Investire bene sugli insegnanti

Le carriere che non ci sono ancora

In un recente documento del 10 gennaio 2022, il Ministro della Pubblica Amministrazione ci fa sapere che al finanziamento delle attività di formazione sarà ordinariamente destinata una quota annua non inferiore all’1% del monte salari del personale dipendente. È un obiettivo che speriamo si possa avverare grazie anche ai finanziamenti straordinari del PNRR.

È bene, tuttavia, ricordare che tale percentuale, nei passati decenni, è stata richiamata costantemente in tanti e importanti documenti programmatici di molti dicasteri, in particolar modo dal Ministero dell’Istruzione, ma che poi è stata sempre dimenticata nelle successive scelte operative.

Ora sembra che si voglia fare sul serio: Il Ministro Bianchi più volte ha fatto riferimento a futuri sviluppi di carriera per i docenti e il Ministro Brunetta, in maniera più articolata, parla di: meccanismi di progressione economica; riconoscimento delle competenze e delle esperienze professionali; differenziazioni stipendiali attraverso procedure selettive[1].

Adelante Pedro, sed cum Judicio

È l’espressione che Alessandro Manzoni mette in bocca al Gran Cancelliere di Milano, Antonio Ferrer, che si rivolge al cocchiere mentre la carrozza passa circondata dal popolo in tumulto per la carestia che è sopraggiunta alla peste. Noi viviamo in una realtà non molto dissimile e con le emergenze attuali dobbiamo fare i conti. Con il nuovo contratto alle porte, dobbiamo ripartire sicuramente con fiducia, ma prima ancora con molta prudenza.

Non a caso, nei più recenti documenti del Ministero dell’Istruzione si leggono sì propositi incoraggianti per i docenti, ma in maniera altalenante. Si parla di ipotesi di sviluppo di carriere nelle “Linee programmatiche” del Ministro Bianchi presentate in Parlamento il 4 maggio 2021; ipotesi reiterate nel “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, ma ignorate in alcuni documenti successivi come il “Patto per la scuola”, sottoscritto con i sindacati il 20 giugno, e l’“Atto di indirizzo politico-istituzionale per l’anno 2022” che risale al 16 settembre scorso.

Anche nel documento più recente, illustrato ai sindacati il 1° febbraio 2022 (cioè l’Atto di indirizzo della sezione “scuola” nell’ambito del comparto “istruzione e ricerca”), non si riscontrano esplicitamente riferimenti allo sviluppo delle carriere. Si accenna ad “attività formative per la fruizione degli sviluppi di carriera” solo per il personale ATA, mentre per i docenti c’è un richiamo indiretto all’art. 24 del CCNL 2006-2009[2]: un modo, comunque, importante per mantenere in vita una possibilità.

Dobbiamo tener presente che parlare di “carriere” nella scuola è una vera e propria rivoluzione, considerando che l’idea fondante che ha sempre caratterizzato il lavoro docente (nei contratti e nello stato giuridico) è stata quella dell’unicità della funzione.

Le questioni a monte

Immaginare un futuro per i docenti che passi attraverso sistemi di “carriera” non appare impossibile, ma prima vanno chiarite alcune condizioni di base. In modo particolare:

  • i rapporti con la formazione e con i crediti;
  • il livello di avvicinamento agli standard, intesi soprattutto come rappresentazione dello scenario evolutivo delle competenze dei docenti;
  • gli strumenti che devono essere utilizzati per permettere ai lavoratori della scuola di poter documentare bene la propria biografia;
  • le fasce di professionalità, da un livello iniziale in cui l’insegnante è ancora in formazione, al senior teacher, cioè al docente di comprovata competenza ed esperienza, matura e accreditata, che sa metterla a disposizione dei colleghi e della organizzazione cui appartiene, svolgendo anche funzioni di supporto.

Bisogna sciogliere inoltre e subito la questione dell’obbligatorietà dell’aggiornamento prefigurando a livello contrattuale “un pacchetto di ore specificamente e obbligatoriamente destinate alla formazione”[3]. Non possiamo immaginare nessun settore produttivo senza un obbligo di aggiornare e migliorare le proprie competenze di lavoro (si tratta anche di etica professionale).

Le condizioni per valorizzare tutti

Se ci fosse un profilo condiviso, con indicatori e standard, se si adottassero strumenti ben collaudati per documentare il percorso professionale di ciascuno, sarebbe più facile riconoscere e valorizzare la qualità del lavoro dei docenti, sia di quelli che al lavoro d’aula aggiungono attività di tipo organizzativo a supporto dell’autonomia, sia di quelli che privilegiano l’approfondimento della propria disciplina, le metodologie innovative, la relazione con gli studenti, a vantaggio della comunità professionale.

