il suo stupore insieme al disappunto. Il Movimento di Cooperazione Educativa – conoscendo i tempi burocratici e non solo – oltre alla protesta si spinge oculatamente a dare suggerimenti alle Istituzioni scolastiche perché provvedano autonomamente in qualche modo a correggere questo paradosso increscioso.

Auspichiamo una resipiscenza ed un esempio

Sarebbe auspicabile che, all’interno della rivisitazione delle modifiche in via legislativa, accadesse una resipiscenza a livello politico-ministeriale e che, magari per risarcire la Scuola per questo disagio in più – non previsto e nemmeno prevedibile – si raggiungesse l’auspicato risultato di eliminare la valutazione su scala numerica decimale da tutta la scuola, almeno del primo ciclo.

Le ragioni sono state espresse: basterebbe accettare la fatica di riflettere e di innovare. Non è questo forse che da tempo i vari Ministri della Istruzione raccomandano a gran voce? Il pensiero riflessivo ed innovativo sono le bussole anche dei testi della Indicazioni nazionali. Facciamo in modo di dare l’esempio: che le prediche diventino anche le pratiche.

Prendiamo due piccioni con una fava: iniziamo l’insegnamento dell’educazione civica con un bell’esempio di ETICA PUBBLICA all’interno della P.A, operando perché il dichiarato diventi l’effettivo.