Come difenderci dalle fake

Il potere delle parole nella comunicazione

Vivendo oggi nell’era biomediatica, in cui diventa cruciale la condivisione telematica delle biografie personali attraverso i social network, l’evoluzione del panorama mediatico globale ha determinato evidenti trasformazioni all’interno del sistema comunicativo. Con l’irruzione dei social la domanda informativa si è indirizzata su piattaforme online in grado di offrire gratuitamente spazi divulgativi pressoché infiniti. Senonché, il fatto che la crescente mole dei contenuti che circolano sul web abbia come caratteristica la disintermediarizzazione, la delocalizzazione e la decontestualizzazione ha condotto alla nascita di patologie interne al sistema informativo stesso: le cosiddette fake news, veri e propri strumenti di persuasione e manipolazione, pratiche finalizzate a diffondere disinformazione e manipolare le coscienze.

Una possibile definizione dell’attuale realtà comunicativa

Nel tentativo di conferire una denominazione adeguata alla realtà comunicativo-relazionale contemporanea risulterebbe forse scontato e banale definirla sia tecnologica, per la prepotente irruzione e socializzazione delle nuove tecnologie informatico-cibernetiche, sia massmediologica, perché caratterizzata dalla massificazione dei canali di trasmissione/comunicazione e dal fatto che ai grandi megafoni sociali, i cosiddetti “persuasori occulti” di packardiana memoria[1], è affidata la gestione del consenso.

Le fake news come armi non convenzionali

Anche la guerra del nuovo millennio si svolge sui canali social e il fenomeno delle fake news è riuscito ad insinuarsi persino nello scenario bellico: nel terzo millennio la guerra si combatte anche sul web a colpi di disinformazione, propaganda e censura, nozioni che nel vocabolario strategico sembrerebbero tradursi, rispettivamente, in manipolazione, diffusione di notizie false e oscuramento di quelle vere. Il marchingegno della disinformazione, che si nutre facilmente dell’universo del web e dei social network, rappresenta un’arma non convenzionale con cui oggi si combattono i conflitti; un’arma che colpisce in modo subdolo, nascosto, mistificando la realtà, influenzando le opinioni e manovrando le convinzioni delle persone.

Tra le menzogne che circolano negli ultimi tempi relativamente al conflitto russo-ucraino merita di essere segnalata quella secondo cui il conflitto in corso sarebbe solo un’invenzione mediatica. “La guerra non esiste” si tuona dal Cremlino, si tratta di “un’operazione militare speciale”: una fake che la disinformazione disseminata dal governo russo e le manipolazioni dei telegiornali di Mosca hanno reso virale sui social. Perché le fake news hanno le stesse potenzialità di diventare virali come le notizie veritiere, e una volta che una falsa notizia diventa virale è difficile limitarne i danni, tant’è che anche le smentite degli organi di stampa ufficiali spesso non riescono a metterle a tacere. 

Dalla trasmissione del sapere alla conoscenza senza intermediazione

D’altra parte, per i giovani la principale fonte per attingere all’attualità è lo smartphone dove le notizie si avvicendano come fuochi d’artificio sui loro monitor. Scenari apocalittici spesso accompagnati da musiche ansiogene e uno strano pot-pourri di informazioni traboccano dalle piattaforme social: le immagini e i suoni disvelano al mondo la ferocia primitiva e selvaggia dell’uomo contro l’uomo, mentre i video, brevissimi e concitati, si susseguono in caotico divenire e ad una velocità tale da non consentire l’elaborazione di ogni singolo contenuto. I social, infatti, sono dei media privi di intelligenza. Intelligere, nel senso etimologico del termine (dal latino inter-legere), significa legare insieme i fatti e le informazioni per ricavarne il senso o almeno un senso plausibile, mentre sui social la costruzione e diffusione di immagini e informazioni non rispetta i criteri logici e sequenziali che antepongono le premesse alle conseguenze e le cause agli effetti. Trattandosi di forme di conoscenza disintermediate, che non passano cioè attraverso il vaglio di figure censorie, si assiste alla rottura dei paradigmi che sottostanno ai processi di trasmissione dei saperi all’opinione pubblica.

