I dati sulle iscrizioni

Oltre la crisi dei professionali, ripensare il secondo ciclo

Crescono i Licei diminuiscono i professionali

Il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato i dati sulle iscrizioni per il 2021-2022. Si conferma in modo vistoso l’aumento delle iscrizioni nei Licei, che arrivano al 57,8% degli iscritti (dal 56,3% dell’anno scorso). Tra gli Istituti, i Tecnici sono in lieve calo, con il 30,3% (dal 30,8%), mentre è sempre grave la crisi dei Professionali, che arretrano pesantemente, scendendo all’11,9% (dal 12,9%). Dentro i Licei, il Classico è più o meno stabile al 6,5% (dal 6,7%). Lo Scientifico è il più scelto, in aumento al 26,9% (dal 26,2%): diminuisce l’opzione tradizionale, 15,1% contro il 15,5% dell’anno scorso, cresce di molto l’opzione Scienze applicate, 10% contro l’8,9%. Cresce parecchio il Liceo delle Scienze Umane, dall’8,7 dell’anno scorso al 9,7% di quest’anno: al suo interno, è in aumento in particolare l’opzione Economico-Sociale, dal 2,7 al 3,2%; è in leggero calo il Linguistico con l’8,4% (dall’8,8), mentre cresce l’Artistico dal 4,4% al 5,1%. Tra i Tecnici il Settore economico scende dall’11,2 al 10%, mentre cresce il Settore tecnologico dal 19,6% sale al 20,3%. Non ci sono dati disaggregati per i Professionali.

Le tendenze dalla riforma ordinamentale del 2010

Per valutare questi dati, è opportuno dare un’occhiata alle tendenze dal 2010-2011, cioè da quando è in vigore l’ordinamento Gelmini. L’unica serie continua dal 2010 a oggi è quella del Servizio Statistico del MIUR (ora MI), che pubblica ogni anno a maggio o giugno una sintesi complessiva dei dati sulle iscrizioni. I dati di questa serie non corrispondono a quelli che vengono resi noti di solito a gennaio o febbraio, con un comunicato stampa: sia perché questi ultimi sono provvisori, mentre i primi sono definitivi, sia perché dal 2015 nei comunicati stampa non vengono più calcolati, tra gli iscritti ai Professionali, gli iscritti ai corsi di Istruzione e Formazione Professionale in sussidiarietà complementare. La serie dei comunicati stampa, inoltre, è ricostruibile solo a partire dal 2012, mentre quella del Servizio Statistico nei primi due anni (2010-2011 e 2011-2012) riguarda solo le scuole statali. Purtroppo però, quella del Servizio statistico non è disponibile per l’anno scolastico 2020-2021, ma si ferma al 2019-2020.

Le due tabelle qui sotto ricostruiscono le due serie.

Tabella 1

Distribuzione percentuale degli alunni iscritti al primo anno nelle scuole secondarie di secondo grado statali e paritarie, secondo gli ordini di scuola.

Fonte: Pubblicazioni del Servizio Statistico del MIUR.

a.s.2010-11*2011-12*2012-132013-142014-152015-162016-172017-182018-192019-20
L46,249,247,448,949,850,952,053,453,954,6
T31,732,131,031,230,830,530,530,430,931
P22,118,721,6(1)19,9(1)19,4(1)18,6(1)17,5(1)16,2(1)15,2(1)14,4(1)

L = Licei; T = Tecnici; P = Professionali

* solo statali

(1) Comprende anche i corsi IeFP in sussidiarietà complementare.

Tabella 2

Distribuzione percentuale degli alunni iscritti al primo anno nelle scuole secondarie di secondo grado statali e paritarie, secondo gli ordini di scuola.

Fonte: Comunicati stampa del MIUR (ora MI) a conclusione delle iscrizioni.

a.s.2012-132013-142014-152015-162016-172017-182018-192019-202020-212021-22
L47,449,050,151,953,154,655,355,456,357,8
T31,031,430,830,530,430,330,731,030,830,3
P21,6(1)19,6(1)19,1(1)17,616,515,114,013,612,911,9

L = Licei; T = Tecnici; P = Professionali

(1) Comprende anche i corsi IeFP in sussidiarietà complementare.

Nonostante la parziale disomogeneità dei dati, alcune tendenze sono evidenti:

1) un constante aumento degli iscritti nei licei, soprattutto dal 2014-2015, con una marcata accelerazione quest’ultimo anno;

2) una certa stabilità dei tecnici, che si aggirano sempre tra il 30,5 e il 31%; tuttavia, si notano dei preoccupanti segni di flessione in questi ultimi due anni, soprattutto nell’ultimo;

3) una caduta vistosa dei professionali, che dal 2010 hanno perso quasi 8 punti percentuali (prima serie) o quasi 10 punti percentuali (seconda serie); questo è senza dubbio il fenomeno più grave.

