Asili nido in Italia

Non basta costruirli

Il presidente dell’Impresa sociale Con i Bambini, Marco Rossi Doria, ha presentato il 27 aprile scorso, nell’ambito del progetto per il contrasto alla povertà educativa, il Rapporto nazionale “Asili nido in Italia” nel quale viene svolta una ricca e puntuale disamina della realtà educativa della prima infanzia. Oltre allo storico divario macroregionale Nord-Sud, vengono rilevate anche altre forme di discrepanza, in particolare quella tra i centri urbani e le aree interne del Paese.

Alcuni dati

Partiamo dai numeri. A livello nazionale nell’anno scolastico 2018/2019 i posti disponibili nelle strutture educative 0-3 anni sono arrivati a 25,5 ogni 100 potenziali fruitori. A livello regionale però emergono profonde differenze. A fronte di un centro-nord che si colloca su una disponibilità dell’offerta educativa che raggiunge il 32%, assicurata in media dai 2/3 dei comuni, nel Mezzogiorno i posti sono 13,5 per 100 bambini e il servizio è garantito in meno della metà delle realtà comunali.

La differenza è abissale: 18,5 punti! Ai primi posti si collocano: Valle d’Aosta (45,7%), Umbria (42,7%), Emilia-Romagna (39,2%) e Toscana (36,2%). Al sud, ad eccezione della Sardegna che va oltre la media nazionale (29,3%), superano la soglia del 20% Abruzzo e Molise; Puglia e Basilicata si attestano poco sotto il 17% e più distanziate si collocano Campania (11%), Sicilia (10%) e Calabria (9,4%).

Tutte le province dell’Emilia-Romagna, tranne Piacenza (25,8%), sono al di sopra del parametro europeo del 33%, mentre molte province del sud, tra cui Napoli, Catania, Palermo sono sotto il 10%. Fanno eccezione in negativo al nord le province di Treviso e Alessandria e in positivo al Sud Matera e Lecce, che presentano una buona disponibilità.

Significativi anche i divari tra centri urbani e aree interne. Oltre un bambino con meno di tre anni vive in comuni periferici e in queste realtà si registra una significativa carenza di servizi rispetto ai capoluoghi e ai centri maggiori.

L’asilo nido, diritto educativo

Dai dati sopra illustrati, si evince che la sorte di molti bambini italiani è condizionata positivamente o negativamente già nei primi 1000 giorni di vita.

Il tema del nido come diritto educativo pieno delle bambine e dei bambini era molto caro al compianto Giancarlo Cerini. Nel suo intervento di presentazione delle Linee pedagogiche del sistema integrato zerosei, alla fine del mese di marzo 2021, aveva definito la presenza dei nidi e delle scuole dell’infanzia con una bellissima immagine: i 33.000 punti luce del Paese! La loro distribuzione però, come lui ben sapeva, è espressione di una granularità territoriale che investe molte realtà italiane.

La povertà educativa si combatte dal momento in cui si viene al mondo: cambiare l’inizio della storia significa cambiare tutta la storia! Giancarlo lo aveva capito da tempo!

Nello schema sotto riprodotto, ripreso dal Rapporto, si evince poi come la presenza dei servizi educativi nella prima infanzia faciliti un secondo diritto di capitale importanza, quello del lavoro femminile. Le regioni con un’alta presenza di nidi sono anche quelle nelle quali si registra il livello più elevato di donne occupate. Nei territori dove c’è maggiore povertà educativa e dispersione scolastica, per le giovani donne l’ingresso nel mondo del lavoro diventa estremamente difficile.

Pochi posti nido dove l’occupazione femminile è più bassa

Il grafico che segue mette a confronto il tasso di occupazione femminile nella fascia 23-34 anni e l’offerta di asili nido e servizi per la prima infanzia:

Fonte: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati ISTAT

Il nido pertanto è un servizio che assicura il diritto educativo ai bambini piccoli e, secondariamente, anche lo strumento più importante di conciliazione femminile.

228 mila nuovi posti nel PNRR

Il PNRR, presentato dal governo italiano il 30 aprile alla Commissione europea, stanzia 4,6 miliardi di euro per costruire nuovi asili nido, scuole dell’infanzia e servizi educativi nella fascia 0-6 anni. L’obiettivo è quello di assicurare 228 mila nuovi posti in modo da raggiungere il target europeo di 33 posti ogni 100 bambini entro il 2026. Si tratta di un investimento strategico per l’Italia, soprattutto per l’effettiva possibilità di colmare i divari tra le diverse aree del Paese, garantendo anche ai bambini che nascono in realtà svantaggiate di poter contare su un “buon inizio” del loro percorso di crescita.

Le risorse economiche messe a disposizione dall’Unione europea vanno, dunque, salutate con indubbia soddisfazione.

Alcuni rischi

Accanto agli indubbi vantaggi, ci sono però anche alcuni problemi: quello di costruire contenitori senza contenuto; quello di non riuscire a professionalizzare in poco tempo il personale necessario; quello di far funzionare bene la governance.