Il bombardamento di informazioni stimola un approccio emotivo

Ebbene, quel bombardamento di notizie, divulgate senza alcun filtro e senza la mediazione di uno sforzo interpretativo atto a ordinarle secondo una sequenza logica, incide sull’intelligenza emotiva dei giovanissimi fruitori che, attoniti e smarriti, non sempre riescono a decodificare quelle masse di informazioni trasmesse in maniera così frammentaria e disarmonica da non poter discernere la comunicazione dalla spettacolarizzazione, il documento dalle fake news. Colti nella loro debolezza ed emotività, e sommersi da tanto straripante sapere, i giovani risultano incapaci di gestirlo: condividono semplicemente i contenutiin linea con le proprie convinzioni, leggono e credono solo a ciò che dà conferma a sensazioni e pregiudizi.

I social come acceleratori delle informazioni

La diffusione di notizie false, incrementata dal proliferare di piattaforme disponibili sul web, risponde a due distinti ordini di motivi. Innanzitutto, l’istantanea condivisione degli annunci con un semplice click: in forza di questa loro intrinseca peculiarità, i social sono un veicolo privilegiato per diffondere notizie infondate in quanto agiscono da acceleratori ad effetto valanga.

In secondo luogo, le menzogne che circolano sul web sono verosimili, possiedono cioè una natura mimetica che le fa apparire non solo ammissibili, ma addirittura attrattive agli occhi di user distratti o servi volontari delle big tech companies[2], che utilizzano tattiche molto influenti nel modellare le informazioni. Facendo leva sulle emozioni di ignari e sprovveduti spettatori grazie ad immagini sensazionalistiche e video eclatanti, le fake news spingono tutti impercettibilmente verso una stessa direzione, perché il loro scopo è quello di produrre e consumare algoritmicamente un certo tipo di informazioni.

C’è un rischio diffuso di disinformazione

Le fake news, artatamente costruite dalla potente fabbrica dei troll (nel gergo del web, sono gli utenti anonimi), per inquinare il dibattito pubblico ed esaltare i sentimenti collettivi delle grandi masse (populismo), esistono da tempi immemori, anche se il termine è stato coniato negli Stati Uniti alla fine del 19° secolo, ad indicare storie inventate in ambito politico per danneggiare persone o istituzioni. Con riferimento ad un passato recente, già la pandemia ha fatto registrare massicce campagne di disinformazione sfociate in battages propagandistici, di così difficile discernimento per la collettività da mettere a rischio la salute pubblica. Oggi, sul tetro scenario della guerra in Ucraina, gli effetti di una notizia falsa o di un’affermazione diffamatoria, creano percezioni distorte della realtà mettendo a repentaglio i diritti irrinunciabili degli esseri umani.  

Uno studio condotto presso l’Università di Oxford[3] da un gruppo di ricerca intento a mettere in evidenza le recenti tendenze della propaganda computazionale, ha posto in luce che nel 2020 ben 81 Paesi erano ricorsi all’uso dei social media per diffondere la propria propaganda politica e che in 76 Paesi le Cyber Troops avevano utilizzato la disinformazione per instradare la convinzione pubblica.

È preoccupante il ruolo che la Rete e i social giocano sullo scenario socio-politico del nostro tempo. Un’ondata di insensatezza, con inverosimili ipotesi complottiste e assurde fantasticherie che sfiorano persino il negazionismo storico-scientifico, sembra aver rubato il campo ad una ragione sopita.

Tra complottismo e necessità di restare connessi

Dalla medicina alla tecnologia nulla sfugge alla dentata ruota d’ingranaggio dell’irrazionale che si ritaglia ampio spazio nel discorso pubblico pilotando le menti e i comportamenti di molte persone: per circa 3 milioni di italiani il covid-19 non è mai esistito, oltre 6 milioni di persone negano che l’uomo sia mai sbarcato sulla Luna, mentre per 13 milioni la tecnologia 5G è un sofisticato strumento per controllare la vita personale degli individui. È quanto è emerso dal 55° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, pubblicato nel dicembre 2021[4], mentre dalla rendicontazione del 16° Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione, pubblicato nel febbraio 2020[5] circa i dati relativi alla crescita dei consumi dei social in base all’età, è scaturito che la percentuale degli utenti saliva vertiginosamente tra i giovani della Generazione Z, composta dai nati a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio, come pure tra i giovani adulti, i cosiddetti millennial, che continuano a vivere all’ombra di Internet pur essendo diventati grandi. 

