Apprendere per la vita: scenari internazionali ed italiani

Skills Outlook 2021. Learning for life

Il 5 giugno 2021 è stato presentato a Parigi il più recente ‘punto di vista’ che l’Ocse dedica all’apprendimento per la vita. Si tratta del Rapporto “Skills Outlook 2021. Learning for life”.

Questa recente pubblicazione consente di avere, anche per l’Italia, un quadro aggiornato della situazione in questo settore[1].  

Ricordiamo che l’apprendimento permanente (lifelong learning-LLL) consiste in “qualsiasi attività intrapresa dalle persone in modo formale, non formale, informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale” (legge 92/2012, art. 4, c. 51). Al suo interno si colloca la formazione continua finalizzata al mantenimento delle condizioni di occupabilità lungo l’arco della vita.

Gli scenari dopo la pandemia

Lo studio, dedicato alle competenze da sviluppare in età adulta (Lifelong learning, LLL), nel presente e nel futuro e alle deboli abilità di base su cui spesso poggiano, tratteggia, a livello dei 36 Paesi membri, scenari non esaltanti, soprattutto in seguito alla pandemia[2]:

  • 8 adulti su 10 con un basso livello di istruzione non partecipano ad attività di formazione e neppure lo fanno 4 adulti su 10 con un alto livello scolare (indagini OCSE-PIAAC per la popolazione 16-65 anni);
  • il tasso medio di disimpegno, cioè la non disponibilità a partecipare alle occasioni di apprendimento fruibili nel contesto sociale di riferimento, si attesta nell’area OCSE al 50%;
  • la capacità di affrontare le sfide del futuro (la transizione verde e digitale, l’automazione, il telelavoro, lo sviluppo sostenibile, i servizi per la popolazione anziana…) è ancora ridotta e le pratiche di LLL non sono sempre adeguate ai nuovi obiettivi sia formativi, che del mercato del lavoro, come pure a quelli dell’Agenda Onu 2030[3];
  • durante l’emergenza sanitaria Covid-19 si è manifestata una flessione del 18% dell’apprendimento informale (quello praticato nel lavoro, nella famiglia, nel tempo libero)[4], con tempi di “esercizio” intorno alle 0,7 ore settimanali.

I rischi della transizione

Nei processi di transizione scuola-mondo del lavoro e di riqualificazione-formazione continua la situazione non è poi così soddisfacente: il 25% dei 15enni dei Paesi Ocse nel 2018 ambiva a lavorare in occupazioni destinate a contrarsi nell’arco di un decennio, con una percentuale del 43% in Giappone e poco sotto il 24% in Italia, equivalente comunque a 1 ragazzo su 4. Secondo le stime dell’Ocse del 2019, per circa il 14% dei lavoratori c’è l’alto rischio di vedere il proprio lavoro automatizzato (e quindi di perderlo) e per un altro 32% di doversi misurare con cambiamenti radicali, perché alcune mansioni saranno eseguite da robot o da software.

Lo stato dell’arte in Italia: analfabetismo di ritorno?

Nel nostro Paese lo sviluppo dell’apprendimento permanente procede lento pede da sempre: siamo agli ultimi posti per la formazione degli adulti, con una quota pari solo al 23% contro percentuali del 40% OCSE, in media, e quasi del 60% nei Paesi scandinavi. Secondo l’OCSE, durante la pandemia, la diminuzione del tempo dedicato all’ apprendimento informale è stata di n. 1 ora settimanale (da 4,1 ore a 3,1 ore). Tale calo è risultato totale soprattutto tra i lavoratori con qualifiche medio-basse, mentre più contenuto tra i lavoratori più qualificati, ampliando in ogni caso la forbice tra le due categorie.

L’Italia inoltre ha quasi 13 milioni di adulti con un basso livello di istruzione (categoria Isced 0-2, equivalente alla terza media)[5], il 39% di tutti i 16-65enni (ca. 33 mln di individui) e il 20% di tutti gli adulti europei.

Di questi molti manifestano bassi livelli di literacy, ovvero riescono, con difficoltà, a leggere testi brevi su argomenti familiari e a individuare informazioni specifiche, e, soprattutto, non sono in grado di associarle ai testi esaminati. Infine più del 60% dei cosiddetti low skilled (analfabeti funzionali) si concentrano nelle regioni del Sud e del Nord-Ovest.

Sono troppo pochi gli adulti che si formano

I soggetti «potenzialmente bisognosi di riqualificazione» sono quelli che hanno competenze “obsolete”, o che le avranno a fronte dell’innovazione tecnologica in atto, oppure perché, nonostante la laurea, possiedono modeste capacità digitali, di alfabetizzazione e di calcolo. Qui la percentuale sale a più di un adulto su due (tra il 53-59% dei 25-64enni). Eppure, questo è il paradosso, queste persone si formano molto poco: infatti, pur con qualche progresso negli ultimi anni, la quota di adulti che partecipa ad attività di istruzione e di formazione[6] è tra le più basse a livello internazionale, con un 24% contro il 52% della media Ocse (indagini PIAAC), e riguarda in netta prevalenza gli occupati (81%), che dichiarano di svolgere la formazione per motivi legati al miglioramento della carriera.

