Perché i giovani non rispettano le regole?

L’esperienza sociale della scuola

Far rispettare ai giovani regole e disciplina sembra rappresentare oggi uno dei maggiori e più diffusi problemi lamentati da genitori e insegnanti. Buona parte dei ragazzi ha difficoltà non solo ad introiettare emotivamente le norme di comportamento sociale, ma anche ad inserirle in modo permanente nel proprio ventaglio di azioni e ad autoregolarsi rispetto ad esse.

Ma per quale motivo alcuni ragazzi non ce la fanno a rispettare le regole o, comunque, ne sono insofferenti?

La scuola rappresenta per loro un’importante esperienza sociale perché è l’ambiente di vita in cui le abilità comunicative dei ragazzi si arricchiscono in forza delle maggiori occasioni di contatto con i coetanei: l’appartenenza al gruppo dei pari, con i quali hanno l’opportunità di compiere nuove esperienze, diventa per loro un bisogno perché il gruppo si delinea come luogo di confronto, di scontro, di discussione, di valutazione delle proprie capacità. Ma la convivenza, soprattutto nelle istituzioni scolastiche, presenta loro nuove sfide: capire il punto di vista dell’altro, collaborare con i compagni, frenare gli impulsi aggressivi, imparare a difendersi quando occorre. Sfide talora difficilmente superabili da condurre all’esordio di litigi e tensioni, peraltro, normali durante la fase della crescita: il ragazzo ha il diritto di vivere il conflitto o il litigio perché ciò rappresenta per lui una specifica forma di apprendimento per l’acquisizione di regole sociali; è nel conflitto che egli impara ad arginare il proprio egocentrismo, a controllare la propria irruenza e a riconoscere il senso del limite nella presenza degli altri, siano essi adulti o coetanei.

Trasgredire … come passare oltre

I ragazzi sanno che per poter soddisfare l’innata propensione di ciascuno alla socialità hanno bisogno di regole di comportamento come espressioni del diritto di ‘essere’ di ciascuno in un gruppo sociale. E ne reclamano la necessità per poterle infrangere, per vedere fino a che punto possono spingersi, per contrastare il sistema valoriale conosciuto. La trasgressione è una caratteristica fisiologica del percorso di crescita, in cui il rapporto con le regole educative e sociali viene rivisitato: per poter crescere un ragazzo deve mettere in discussione e disancorarsi dagli schemi pregressi e dalle regole che gli adulti gli hanno fino a quel momento impartito. Trasgredire, nel senso etimologico del termine (dal latino transgredior = passare oltre), significa infatti andare avanti, superare preesistenti piani di comportamento per esplorare, sperimentare nuovi contesti e acquisire nuovi modelli, alla ricerca della propria adeguatezza personale e sociale.

E’, quindi, tipico di ogni ragazzo andare oltre le regole conosciute e prenderne le distanze per differenziarsi, rendersi autonomo, esprimere la propria unicità, ma anche per conferire una misura ai propri limiti e valutare come e quando valicarli. E’ necessario, quindi, fissare dei paletti, perché sono proprio quei vincoli che vanno a strutturare l’Io consentendo al giovane di uscire da quella fase di onnipotenza che fa di lui una persona ‘illimitata’.

I ragazzi, però, oltreché di limiti necessitano anche di confini capaci di salvaguardare la loro sicurezza e tutelare la loro protezione. Ne hanno bisogno per testare la tenuta del sistema familiare, per misurare la coerenza dei genitori e la loro capacità di garantire un contenimento sano e sicuro: le regole e i NO sono fondamentali nella crescita di un soggetto, favoriscono lo sviluppo del senso morale e soprattutto aiutano a tracciare i confini psichici, perché laddove non ci sono confini o c’è troppa fragilità, si manifestano disagi e inquietudini, se non addirittura disturbi della personalità.

Legami stabili e nuove esperienze

I ragazzi devono crescere con la consapevolezza di un legame stabile con i genitori in modo da potersi esprimere sapendo di essere sostenuti da un adulto che fa loro da guida, che porge loro la mano quando occorre e li incoraggia a camminare da soli quando necessario: essi hanno bisogno di un porto sicuro dal quale muovere i primi passi per tentare di salpare, osare, mettersi al timone della vita. I rapporti con i coetanei contribuiscono in modo sostanziale allo sviluppo delle competenze sociali, ma la mediazione dell’adulto resta comunque necessaria per far sì che il ragazzo si adegui alle regole di comportamento dettate dal gruppo dei pari e dal mondo societario.

Le regole non piacciono, rappresentano la continua rievocazione della dipendenza e del limite, e i limiti sfidano, saggiano e affaticano, ma soprattutto gli adolescenti, ignari di se stessi e affamati di identità, hanno più che mai bisogno di norme, ossia di stabilità e di sostegno, quindi necessitano della presenza, forte e delicata, vigile e discreta degli adulti. E’ importante, quindi, che i genitori siano tanto flessibili da saper accogliere, sia le loro richieste di autonomia, sia quelle di protezione e di contenimento adattandosi ai bisogni sempre nuovi dei figli che crescendo adottano procedure diverse per esprimersi e relazionarsi con il mondo degli adulti.