Il potere del pensiero narrativo

Ecco allora che il mondo degli adulti deve infrangere le frontiere di questa nuova evoluzione digitale ed entrare in soccorso dei giovani che ne sono i protagonisti: in famiglia o tra i banchi di scuola, agli adulti è affidato il compito di sostenere i ragazzi guidandoli nella rielaborazione critica diquel materiale disomogeneo, di quella frammentaria e polifonica moltitudine di conoscenze in modo da poterla inquadrare in una narrazione. Perché è proprio la narrazione, forma tipica di linguaggio nella scuola, che deve essere ricostituita insieme ai ragazzi: contro il pensiero schematico che campeggia sul monitor degli smartphone, il pensiero narrativo consente la creazione di significati culturali ed esistenziali come il ricordo, la retrospezione e il futuro, racconta l’evoluzione nel tempo e insegna loro a gestire la massa indistinta di informazioni. A fronte del bisogno ‘biologico’ di allacciare rapporti con il mondo mediante la connessione ad Internet, che per i giovani anziché uno strumento rappresenta ormai un luogo da abitare, c’è anche la necessità di difendersene per evitare che quell’incerto senso di pericolo che aleggia nel web si trasformi in angoscia.

Ritornare alle categorie per rappresentare il mondo

Cultura, formazione e riflessione critica: è questa la soluzione. La scuola ha il compito di guidare i nostri giovani ad esaminare avvedutamente il materiale che circola sul web, recuperando il proprio ruolo di servizio educativo di qualità garantito a tutti. Nell’orizzonte comunicativo digitale, particolarmente dinamico, parole e immagini dalla grande forza ipnotica assumono sempre più potere e risonanza. Con la loro forza persuasiva sono, infatti, capaci di fornire informazioni, sollecitare e rallegrare, ma possono anche essere utilizzate per operare disinformazione e, quindi, contraffare, ingannare, persuadere, estorcere consensi, offendere e distruggere. Modificata la struttura dell’esistere e dell’acquisire conoscenze, è tempo di riconquistare le strutture categoriali di rappresentazione del mondo (le spazio-temporali, per esempio) che nel virtuale scompaiono e divengono oggetto di arbitraria manipolazione: sullo schermo il succedersi degli eventi è casuale, dipende unicamente dalla vocazione di potere del padrone dell’emittente.

Ed è proprio ciò che succede oggi da parte del Cremlino: gli oligarchi russi, signori delle principali testate giornalistiche, orientano il sistema informativo imposto dalla Russia, che non lascia spazio all’informazione autonoma.

Distinguere il vero, il verosimile e il falso

Stando così le cose, è importante che la scuola recuperi lo spessore storico degli eventi. Da qui, la necessità per i nostri professionisti dell’educazione di contribuire a far chiarezza dotando soprattutto i giovanissimi degli strumenti idonei per discernere tra ciò che è vero e ciò che è verosimile, tra l’attendibilità dell’informazione diffusa e l’abilità di pratiche falsificatorie in mezzo alla massiccia mole di informazioni che attraversano la galassia del web e alla quale i nostri giovani hanno affidato la loro vita.

Questa modalità comunicativa attraverso forme di aggregazione che consentono ai social la sublimazione di qualsiasi velleità, è regressiva e fortemente rischiosa perché, affidandosi acriticamente all’opinione di turno, i giovani non riusciranno mai ad appropriarsi degli strumenti idonei per vivere autonomamente e in piena libertà.

Occorre, pertanto, ricondurre a consapevolezza e spirito critico il nucleo della vita di comunicazione dei giovani, illustrando loro i pericoli dell’essere sempre connessi in modo passivo. Occorre, per dirla con Andrea Melodia, “equilibrare il mito del palinsesto personale” in riferimento al fatto che i ragazzi si specchiano negli schemi biografici multimediali creati da loro stessi dopo averli tagliati su misura in base alle loro esigenze e preferenze, per cui, contemplando sé stessi, finiscono per concentrarsi sul loro stesso ombelico.


[1] Vance Packard, I persuasori occulti (prima pubblicazione1957), Einaudi, Torino, 2015.

[2] Big Tech Companies è il nome attribuito alle cinque società attualmente più grandi, dominanti e prestigiose nel settore della tecnologia dell’informazione degli USA. L’acronimo GAFAM spesso è usato in una connotazione negativa e sta per Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft.

[3] Bot e propaganda computazionale: automazione per la comunicazione e il controllo in “Social media e democrazia”, The Computational Propaganda Project, novembre 2020. Oxford, Regno Unito: Project on Computational Propaganda.

[4] 55° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2021, 3 dicembre 2021.

[5] 16° Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione, 20 febbraio 2020.