Oltre l’insegnamento: le competenze che ci sono già

La scuola ha avuto sempre bisogno di professionalità diverse. Ancor prima della svolta autonomistica (DPR 275/1999) c’erano i “fiduciari”, che si occupavano (ma ancora oggi) dei problemi dei plessi scolastici e delle sedi staccate, come pure alcuni docenti che “davano una mano” al capo d’istituto (in genere era il vicedirettore o il vice-preside).

Oggi ci sono figure nuove o in via di sviluppo: i tutor, gli animatori digitali, i coordinatori e/o responsabili.  I primi sono quelli che si occupano di l’alternanza, ora PCTO, di docenti neo assunti, di orientamento.

Gli animatori digitali costituiscono i nuovi motori per l’innovazione metodologica e didattica e supportano la formazione interna.

I coordinatori hanno la responsabilità dell’accoglienza e dell’integrazione degli stranieri, dell’inclusione e della personalizzazione del percorso degli allievi, ma anche dell’insegnamento dell’educazione civica. A questi vanno aggiunti, naturalmente, i coordinatori dei Consigli di classe e dei Dipartimenti, anche se non hanno una fondazione normativa.

Poi con l’avvio del Sistema nazionale di valutazione (DPR 80/2013) le scuole hanno dovuto dotarsi di una “unità di autovalutazione”. Le responsabilità delle figure che ne fanno parte sono molto delicate e le competenze devono essere di alto profilo. Oltre alla capacità di leggere e interpretare i dati, chi si occupa di valutazione deve fare in modo che tutta la comunità abbia contezza dei risultati del Rapporto di valutazione (RAV) e che le azioni conseguenti siano adeguate e condivise.

Ma quali sviluppi si possono garantire a queste figure che già operano, alcune pure egregiamente, nella comunità scolastica? Il nuovo contratto dovrebbe prevedere non solo un aumento salariale generalizzato per tutti, ma pure altre forme di riconoscimenti per queste professionalità che già contribuiscono fattivamente alla difficile gestione del sistema.

Una strada per valorizzare i bravi docenti d’aula

Parlare di crediti, di differenziazione professionale, ancor più di valutazione, senza sbocchi di carriera diventa un’operazione vana (e non più credibile). Nello stesso tempo c’è il problema del come riconoscere le competenze didattiche, metodologiche, relazionali di quei docenti che preferiscono dedicare il proprio tempo soprattutto nella cura degli studenti.

Oggi coloro che si occupano di didattica (e non di organizzazione) hanno poche possibilità di mettere alla prova i propri saperi e pochi sono i riconoscimenti sul piano sociale: possono aspirare a diventare tutor per i neo assunti o, all’Università, per il tirocinio, ma sono opportunità molto limitate (specialmente queste ultime).

Si potrebbero costruire le condizioni, per coloro che lo vogliono, di perfezionare ulteriormente la propria preparazione, di acquisire altre competenze, di approfondirle e di metterle poi a disposizione sia della propria scuola sia del sistema nazionale.

Il sistema ha bisogno di utilizzare tali professionalità in maniera più diffusa. Occorre però che ci sia una migliore regolazione delle azioni che garantiscono la qualità: gli accertamenti, i monitoraggi, il riorientamento, la formazione e la valutazione.

Nuove opportunità per riconoscere la qualità dell’insegnamento

È questa una ipotesi che si coniuga perfettamente con la proposta del Dipartimento della Funzione pubblica (10 gennaio 2022) laddove annuncia un piano che chiama in causa “tutte le piattaforme per i rinnovi contrattuali le quali devono prevedere un insieme di misure volte a rafforzare le attività di formazione e il relativo apprezzamento in termini di sviluppo retributivo e di carriera dei dipendenti pubblici”. Per rimanere nel nostro sistema scolastico si può parlare di azioni volte a costruire opportunità per:

  • specializzazioni disciplinari;
  • approfondimenti delle metodologie didattiche e digitali;
  • perfezionamento della cultura della valutazione (degli apprendimenti, delle professionalità e di sistema);
  • rafforzamento di competenze per rendere più efficace la formazione continua e diffusa.

