DALLE MINIGONNE ALLO STEM: Più Mafalda e meno Barbie

Storie di diritti

Non so se è stata una coincidenza ma si sono mosse insieme le femministe francesi – particolarmente infuriate, per degli insulti rivolti da 3 giovani ad una ragazza perché portava la minigonna – e le ragazzine nostrane del Liceo Socrate di Roma, alle parole della Vicepreside incauta che ha loro raccomandato di vestirsi adeguatamente perché ai prof. “cade l’occhio”. Ma le notizie sono ormai datate, io desidero tornarci per alcune considerazioni a latere, secondo me, importanti, che travalicano il gossip, le minigonne, l’ombelico scoperto e le magliette scollate e gli “occhi che cadono”. A proposito di tali fatti ricordavo recentemente su FB che la rivendicazione della minigonna risale agli anni 60. Non è a questo naturalmente che si riferiscono sia le femministe che le ragazzine. Si riferiscono ai loro diritti conquistati attraverso le lotte per l’emancipazione femminile. O per essere più precise, e non è cosa da poco, alle conquiste che noi donne di una certa età abbiamo espugnato, strappandole “a lacrime e sangue”, al conservatorismo maschilista offrendole poi alle nuove generazioni su di un piatto d’argento.

Il vessillo (strappato) dell’emancipazione

PER questo motivo che noi siamo rimaste molto deluse quando, di fronte alla opportunità di rivendicare conquiste molto più significative, proprio perché avanzate di fronte o all’interno della Scuola, le ragazze del liceo si sono fermate alla minigonna. Minigonna come vessillo di emancipazione.

Scrivevo che mi sono cadute le braccia. Dopo anni di militanza per il raggiungimento di traguardi importanti (che in epoca attuale di regressione culturale, potrebbero essere o meglio sono a rischio,) ; dopo decenni di altrettanta dedizione finalizzata al raggiungimento delle Pari Opportunità donna –uomo; dopo innumerevoli corsi di formazione tesi alla realizzazione di identità di genere il più possibile scevre da stereotipi e pregiudizi – con attenzione e sensibilità sia per femmine e maschi, fin dalla più tenera età; dopotutto questo ed altro ancora, nel 2020 scopriamo che ciò che diventa essenziale è rivendicare il diritto di entrare a scuola in minigonna.

Il dress code dell’istruzione

Si citavano prima conquiste molto più significative di quelle di vestirsi come pare e piace. A questa estrema libertà abbiamo invocato il limite del rispetto riferito alla Istituzione Scuola non perché “l’occhio cade” ma perché lo Spazio della Cultura e dell’Istruzione, dove si formano le nuove generazioni alla Cittadinanza, va salvaguardato e riconosciuto anche a livello simbolico. L’ho definito altrove un SACRARIO LAICO. Che nessuna/o però SI AZZARDI ad accennare – se poniamo dei limiti di rispetto nei confronti del modo di vestirsi per accedere alla Scuola – che questa raccomandazione presuppone o giustifica allora la famigerata frase “Se l’è voluta” che usano le retrovie del maschilismo, o le assimilazioni ad esso, per scagionare le aggressioni sessuali. Solo chi non capisce l’importanza della Scuola può farsi balenare tale stramberia!

Orientamento S.T.E.M. ed altri obiettivi

Ci aspettavamo, dicevo, rivendicazioni di AUTOREALIZZAZIONE senza tentennamenti o esitazioni; che dichiarassero a gran voce che loro sfidano gli stereotipi e che sanno scegliere orientamenti universitari STEM – scienze, tecnologia, ingegneria, matematica (un tempo frequentati solo al maschile); che nei loro sogni ci sono scalate a posizioni apicali e a voler intaccare perciò il soffitto di cristallo (che persiste sopra le teste delle donne, su cui camminano gli uomini di potere); che affermassero che non hanno nessuna intenzione di fare gli angeli del focolare o che non è scritto da nessuna parte che per essere pienamente donna bisogna anche essere moglie e madre; che hanno dei progetti grandiosi di fare le ricercatrici o le scienziate e di viaggiare per conoscere il mondo; che desiderano specializzarsi in qualche branca della medicina per aiutare i paesi sottosviluppati; che amano l’arte e ad essa desiderano dedicare la loro passione; che adorano Virginia Woolf e che vogliono una stanza tutta per loro….

Questo ci aspettavamo ed altro ancora, non solo che battagliassero per rivendicare il diritto alla minigonna. Ci chiediamo cosa è successo negli ultimi vent’anni o giù di lì…

Il lolitismo e la commercializzazione dei corpi acerbi

Il lolitismo non è solo un fenomeno letterario. Tutti siamo in grado di osservare, anche se facciamo un po’ di fatica ad ammetterlo, che esiste un tipo di “lolitismo” agito che consiste in una modalità femminile, oggi addirittura pre-adolescenziale di seduttività (più o meno in-consapevole?), quasi ritualizzata, che viene messa in atto da ragazzine giovanissime, quasi bambine, naturalmente o per imitazione da contagio, per saggiare il proprio”potere” di uscire dallo sfondo ed attrarre (condurre a sé) i soggetti di sesso maschile.

