Un nuovo piano strategico per i Neet

Investire bene sui giovani e sul lavoro

Il 19 gennaio u.s. è stato firmato dai Ministri Dadone (Politiche Giovanili) e Orlando (Lavoro e Politiche sociali) un Decreto[1] volto ad adottare un piano nazionale strategico per l’emersione e l’orientamento per i giovani inattivi.

“Dobbiamo riuscire a coinvolgere i ragazzi, fare emergere le loro posizioni… Abbiamo predisposto un tour nelle maggiori città italiane… Vogliamo raccontare… che l’Italia è un paese… che offre ad ognuno di loro la possibilità di realizzarsi”, così ha dichiarato la Ministra Dadone.

Il Decreto punta a intercettare e a ridurre la platea degli oltre tre milioni di giovani (fascia 15-34 anni) che non studiano, non lavorano e non seguono la formazione[2]. Il Ministero dell’istruzione non è direttamente coinvolto, ma in realtà l’istituzione-scuola concorre alla “genesi” del fenomeno ed è fondamentale nella identificazione delle misure per contrastare la sua diffusione.

Le fasi del piano

Gli interventi previsti sono articolati in tre macro fasi, come dalla tabella che segue.

FASIATTIVITÀ
EmersioneCoinvolgere i giovani attraverso alleanze tra Istituzioni e soggetti locali, campagne di informazione mirata, programmi personalizzati di inserimento nel mercato del lavoro.
IngaggioIn questa fase ci si interfaccia con il digitale, ad esempio con la c.d. gamification[3] ma anche con la musica, con il teatro, con lo sport, valorizzando le iniziative più interessanti a livello locale.
AttivazioneUna serie di attori, impegnati sui territori nelle politiche per i giovani (dai Centri per l’Impiego ai Comuni), vengono sollecitati a costituire dei presìdi funzionali agli obiettivi del Piano.

Gli strumenti operativi

Gli strumenti operativi correlati, si sviluppano in una molteplicità di azioni che rappresentano la dimensione attuativa delle tre fasi individuate:

  • Garanzia Giovani e Sportelli Giovani nei CPI (Centri per l’Impiego), usufruendo del nuovo PON europeo “Giovani, donne e lavoro” e del programma GOL (Garanzia Occupabilità dei Lavoratori);
  • Campagna informativa itinerante in dieci-dodici città ad alta densità di NEET, con diffusione intensiva del programma europeo Erasmus+ e potenziamento del Servizio Civile Universale/SCU;
  • Portale Giovani 2030, predisposto per erogare corsi gratuiti di formazione sulle competenze digitali;
  • Programmi gestiti da ANG[4], per rendere più accessibili ai giovani le risorsedella Comunità Europea;
  • Piano nazionale 2021-2027 sull’inclusione dei giovani più vulnerabili, volto a supportare il Terzo Settore, perché entro il 2024 il numero dei giovani partecipanti ai progetti sia incrementato almeno del 40%;
  • Individuazione, riconoscimento e convalida di abilità e competenze, tramite i diversi Framework europei.

Luci ed ombre del Piano NEET

Il Piano ha suscitato giudizi contrastanti tra gli esperti e gli osservatori. Chiara Natalie Focacci (ricercatrice presso il dipartimento di Scienze economiche dell’Università di Bologna) dice, su lavoce.info, che trattasi di un buon Piano di reskilling-riqualificazione dei giovani NEET, che investe sul capitale umano, sullo sviluppo delle competenze, in particolare su quelle imprenditoriali (5 milioni sono destinati a “iniziative giovanili”) e sulla occupabilità, per incrementare potenzialità e intelligenze.

Di parere contrario è Dario Di Vico (editorialista del Corriere della Sera) secondo cui il provvedimento manca di soluzioni innovative ed efficaciesi affida a soluzioni già sperimentate senza successo rivisitate con “etichette-spot”. Ricorda “Garanzia Giovani” che costituì, nella migliore delle ipotesi, solo una fabbrica di tirocini senza successiva stabilizzazione; ricorda anche gli sportelli ‘dedicati’ ai Neet nei Centri per l’impiego.

Così pure Maurizio Del Conte (ordinario di diritto presso l’Università Bocconi). Egli individua la debolezza del Piano nell’assenza di un approccio sistemico che metta in raccordo istruzione, formazione e lavoro. Propone comunque il potenziamento dell’alternanza scuola lavoro, della filiera degli Istituti tecnici superiori (ITS), la regolamentazione della “giungla della formazione professionale”.

A quest’ultimo intervento si collegano le riflessioni che chiamano in causa responsabilità e azioni del sistema scolastico.

I NEET sono un fenomeno multifattoriale

È una precisazione necessariaper evitare di “colpevolizzare” solo la Scuola. Le radici del fenomeno sono anche di natura socio-culturale ed economica, attengono:

  • ai contesti ambientali e familiari deprivati (la povertà materiale, quella educativa, la mediocre qualità dei servizi del territorio, il basso livello di scolarità dei genitori…);
  • alla collocazione geografica (vedi il divario Nord-Sud e il degrado delle periferie);
  • alle problematiche dell’integrazione degli stranieri (vedi anche le condizioni di marginalità sul lavoro nelle comunità locali);
  • alla trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze (come il perpetuarsi “in negativo” del reddito, dello status occupazionale, delle opportunità di acculturazione).

È anche vero però che diversi giovani riescono a tollerare e superare queste situazioni di disagio (ad essere cioè “resilienti”) e a costruire un futuro più promettente, facendo leva su occasioni offerte da reti amicali e territoriali[5].