Alle “radici” dell’apprendimento permanente

Il Rapporto, a proposito dei deficit che molti soggetti incontrano in età adulta, individua nella qualità della scolarità pregressa uno dei fattori per un LLL di livello apprezzabile. Infatti lo vediamo già a 15 anni nel buon esito di alcuni processi: l’atteggiamento verso lo studio, il piacere della lettura, i fattori motivazionali, meglio se sostenuti dalla famiglia e dagli insegnanti, costituiscono significativi segnali perché, da adulti, venga maggiormente coltivato l’interesse per l’aggiornamento delle conoscenze. Certamente la provenienza socio-economica incide molto sulle loro aspettative e quindi sui loro obiettivi. Per esempio c’è una differenza sostanziale di aspettative tra gli studenti che hanno almeno un genitore laureato e quelli che hanno genitori meno istruiti. Per esempio, il 77% dei primi prevede di completare l’università contro il 57% dei secondi, così pure l’84% degli studenti con genitori in professioni di status elevato prevedono di accedere a professioni qualificate quando avranno 30 anni, mentre ad avere la stessa ambizione è solo una netta minoranza degli studenti svantaggiati. La pandemia poi ha rallentato i progressi nell’apprendimento e ampliato le disparità sociali rispetto allo scenario usuale[7].

E poi ci sono i NEET che aumentano

Da non dimenticare infine la numerosa platea dei NEET in fascia adulta (25-34 anni) cresciuta, causa la pandemia, da 2,94 mln a 3,085 mln di unità, con un peggioramento non solo in ambito lavorativo, ma anche nella disponibilità a rientrare in formazione (cfr. La condizione giovanile in Italia. Rapporto Giovani 21, Istituto Toniolo, 2021).

Traiettorie per futuri sostenibili

Rispetto alle inadeguatezze dell’attuale sistema, dobbiamo comunque segnalare tre importanti interventi:

1.   Piano strategico nazionale per lo sviluppo delle competenze della popolazione adulta, 2020, elaborato e predisposto dal Tavolo Interistituzionale per l’Apprendimento Permanente, che individua come priorità la predisposizione di azioni di contrasto contro l’analfabetismo funzionale, in un’ottica di sistema integrato;

2.   Lettera-appello al Governo (gennaio 2021), di alcuni esperti ed Enti di ricerca (ENAIP NET, (INDIRE, INAPP, RUIAP, CEDEFOP, EVTA, ETF, LLP) per sostenere l’obiettivo Europeo di far partecipare entro il 2025, almeno una volta ogni 12 mesi, il 50% di adulti ad attività di LLL;

3.   PNRR, versione aprile 2021, che nelle Missioni 4 e 5 affronta la problematica del LLL con il potenziamento dei servizi per la fascia 0-6, con investimenti sulle competenze di base (basic skills), con la promozione di attività di upskilling, reskilling[8] e lifelong learning (pag. 198), con il rafforzamento del welfare di prossimità (pag. 219).

Tuttavia non si prefigura un Sistema nazionale integrato per l’apprendimento permanente che possa misurarsi con gli obiettivi dell’Agenda europea per le competenze 2020-2025[9].


[1] Per approfondimenti sulle matrici teoriche e sui risvolti operativi del LLL vedi. L. Galliani, Contesti formale, non forma-le, informale di apprendimento, riv. online Nuova Didattica, 2012; programma Epale dell’UE; Invalsi open, giugno 2021.

[2] Vedi articolo di G. Licini, Sole24ore-scuola, 16.06.2021. Adattamento.

[3] A tal proposito vedi. le proiezioni effettuate sui mega trend del mercato del lavoro tra il 2019 e il 2029 dall’ l’U.S. Bureau of Labor Statistics, l’Ufficio governativo USA che si occupa di statistica del lavoro.

[4] Il modello delineato da Marsick e Watknis, 1990 e rielaborato da Cseh, 1999, mette in evidenza la riduzione da quasi 5 ore la settimana a 3,7 ore (25% dell’apprendimento non-formale o involontario cioè interazione sociale, volontariato, sport, associazionismo culturale…)

[5] E i tempi sono cambiati, come notava T. De Mauro nel 2016, chiarendo che saper leggere, comprendere, elaborare calcoli, risolvere problemi, anche attraverso l’uso delle TIC, sono oggi abilità di base quanto mai indispensabili.

[6] Da menzionare a tal proposito l’azione dei CPIA che gestiscono i corsi di IT L2 per stranieri, ma anche i percorsi di alfabetizzazione funzionale per gli italiani (vds. articoli in Scuola 7 /2021, n. 225 e n. 235). Tali realtà con oltre 163.000 iscritti (Indire,2021), soddisfano però una parte esigua del fabbisogno di LLL.

[7] Vedi. C. Tucci e G. Licini in Sole 24 ore-scuola, 30 gennaio 2021 e 21 giugno 2021. Adattamento.

[8] Upskilling processo che indica lo sviluppo di competenze aggiuntive per riqualificare una persona nel ruolo ricoperto; Reskilling invece indica l’incremento di abilità differenti, per far sì che una persona possa ricoprire un ruolo diverso.

[9] Vedi. Lettera-Appello al Governo, già cit., tabella pag.2, con i target previsti nel LLL per il 2025.