Un potere molto forte perché le ragazze, di fronte ai loro coetanei, non solo possono contare su di un notevole vantaggio biologico che le matura prima ma, in parte per questo e in parte per il fatto di godere dei frutti dell’emancipazione femminile, possono vantare una notevole sicurezza. Stiamo attente però perché questa sicurezza non può diventare sicumera ma deve tener conto, come richiesto per tutte/i, donne e uomini, dell’ETICA DEL LIMITE.

È stata una trasmissione della TV commerciale di canale 5, nel 1991, dal titolo “Non è la Rai”, a spalancare una finestra su un mondo di preadolescenti, dall’espressione ingenua ed insieme ammiccante. È stata inaugurata così l’importanza dell’apparire e della sessualizzazione dei corpi acerbi. Lo spettacolo, che ha avuto un notevole successo, si svolgeva di fronte a bambine, teenager e uomini di tutte le età.

I media e il loro peso

Si dice che ai MEDIA venga attribuita una grande importanza in qualità di costruttori di realtà sociale perché rendono più visibile e quindi rafforzano o inaugurano determinati comportamenti sociali e di certe categorie. Ugualmente gli stessi media, con le medesime modalità, ne celano altri o li mettono in secondo piano, decretando così una vera e propria gerarchia di valori. A proposito di come le TV, non solo commerciali ma anche di servizio pubblico, hanno inciso ed ancora incidono sui costumi influenzando una certa identità femminile, cito le parole sferzanti di E. Gianini Belotti nella prefazione del testo di Ancora dalla parte delle bambine di Loredana Lipperini.

“Si ritorna con la massima disinvoltura a ridurre il soggetto di genere femminile ad un assemblaggio di pezzi di carne privo di umanità, di intelligenza, dignità, volontà, consentendogli l’unico obiettivo di piacere all’uomo e di conquistarsi con ogni mezzo il “principe azzurro”, ribadendo una dipendenza psicologica e affettiva dal maschile che cancella ogni altro progetto di vita e conduce ad un insensato sperpero di se stesse”.

Cuore di mamma…

Desidero anche ricordare ciò che Loredana Lipperini ha scoperto, e riportato nel suo libro prima citato, entrando nei blog delle madri delle tredicenni che alla domenica vanno in discoteca, che sono loro che spingono le figlie a partecipare ai vari concorsi – per diventare veline o meteorine o fare comparsate in TV o di bellezza – non perché pensino che in quei contesti le ragazzine possano realizzare le loro attitudini ma perché lì…circolano gli uomini con i soldi!

A questo punto allora spesso ricordo alle ragazze e ai ragazzi, quando vado a fare formazione contro la violenza sulle donne e sull’identità di genere: “Fate attenzione perché stiamo regredendo alla grande”. Mia madre, che era del 1896 (avete capito bene!), raccomandava a me e a mia sorella: come minimo un diploma perché l’autonomia economica per una donna è fondamentale!

Non dobbiamo però essere pessimisti e non dobbiamo pensare che le madri così siano molte. Stiamo però tutti attenti perché se la Scuola non si occupa dell’identità di genere di ragazze e ragazzi (comma 16 L.107/2015) e non mette in atto una relazione di aiuto a crescere, questo vuoto potrebbe essere riempito dai media e dai suoi modelli!

A partire dalle bambole

Ad un certo momento l’inflazione delle bambole Barbie o Bratz, rivolte alle bambine fin dalla più tenera età, ha provocato giustamente la contestazione da parte delle femministe. È stato criticato il loro aspetto sexy, il vitino di vespa, il seno prosperoso o le labbra a “canotto”, costituenti dei modelli femminili stereotipati, innanzitutto irraggiungibili ma soprattutto raffiguranti una identità femminile di totalizzante seduttività. La casa produttrice delle Bratz, sull’onda di queste critiche, in collaborazione con l’artista Wendy Tsao, ha “struccato” le sue bambole per dare loro il volto di immagini femminili importanti, sicuramente non superficiali, come Frida Kahlo (l’artista messicana, icona internazionale di donna forte, caparbia, indipendente e rivoluzionaria) o Malala Yousafzai (la famosa adolescente pakistana, salvatasi dall’attacco mortale dei fondamentalisti, sferrato perché difendeva l’istruzione come bene essenziale per tutte le ragazze, premio Nobel per la Pace nell’anno 2014). Non sarà molto ma a qualcosa servirà. Sperando che le madri ne capiscano l’importanza e non continuino a vestire le loro bambine invece che con la tuta, perché possano giocare più libere, con la vezzosa gonnellina di tulle a palloncino e le scarpette (a sei anni!) con la zeppa!

Approfitto dell’attualità per rivolgere un grato pensiero a chi è mancato in questi giorni: Quino, il papà di Mafalda! La bambina terribile, esempio di LIBERTA’ E AUTODETERMINAZIONE.

Finisco perciò con uno slogan: più Mafalda e meno Barbie!

Eravamo partiti dalle minigonne o mi sbaglio? Beh, cosa c’entrano?