Ci vuole una nuova narrazione

Una “ballata popolare” per far crescere e conoscere la scuola

Dopo la crisi delle “grandi narrazioni” o delle “visioni del mondo” (le Weltanschauungen) per non dire delle aborrite “ideologie”, dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, anche a seguito del dibattito sulla post-modernità, si è resa più accentuata l’attitudine ad una narrazione minimal, sino ad una frammentazione del discorso pubblico affidato, da circa un decennio, per larga parte, ai social network, invasivi veloci e concisi in 140 caratteri, o in 280 di un tweet.

Anche in questo caso meglio affidarsi al suggerimento di Spinoza: né ridere, né piangere, né indignarsi, ma capire. Naturalmente si può, per certi versi si deve, sottoporre ad un’osservazione disincantata questa situazione, evitando di porsi in un immaginario altrove dal quale emettere facili sentenze, siccome, chi più, chi meno, siamo tutti coinvolti.

Agire in modo autonomo e responsabile

Il gran tema è garantire una formazione che renda le persone autonome e responsabili. È il punto numero cinque dell’Allegato 2 del DM 139/2007 sulle Competenze di cittadinanza[1], ripreso dal Documento Tecnico, tratto dalla proposta di Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2006, e poi dal Decreto 92 del 24 maggio 2018, art. 2, comma 1.

In un mondo che produce un’escalation incessante di fonti informative, la scuola è l’agenzia formativa che più e meglio di altre deve assolvere a questa funzione: saper distinguere il rumore di fondo dalla parola autentica.

Una sala d’aspetto planetaria

Una non piccola percentuale dei circa 7,9 miliardi di abitanti attuali del pianeta è iscritta ai social network. Un’enorme sala d’aspetto in cui a ritmo continuo si straparla del più e del meno. Un modo per passare il tempo non al balcone, al bar, in piazza, nella sezione o nel circolo: ma da remoto e in forma virtuale.

Il grande giocoliere curioso (Umberto Eco) è stato uno dei pochi in grado di affrontare la Rete senza soggezioni, esprimendo un giudizio in controtendenza, per uno, come lui, interessato a tutto ciò che è “nuovo” e legato alla “comunicazione di massa”: quella frase sugli “imbecilli”, con lo stesso diritto di parola dei “premi Nobel”, senza tanti arzigogoli, rimane come un motivo di riflessione.

Claudio Magris, germanista e acuto osservatore, qualche tempo fa ha pubblicato un articolo rivendicando il “diritto alla disabilità digitale”.

Il contratto collettivo nazionale del Comparto Scuola parla di “un diritto alla disconnessione”. È quello del 19 aprile 2018, nel Titolo I, Relazioni sindacali, art. 22, là dove si descrive la contrattazione c) a livello di istituzione scolastica ed educativa (nel comma
c8).

Dimestichezza e spirito critico

Il diritto alla disconnessione si colloca tra una competenza digitale consapevole, posta al centro della Raccomandazione europea del 18 dicembre 2006 ribadita e rivisitata il 22 maggio 2018 (nutrita, insieme, di dimestichezza e spirito critico) e quel diritto all’oblio riconosciuto negli articoli 17, 21, 22 del Regolamento UE 679 del 27 aprile 2016, recepito in Italia con il D.lgs. 101 del 10 agosto 2018, in vigore dal 19 settembre 2018.

Non so quanto convenga alla scuola rimanere nel limbo di un eterno cahier de doléances. Mentre ci sarebbe uno straordinario bisogno di una sintesi tra visionarietà e realismo. Tenendo ben presente il quadro sin qui delineato, all’autonomia didattica, organizzativa, di ricerca e sperimentazione, ognuna delle quali meriterebbe un adeguato sviluppo, occorrerebbe associare una capacità di produrre, in modo altrettanto autonomo, un discorso pubblico coerente sulla scuola. Con un definitivo congedo da ciò che ne costituisce un inciampo: il prevalere dello scolastichese, miscela, a seconda delle sensibilità, di pedagogese e burocratese. Perché si dia una nuova narrazione sulla scuola occorre che la scuola aggiorni il proprio modo di esprimersi.

Opere dell’ingegno

Prendiamo l’art. 36 del D.I. 129 del 28 agosto 2018, dedicato alle cosiddette opere dell’ingegno, ripreso dall’art. 28 del D.I. 44 del 1° febbraio 2001. La scuola può già produrre autonomi strumenti di elaborazione culturale[2].

O prendiamo anche la legge 150 del 7 giugno 2000 che disciplina le attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni. A questa leggeha dato un contributo determinante l’esperienza sul campo di Alessandro Rovinetti, scomparso il 29 agosto scorso, segretario generale dell’Associazione Comunicazione Pubblica. Insomma, anche in questo caso, i presupposti ci sono: basterebbe utilizzarli.

I “generi letterari” della comunicazione pubblica, vissuta e praticata nella scuola italiana, consistono in decreti, note e circolari di rango nazionale, regionale, di ambito territoriale, o anche relativi ad ogni singola istituzione scolastica.

Che ci sia un eccesso di produzione legislativa e, a cascata, di atti amministrativi, è del tutto evidente e, anche in questo caso, la semplificazione non può rimanere soltanto un auspicio.