Costruire il senso delle regole

Altrettanto importante è impartire il giusto insegnamento: a differenza della punizione che implica l’idea di sofferenza, la disciplina racchiude in sé il concetto di educazione, come modalità per aiutare i giovani a diventare maturi e indipendenti, a farsi carico della loro vita e ad affrontare responsabilmente il loro domani. Importante è anche la congruità con cui genitori ed educatori affrontano il rispetto delle regole: facendo rispettare elementari regole di buona convivenza e di rispetto reciproco all’interno del nucleo familiare, si realizza nel ragazzo la prima socializzazione con la norma, ma i genitori devono in primo luogo fornire l’esempio ed essere rispettosi verso gli altri. Perché i giovani ci guardano e ci ascoltano: se le regole fissate sono molte, perdono di valore; se sono poche ma vengono rispettate innanzitutto dai genitori, hanno sicuramente più pregnanza.

Il motivo per cui un ragazzo non rispetta le regole che il genitore considera fondamentali è da ricercare nel fatto che, o gli sono state imposte, o non sono state esplicitate con chiarezza, essenzialità e ragionevolezza, oppure perché egli non ne riconosce l’utilità. Se si riuscisse, invece, a connettere la dimensione conoscitiva con quella orientativa e fosse ben chiara la meta verso cui indirizzarle, la conoscenza delle regole non si ridurrebbe, né ad una serie di richiami moralistici, né ad un elenco di prescrizioni per una corretta riuscita delle relazioni interpersonali: le istruzioni non dicono nulla del perché debbano essere rispettate né della finalità cui sono orientate.

Le regole come frutto di un processo partecipato

Le regole dovrebbero essere il risultato di un lavoro di partecipazione e condivisione tra genitori e figli, in cui ognuna delle parti avanza proposte per arrivare ad una conclusione condivisa, attraverso lo sforzo di entrambi. Si tratterebbe, quindi, di coinvolgerli nel fissare preventivamente accordi e condizioni, esplicitandone le motivazioni e illustrandone concretamente le conseguenze, e poi concedere loro la possibilità di scelta assumendosene ogni responsabilità, facendoli anche imbattere nelle conseguenze delle loro azioni.

Le stesse dinamiche dovrebbero essere attivate anche nel contesto scolastico. Qui il dialogare, il confrontarsi apertamente con l’altro è essenziale per condividere le proprie idee e attivare la pratica della partecipazione attiva e critica, perché nessuno, senza confrontarsi con le prospettive altrui, può comprendere e governare adeguatamente la complessità del mondo che lo circonda: il contesto nel quale viviamo diventa comprensibile e ordinabile solo con regole condivise, confrontandoci criticamente e mettendo in comune il nostro con i punti di vista altrui.

Dalle regole della classe al codice morale

Fermo restando che il compito della scuola, oltreché istruire è anche quello di educare, educare nel senso etimologico del termine (dal latino ex ducere = trarre fuori) significa promuovere nei ragazzi la consapevolezza che ogni azione specificamente umana è orientata da valori e guidata da norme. Da qui, la necessità che la scuola non solo induca i ragazzi a riflettere sui propri comportamenti a partire dal contesto classe, e sull’importanza di individuare regole o norme che disciplinino la loro adeguatezza, ma che promuova in loro lo stimolo alla riscoperta e all’introiezione di valori condivisi, che saranno poi le regole interne, gli ideali regolativi, il codice morale dei loro futuri riferimenti comportamentali. In altri termini, il rispetto, o meglio l’interiorizzazione, delle regole che stanno a presidio dell’efficienza di un’istituzione scolastica, rappresentano l’humus sul quale si innesterà poi il rispetto delle norme di legge, come personali contributi ad una pacifica convivenza civile.

La scuola e la tenuta emotiva delle persone

E’ anche vero che, dato il carattere “liquido” (Z.Bauman, Modernità liquida, Roma-Bari, Laterza, 2002) della società contemporanea, una società complessa, polimorfa e in continua evoluzione, le situazioni in cui i giovani si trovano ad operare si modificano prima ancora che si siano diffusi, nella coscienza collettiva, i processi di adattamento psicologico adeguati all’entità delle trasformazioni, e quindi prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e regole. La crisi epocale che attraversa le nostre vite sembra mettere a dura prova la ‘tenuta emotiva’ delle persone: il mondo giovanile, in particolare, è il sensore più acuto della durezza di questa sfida. Navigando in questo mare di instabilità i giovani, che sono al timone della vita, non sono in grado di governare la rotta per lungo tempo, per cui non riescono a concretizzare i propri risultati in beni duraturi, perchè le condizioni in cui operano e le strategie che formulano in risposta a tali condizioni, invecchiano rapidamente e diventano obsolete prima ancora che abbiano avuto la possibilità di essere apprese correttamente ed assurgere ad abito mentale, a principio regolatore di coscienza. Agli educatori-nocchieri, dunque, il compito di tracciare le nuove rotte della convivenza solcando, al fianco dei ragazzi, le onde dell’accoglienza, del rispetto, del confronto, ma soprattutto del dialogo.