  1. L’assenza di cultura politica può diventare una zavorra che rischia di affondare il progetto sin dall’inizio. Potremmo trovarci in situazioni in cui strutture nuove e moderne offrono servizi di scarsa qualità.  Nelle aree del Paese in cui l’offerta formativa nella fascia di età 0-3 anni supera il parametro europeo, amministratori locali, famiglie, associazioni hanno costruito, a cominciare dagli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso, comunità educanti ad elevato indice di partecipazione. In assenza di governance territoriali nelle quali si dimostri di saper gestire e organizzare asili nido e servizi affini con scelte politiche lungimiranti, risulterà quasi impossibile assicurare un’educazione di qualità. Là dove questa cultura è inesistente, si può rischiare di costruire contenitori senza il contenuto.
  2. La qualità dell’offerta formativa rappresenta il traguardo irrinunciabile del piano di rilancio degli asili nido. Questo obiettivo presuppone il reclutamento di personale altamente preparato, amministratori comunali particolarmente sensibili, cultura inclusiva, coinvolgimento delle famiglie, capacità di dar vita a spazi accoglienti e motivanti, qualità della documentazione educativa e didattica, ed altro. Si tratta di elaborare un bene immateriale che non si crea dall’oggi al domani.
  3. I due precedenti punti, come già accennato, possono essere riassunti nella capacità di promuovere un welfare comunitario e di prossimità, coincidente con unagovernance innovativa che in molte regioni però è assente. Come ha scritto Giancarlo Cerini, “lasciando ‘carta bianca’ alle decisioni delle singole realtà regionali in materia di standard di funzionamento dei servizi educativi fino a tre anni, si mette a repentaglio il costituendo sistema integrato (perché la definizione delle norme generali per le scuole dell’infanzia e dei livelli essenziali delle prestazioni è di sicura pertinenza dello Stato), riconducendo ancora una volta un diritto universale all’educazione e all’istruzione a variabili di tipo territoriale” (Cerini, 2019[1]).

Quindi un diritto proclamato a gran voce fin dagli anni Settanta del secolo scorso rischia di dipendere dalla possibilità di accedere ai sevizi zerotre, diversa da regione a regione e, all’interno della stessa regione, da provincia a provincia.

Che fare?

Quali possono essere le soluzioni ai rischi paventati? Abbiamo un precedente esemplare dal quale partire: se non fosse stata istituita la scuola materna statale (legge 444/1968), i divari che oggi registriamo nella fascia 0-3 anni li rileveremmo anche nel segmento educativo tre-sei. Purtroppo, la qualità educativa delle scuole dell’infanzia statali risulta tuttora disomogenea con profondi divari a livello territoriale. Però esse sono punti luce presenti sull’intera realtà nazionale, anche nelle zone interne e più periferiche del Paese. Inoltre, in questi cinquant’anni ed oltre dal lontano 1968 è cresciuta una cultura da parte dei soggetti istituzionali, dei docenti, dei genitori, … che fa di questo segmento educativo un “fiore all’occhiello”, che ha suscitato l’attenzione anche di molti operatori di altri paesi europei e del mondo.

In questo senso, Giancarlo Cerini amava definire la scuola dell’infanzia come “il gioiello di famiglia”, gioiello che coinvolge oltre 900.000 bambine e bambini (56-57%), in quanto servizio gratuito assicurato dallo Stato.

Dobbiamo fare la stessa cosa anche per gli asili nido. Occorre trasferire il patrimonio culturale e professionale maturato nella fascia tresei anche nella prima infanzia.

Un servizio statale, diffuso e gratuito

Solo unservizio statale, diffuso e gratuito può evitare il rischio di costruire “cattedrali” senza radici. Da un lato, le risorse del PNRR sgraveranno i Comuni e le Regioni dei costi di costruzione delle strutture (che dovranno essere belle, luminose, sostenibili, …), dall’altro tale investimento potrà determinare un circolo virtuoso tra Comuni, Stato e famiglie.

Infatti ai Comuni saranno richiesti interventi nell’ambito del trasporto e della gestione degli edifici più che sopportabili; allo Stato, invece, competeranno i costi del personale docente, dei collaboratori scolastici e di altre figure che rappresentano l’onere maggiore del funzionamento di servizi qualitativamente apprezzabili.

Una gestione intelligente dei fondi del PNRR che faccia da volàno agli impegni congiunti di enti locali e Stato garantirà nel tempo (sottolineo “nel tempo”!) un’effettiva possibilità di colmare quel quadro di ingiustizia educativa che continua ad attanagliare molte (troppe!) realtà del nostro Paese fin da quando i bambini vengono al mondo.

Un servizio gratuito nella fascia 0-3 anni costituirà inoltre un sicuro incentivo in vista di una ripresa della natalità, che costituisce oggi un enorme problema per il futuro del Paese.


[1] Cerini G., Mion C., Zunino G. (a cura di), Scuola dell’infanzia e prospettiva zerosei, Homeless Book, Faenza (RA), 2019.