Le parole sono importanti

Ecco: il fiume carsico della modernizzazione nella pubblica amministrazione, tra stop and go, ha prodotto nella scuola, posto che li abbia determinati altrove, tutti i suoi effetti? La scuola raramente è “soggetto” di comunicazione. Per lo più ne è “oggetto”. L’editoriale sulla scuola è un genere giornalistico che si ripropone, con impercettibili variazioni e non senza qualche stanchezza, da una stagione all’altra.

La scuola deve dotarsi della capacità di parlare alla società con il linguaggio che le consenta di avere il ruolo che giustamente rivendica. Per produrre una narrazione chiara non occorrono particolari invenzioni. Bisogna distinguere bene la formazione dall’informazione: alla scuola interessa la prima, valorizzando le buone pratiche già in atto e puntando sulla qualità.

Registro elettronico e sito

La meta-comunicazione, ovvero il dibattito sulla scuola, è un patrimonio da custodire, fa parte dei valori democratici; al contempo occorre adoperarsi perché la scuola comunichi in modo ordinato ed efficace. Penso a tre opportunità già a disposizione: il registro elettronico, il sito e la rendicontazione sociale. La prima, da circa un decennio, è il Registro Elettronico, diventato presto un indispensabile strumento di lavoro. L’articolo 7, comma 31 del Decreto-Legge 95 del 6 luglio 2012, coordinato con la legge di conversione 133 del 7 agosto 2012, ci dice: “A decorrere dall’anno scolastico 2012-2013 le istituzioni scolastiche e i docenti adottano registri online e inviano le comunicazioni agli alunni e alle famiglie in formato elettronico”. Siamo certi che tutte le potenzialità comunicative e interattive del Registro elettronico siano state dispiegate?

La seconda riguarda il Sito, luogo di composizione tra due valori solo apparentemente in contrasto tra loro, quelli della trasparenza e della privacy; una conseguenza che viene da lontano, dalla legge 241 del 7 agosto 1990, quindi dall’art. 2, comma 2, del D.lgs. 33 del 14 marzo 2013, laddove si parla del “diritto di chiunque di accedere ai siti direttamente ed immediatamente, senza autenticazione ed identificazione”. Sino al FOIA, Freedom of Information Act, D.lgs. 97 del 25 maggio 2016.

Accountability

Ultima ma non ultima opportunità, è la Rendicontazione sociale, ispirata al principio anglosassone della accountability. Dalla fine del 2019 entrata a far parte delle buone pratiche del fare scuola. Tra le premesse merita una menzione la Direttiva del Ministro della Funzione Pubblica sulla Rendicontazione sociale nelle Amministrazioni pubbliche del 17 febbraio 2006. Il DPR 80 del 28 marzo 2013, che, all’art. 6, Procedimento di valutazione, ha indicato: a) l’autovalutazione delle istituzioni scolastiche; b) la valutazione esterna; c) le azioni di miglioramento; d) la rendicontazione sociale delle istituzioni scolastiche.

Anche il ciclo gestionale, composto di analisi strategica, pianificazione strategica, controllo di gestione e rendicontazione sociale ha, in quest’ultima, il suo cruciale punto di approdo.

Altrettanto il ciclo della programmazione avviato dal Rapporto di Autovalutazione (RAV), dal Piano territoriale dell’offerta formativa (PTOF) e dal Piano di Miglioramento (PdM), per una restituzione al contesto territoriale e all’utenza dei risultati ottenuti sulla base delle risorse investite e dei progetti realizzati.

Ma è corretto orientare a questo traguardo l’insieme delle attività scolastiche: senza lo stimolo della rendicontazione non potrà mai prodursi una vera autovalutazione.

Stare in società

Insomma, la scuola deve tener conto dei mezzi di comunicazione, non per assecondarli, ma per usarli a fini educativi. La scuola deve “stare in società”, anche nell’ambito della comunicazione, portando il proprio punto di vista, che può e a volte deve essere radicalmente difforme, usando propri autonomi strumenti, alcuni dei quali sono già a disposizione, purché siano promossi e valorizzati, dal Registro elettronico al Sito sino alla Rendicontazione sociale.

Registro Elettronico, Sito e Rendicontazione sociale hanno una caratteristica in comune: sono il segno di un’amministrazione estroflessa e non introversa, aperta alla partecipazione del contesto e dell’utenza.

Risuona qui il canto della “ballata popolare” auspicata da Giancarlo Cerini, vale a dire “una narrazione a più mani, ove anche gli ascoltatori possono diventare narratori, ove i ruoli si intrecciano e si scambiano, in una impresa corale, che viene dunque sentita come propria”[3].

Solo grazie a questa coralità, la comunicazione dalla scuola potrà davvero ottenere il sigillo di una comunicazione della scuola.


[1] Cfr. Giancarlo Cerini, Silvana Loiero, Mariella Spinosi, Competenze chiave per la cittadinanza. Dalle Indicazioni per il curricolo alla didattica, Napoli, Tecnodid, 2018.

[2] Mi permetto di segnalare il primo numero della rivista online “Scuola aperta. Esperienze e riflessioni dall’ITIS Carlo Zuccante”.

[3] Giancarlo Cerini, Se la riforma fosse una ballata popolare…, intervento di chiusura al seminario su Idee per la scuola che verrà, tenutosi a San Benedetto del Tronto (AP) nei giorni 3-4 luglio 2006.