Nelle piattaforme contrattuali del comparto scuola, al fine di costruire quest’area ad “alta professionalizzazione”, si dovrebbero prevedere diverse strade chiarendo bene condizioni e regole. C’è la strada del riconoscimento dei Crediti e/o del Bilancio di competenze (non autogestito). Possono essere considerate importanti le attività svolte a supporto della comunità di pratiche (da inserire in un curriculum istituzionalmente ridefinito). Si possono ipotizzare corsi di formazione di alta qualità (sembra questa la strada annunciata del Ministero dell’Istruzione)[4]. Non vanno neppure escluse, però, eventuali opzioni di tipo concorsuale.

La via legislativa e contrattuale

I docenti che decidano di approfondire le loro competenze, sia perfezionandole attraverso percorsi riconosciuti a livello legislativo e contrattuale, sia attraverso altri sistemi che possono essere successivamente identificati, potrebbero far parte di un contingente ad “alta professionalizzazione” (o “specializzazione”) a disposizione dell’Amministrazione, sia a livello nazionale sia a livello territoriale e per le Istituzioni scolastiche di appartenenza. Ciò non significa che gli insegnanti interessati debbano abbandonare la docenza nella propria classe (che resterebbe comunque la principale funzione da svolgere), ma che possano contestualmente fruire di altre opportunità. Per esempio, si possono prevedere “contratti misti”: di insegnamento, per un numero limitato di ore, e di attività connesse o di supporto all’insegnamento (a livello di scuola di appartenenza, territoriale o anche nazionale) per il rimanente numero ore.

Tale contingente può diventare anche un’area di riserva da cui attingere le professionalità più adatte da utilizzare nella formazione iniziale e nei percorsi di TFA (in raccordo con le strutture universitarie), nella formazione continua e a vantaggio della stessa valutazione di sistema (NEV). Con contratti specifici, potrebbero essere risorse preziose per le scuole più fragili e a maggior rischio di dispersione. Inoltre si potrebbe immaginare anche un utilizzo nei collegi ispettivi, in caso di accertamenti sulla didattica, da affiancare al dirigente tecnico.

Una opportunità per rimotivare gli insegnanti

Si tratta di una prospettiva realizzabile a patto che si prepari accuratamente attraverso la piena condivisione con le parti sociali, un’attenta previsione di costi, attraverso accordi con altri dicasteri e con l’INPS, mediante programmi di formazione dedicata, e predisponendo già in fase di ideazione, accurati sistemi di fattibilità.

Potrebbe essere questa una delle tante strade volte a rimotivare una categoria di professionisti che in questo lungo periodo di emergenza sanitaria hanno vissuto, in maniera drammatica, il peso delle responsabilità, e che non sempre hanno percepito una particolare attenzione da parte delle istituzioni, né un riconoscimento a livello sociale.

È possibile approfondire il tema della valorizzazione professionale sul numero 13 di Notizie della scuola. Dello stesso autore: “Riconoscere le professionalità. Con quali meccanismi e per quali carriere”.


[1] Dal documento del Dipartimento della Funzione pubblica presentato il 10 gennaio 2022: “Le preintese contrattuali sottoscritte e le ipotesi di contratti attualmente in discussione prevedono un meccanismo di progressione economica funzionale a remunerare il maggior grado di competenza ed esperienza professionale acquisito dai dipendenti basato su «differenziali stipendiali», cui si accede all’esito di procedure selettive orientate a valorizzare la valutazione individuale, l’esperienza professionale maturata e l’accrescimento culturale conseguito anche attraverso la partecipazione a percorsi di formazione”.

[2] Art.24 – Intenti comuni 1. Le Parti confermano gli esiti, sottoscritti il 24 maggio 2004, della Commissione che ha operato ai sensi dell’art. 22 del CCNL 24.07.03. Le Parti stesse si impegnano a ricercare, in sede contrattuale, in coerenza con lo sviluppo dei processi di valutazione complessiva del sistema nazionale d’istruzione e con risorse specificamente destinate, forme, modalità, procedure e strumenti d’incentivazione e valorizzazione professionale e di carriera degli insegnanti.

[3] È così che si legge nell’Atto di indirizzo della sezione “scuola” nell’ambito del comparto “istruzione e ricerca” presentato il 1° febbraio 2022.

[4] Vedi PNRR – Riforma 2.2: Scuola di Alta Formazione e formazione obbligatoria per dirigenti scolastici, docenti e personale tecnico-amministrativo; Atto di indirizzo politico-istituzionale per l’anno 2022 – Formazione in servizio e valorizzazione del percorso professionale.