Un fenomeno, però, che interroga anche la scuola

A fronte di questo scenario, quale ruolo gioca la scuola? Molto spesso di concausa del fenomeno. Lo possiamo affermare guardando il tasso delle bocciature nel 1° anno della Secondaria di II grado, che si attesta ancora al 10,3%, quello delle sospensioni del giudizio al 21%: nei Tecnici al 26,4%,nei Licei al 19,2% e nei Professionali al 16,8%. Complessivamente nei cinque anni della Secondaria di II grado il problema del “fallimento scolastico” riguarda il 7% degli studenti (sono dati del Ministero dell’istruzione relativi agli anni 2018-2019).

Da sottolineare ancora che nei Licei il 30% dei pluriripetenti appartiene alle famiglie operaie, contro il 17% della classe sociale benestante e che la maggiore percentuale di non ammessi alla classe successiva si registra nei Professionali (10,4%).

Tali esiti rappresentano quasi sempre il preludio all’abbandono scolastico: nel 2019 il 13,5% dei giovani di 18-24 anni ha abbandonato gli studi dopo (al più) la licenza media (target EU, Indicatore ELET: 10,3%), e soltanto il 35,4% ha trovato occupazione (target EU: 46,6%)[6].

Il rischio di investire senza successo

Di tali abbandoni sarebbe responsabile anche la ex scuola media, considerata, da taluni osservatori[7] l’anello debole del nostro sistema scolastico, in quanto delle tre missioni affidatele nel 1962 ne ha realizzata solo una, cioè “far crescere il livello di scolarità”, fallendo totalmente le altre due: “orientare (non canalizzare) le scelte scolastiche successive” e “garantire l’uguaglianza delle opportunità scolastiche”[8]. A conferma c’è il dato che il 67% dei licenziati con 6 non riesce a conseguire il diploma di Maturità[9]. Da questo quadro emerge un sistema-scuola che, pur investendo in programmi di recupero, di compensazione dei debiti scolastici, di studio assistito, di consolidamento-potenziamento (O.M. 92/2007) e in metodologie innovative (cooperative learning, peer to peer, flipped classroom, didattica laboratoriale…), rivela ancora un livello di sostenibilità educativa inadeguato.

Quali “traiettorie rigenerative”

Pur consapevoli della complessità del problema NEET, occorre ribadire che:

  • il benessere familiare e ambientale di un giovane è il miglior antidoto all’insorgenza del fenomeno;
  • la scuola, da sola, non può azzerarlo, anche se deve attivarsi per contenerlo, diventando essa stessa più “sostenibile”, cioè protagonista di un impegno educativo di qualità, equo, inclusivo[10];
  • la valutazione va riconnotata come dispositivo formativo: essa spesso interviene su “profili scolari” già compromessi, aggravandoli ulteriormente e causando fallimenti ripetuti e derive motivazionali;
  • l’orientamento necessita di nuove “modelli”: l’attuale prassi orientativa, centrata sul profiling e sul matching (cioè promuovere negli studenti profili socio-culturali che facilitino le scelte a livello scolastico-lavorativo), conferma le disuguaglianze d’accesso, indirizzando i “migliori” ai Licei-Tecnici, i “mediocri” ai Professionali[11];
  • il rinnovamento del sistema, specie nelle sue urgenze dell’istruzione terziaria e della formazione professionalizzante, che il PNRR affronta, ma con cifre modeste (vedi tab. pag. 176 del documento), va accompagnato da interventi coordinati di welfare su lavoro, habitat, salute…, per sostenere quelle fasce di popolazione “deboli” a livello formativo;
  • l’emancipazione sociale di tanti cittadini non è un “affare” solo della scuola, ma una responsabilità collettiva delle Istituzioni.

L’alternativa è che si ripeta l’attuale processo causale: insuccesso scolastico che genera personalità fragili che formano famiglie deprivate che crescono figli in stato di minorità.


[1] https://www.politichegiovanili.gov.it/media/k5jektnj/dm-adozione-piano-neet-19-01-2022_rev-gab-signed-1-signed.pdf

[2] Nel 2016 l’allora Presidente della BCE M. Draghi parlò di “Lost generation” (generazione perduta, E. Hemingway), per definire il fenomeno della disoccupazione giovanile e dei NEET in particolare, fenomeno che colpisce di più le donne, i BES, gli stranieri.

[3] La gamification è una prassi, un processo che utilizza, in contesti non ludici, strategie e tecniche mutuate dai giochi (game design).

[4] L’Agenzia Nazionale per i Giovani, ANG, ha il compito di promuovere percorsi inclusivi per i giovani più svantaggiati.

[5] Vedi: “Nuotare contro corrente”, Report Save the Children, 2018. Per la resilienza riferita alle prove OCSE-PISA, cfr. ivi da pag. 9.

[6] Report Ministero istruzione e Istat, 2019. L’EU aveva come target che al 2020 i giovani 18-24 anni senza diploma o qualifica professionale fossero meno del 10%.

[7] Fondazione G. Agnelli, Rapporto sulla scuola in Italia 2011: Le medie anello debole della scuola italiana? Laterza 2011.

[8] Cfr. Rapporto Fondazione Agnelli, cit.

[9] Report Ministero dell’Istruzion e Istat, 2019. Cfr. anche M. Romito, “Una scuola di classe. Orientamento e disuguaglianza nelle transizioni scolastiche”, Guerini e Associati, 2016 e C. Raimo, “Tutti i banchi sono uguali. La scuola e l’uguaglianza che non c’è”, Einaudi 2017.

[10] Cfr. Il saggio dello scrivente “Sostenibilità educativa” in Agenda della Scuola, n. 150, 2020, Tecnodid, Napoli.

[11] Sulla tematica cfr. Soresi S., Nota L. (2020) e contributi di F. Tessaro (2002), A. Mariani (2021).