L’educazione emotiva dei giovani

La richiesta educativa, anche se non sempre esplicitata, è oggi più che mai quella del dialogo che, sostenuto dal pensiero critico, facilita sia l’incontro delle differenze salvaguardando le reciproche alterità e peculiarità individuali, sia il confronto sereno e costruttivo con gli altri. Solo con il dialogo la scuola può affrontare con matura competenza i turbamenti caratteristici della crescita. Dotati di una straordinaria debolezza emotiva, i giovani vivono e comunicano solo emozioni. La condivisione delle emozioni costituisce un elemento centrale nella loro vita di relazione: la loro socialità, confusa, disordinata, imprevedibile, instabile, si alimenta di emozioni.

Per loro è essenziale sapere di essere riconosciuti e compresi: ascoltare i ragazzi, dialogare e far capire loro che comprendiamo le loro emozioni, li aiuta ad accrescere nella loro autostima, perché in questo modo essi si sentono valorizzati e ciò li stimola a sviluppare un sano concetto del Sé. Aiutarli, quando si sentono arrabbiati, a riflettere e a capire perché e cosa vorrebbero fare, rappresenta un buon punto di partenza per iniziare a prendere dimestichezza con le proprie emozioni; sollecitarli ad esprimere senza remore i propri turbamenti e desideri, li agevola a scoprire le occasioni giuste e le parole adatte per esprimere ciò che sentono, e quindi a scaricare la tensione.

Il valore del dialogo a scuola

Dialogare con gli altri valorizza l’interazione faccia a faccia e, dunque, la partecipazione dell’Io come elemento di una comunità. Ma anche il dialogare con se stesso è altrettanto utile per ogni ragazzo, per comprendere la realtà che lo circonda e la sua posizione in essa, per acquisire consapevolezza delle dinamiche di mutamento che lo attraversano, e provare ad interpretarle.

Purtroppo, accade spesso che il contesto plurale proprio di una comunità scolastica sia scarsamente valorizzato in funzione dialogica: le cosiddette discussioni di classe, pur essenziali allo sviluppo della capacità di pensare, risultano praticate raramente nei contesti scolastici.

Relativamente a questo riscontro, si tratterebbe di allestire ambienti di apprendimento come contesti dialogico- collaborativi dove gli studenti fossero chiamati a confrontarsi su questioni aperte, con l’invito ad esercitare un pensiero libero e creativo: una scuola, animata dalla cultura del dialogo, tesa al confronto sereno e costruttivo con gli altri, è una comunità che assume come fulcro la partecipazione ad una costruzione condivisa della vita democratica.

In questa prospettiva la scuola è chiamata ad indirizzarsi verso un orizzonte proattivo nei confronti del benessere sociale degli studenti strutturandosi come comunità di dialogo dove si pratica il pensare insieme, dove i ragazzi possano esercitarsi al confronto, alla discussione, all’esprimere dubbi, al sollevare questioni, al mettere alla prova ipotesi di pensiero, al negoziare punti di vista per poter giungere a costruire insieme teorie ragionevoli così da sviluppare quelle buone pratiche che sono essenziali per sostanziare una vita autenticamente democratica.

Lo sviluppo del pensiero critico

Discutendo insieme mettono in gioco le proprie idee, individuano le ragioni di quanto vanno dicendo per argomentare in modo fondato le proprie asserzioni, e imparano a pensare. La capacità di pensare non è qualcosa che si riceve attraverso un processo di scambio di informazioni, ma si costruisce argomentando dialogicamente con gli altri. Da qui la necessità di un’educazione al pensiero critico, in modo da indurre i giovani a saper controllare il loro pensiero prima di esporlo, saper mutare parere senza sentirsi sconfitti appena si accorgono di non aver ragione, saper rifiutare i punti di vista assoluti, saper sottoporre ogni presunta certezza al vaglio del rigore e della ragionevolezza in modo da non dare mai nulla per scontato fino a prova contraria, saper rispettare le idee degli altri anche quando non sono inquadrabili nelle proprie idee mentali.

Le regole nella concretezza della pratica quotidiana

In conclusione possiamo affermare che offrire un orientamento, indicare una direzione significa proporre delle regole da seguire. Regole che vanno individuate, stabilite, condivise, ma soprattutto accompagnate dalla concretezza della pratica quotidiana per educare ad una libertà che non scada nell’anarchia né risulti minata dall’egoismo. L’idea di libertà, quale “nutrimento indispensabile al l’anima umana” (S.Weil, La prima radice,1949), non rimanda all’assenza di limiti, ma si definisce e si realizza proprio a partire da un limite. Ne consegue che il proponimento di genitori e insegnanti è di adoperarsi affinché la regola, la norma, la legge torni a svolgere quella funzione di principio regolatore dei comportamenti umani che, ponendo un limite al godimento illimitato, rappresenti l’unica via perseguibile per poter tornare ad inseguire il desiderio di un qualcosa che meriti di essere tenacemente conquistato.