Si rafforza la scelta verso il liceo scientifico

La crescita massiccia dei licei rispetto agli istituti non è un segnale positivo: il sistema di istruzione e formazione non riesce a garantire la solidità dei percorsi tecnici e professionali. Il liceo di riferimento della scuola italiana è diventato ormai lo Scientifico. Questo vuol dire che è importante migliorarlo, riflettendo in particolare sulla natura e le potenzialità dell’opzione Scienze applicate, in vistosa crescita e che va rafforzato, affermando l’idea che esso corrisponde alle esigenze di una società moderna tecnologicamente avanzata e eliminando la vulgata dello “scientifico senza il latino”.

Quanto agli altri licei, bisogna uscire una volta per tutte dalla tradizionale visione gerarchica e dare loro una dignità culturale che si stanno conquistando. Per citare solo i Licei delle Scienze Umane, in grande crescita: una società moderna ha bisogno di queste competenze, quindi non sono “licei di serie B”, come tende a pensare un’opinione pubblica ancora affezionata alle vecchie gerarchie gentiliane, ma una parte fondamentale dello scheletro formativo del Paese.

La crisi degli Istituti professionali

Tra i tecnici, la vistosa caduta del Settore economico è preoccupante: la formazione economico-finanziaria serve, sia nel rapporto con il tessuto produttivo, sia per la cultura generale dei cittadini. Ci si deve interrogare anche sul probabile flusso di iscritti dal tecnico allo scientifico scienze-applicate. La flessione generale dei tecnici, seppur limitata, deve preoccupare.

Ma il problema enorme che emerge da questi dati è la crisi degli istituti professionali: la tendenza ormai è quasi decennale. I professionali non garantiscono più sbocchi di lavoro immediati; le famiglie e gli studenti li evitano, perché sanno che vengono considerati scuole di serie C, in cui il sistema scolastico scarica tutte le difficoltà, in cui si concentrano le classi sociali più svantaggiate, in cui il corpo docente cambia più frequentemente. L’ultima riforma (D.lgs. 61/2017) non è riuscita ad arrestare questa caduta.

Verso un nuovo sistema duale

A questo punto, è necessario un radicale cambio di paradigma. Queste scuole ibride, che non riescono a dare la formazione generale né quella professionalizzante, vanno superate: l’intero sistema secondario di secondo grado dovrebbe essere organizzato in due canali, da un lato i licei e i tecnici, dall’altro un sistema di istruzione e formazione professionale robusto e diffuso su tutto il territorio. Quest’ultimo non deve più essere concepito come uno “strumento per combattere la dispersione”, ma come una struttura portante del sistema; non deve più essere lasciato alle decisioni rapsodiche delle Regioni; lo Stato deve farsi carico di costituire una struttura unitaria e integrata su tutto il territorio nazionale. Altrimenti, il nostro paese è condannato a non risolvere il problema della dispersione e soprattutto a veder aumentare il fenomeno della “dispersione implicita”, del numero di studenti che escono dal sistema di istruzione e formazione con competenze inadeguate alla vita adulta e al mondo del lavoro.

Rivedere la riforma dei cicli

Infine, una considerazione più generale: i dati iniziali sulle iscrizioni mostrano questi forti squilibri, ma poi sappiamo che un numero consistente di studenti passa dai licei agli istituti fin dal secondo anno, che la dispersione e le bocciature toccano i loro massimi nel primo anno della secondaria di secondo grado, cioè in piena scuola dell’obbligo. Questi ultimi dati ci dicono che forse dobbiamo interrogarci su tutto il sistema del passaggio dal primo al secondo ciclo. Forse è venuto il momento di parlare di nuovo della riforma dei cicli: la scelta a 14 anni è troppo precoce,  la differenziazioni degli indirizzi nel biennio conclusivo dell’obbligo (14-16 anni) è eccessiva e marcata da una forte segregazione sociale per indirizzi (le classi più agiate nei licei, le più svantaggiate negli altri istituti, soprattutto professionali); è giunto il momento di pensare un segmento intermedio più lungo (tra gli 11 e i 16 anni, per esempio), più centrato sull’approfondimento dei saperi di base, e un secondo ciclo più breve ma più flessibile grazie a un sistema di materie opzionali, affiancato da un robusto sistema di istruzione e formazione professionale su tutto il territorio nazionale. La crisi della scuola nella pandemia ci spinge a guardare avanti, in una prospettiva più ampia e di sistema.