Non cognitive skills: anche ad essere si impara (se si insegna)

Fare il punto su un’etichetta ambigua ed esplicitare le implicazioni

L’11 gennaio scorso è stata approvata alla Camera la legge sulle “non cognitive skills” tradotte in italiano come “competenze non cognitive” e, se il Senato confermerà l’approvazione, sarà introdotta nel sistema scolastico italiano una innovazione importante. Proprio per questo è utile disambiguare la dizione “non cognitive skills”: lo stesso fatto di non aver chiamato altrimenti queste competenze indica una scelta mancata, perché sotto quella dizione si celano diversi significati che è opportuno esplicitare in vista di una loro condivisione. Per la scuola, è questa una esigenza fondamentale, se non si vuole lasciare all’improvvisazione e alle esigenze occasionali il tipo di proposte didattiche che verranno articolate nelle diverse classi.

Le etichette delle non cognitive skills

In primo luogo, quindi, conviene elencare le diverse sottospecie che l’etichetta sottintende:

  1. Competenze trasversali
  2. Competenze soft in contrapposizione alle competenze hard
  3. Life skills
  4. Competenze “chiave”
  5. Competenze socio-emotive

Da dove partire

Prima di specificare meglio ciascuna di queste categorie di competenze è necessario chiarire due punti principali:

1. per ognuna di esse è fondamentale riconoscere la sua origine – professionale, istituzionale o teorica/accademica – per poter comprendere gli ambiti di validità, la finalità per cui sono state proposte e gli strumenti che le connotano per la loro rilevazione;

2. se si pensa alla loro dimensione educativa, vale a dire se si vogliono promuovere a scuola e si ritiene comunque necessaria la loro acquisizione, allora si devono identificare con chiarezza programmi, procedure e metodi di insegnamento e, conseguentemente, gli strumenti coerenti per la valutazione del raggiungimento di questo obiettivo. In altri termini, per queste competenze non ci si può limitare a riconoscerne la presenza o assenza, ma vanno valutate solo se si è svolta una specifica azione professionale: c’è infatti un’etica della valutazione da rispettare per cui a scuola si può valutare solo ciò per il quale è stato previsto un intervento e non altro.

Le competenze trasversali

Le competenze trasversali sono “un insieme di abilità di ampio spessore che sono implicate in numerosi tipi di compiti, dai più elementari ai più complessi, e che si esplicano in situazioni tra loro diverse e quindi ampliamente generalizzabili” (Di Francesco 1998); sono indicate all’interno di una tripartizione, competenze di base, competenze trasversali, competenze tecnico-professionali.

Con questa locuzione si è inteso alludere alla necessità di disporre da parte delle persone di competenze ulteriori oltre a quelle tecnico-professionali. La proposta elaborata nell’ambito delle attività dell’ISFOL negli anni ’90 dello scorso secolo, voleva rispondere proprio all’esigenza sottolineata dal mondo del lavoro di porre attenzione a queste ulteriori competenze non riducibili solo a quelle strettamente professionali; come competenze trasversali sono indicate “diagnosticare, relazionarsi, affrontare”.

Implicito in questa definizione è che ci fossero competenze “across”, per così dire, che travalicassero lo stretto ambito disciplinare di competenza come, per esempio, affrontare un problema.  La ricerca cognitivista tuttavia, aveva messo da tempo in luce la forte contestualizzazione delle abilità cognitive per cui se si sa risolvere un problema in un ambito specifico, non è detto che si sia in grado di risolvere problemi in generale; c’è da chiedersi, inoltre, se la capacità di risolvere problemi in uno specifico ambito non attenga piuttosto ad una comprensione piena di ciò che si impara nel senso di una competenza di rielaborazione e di riflessione tipica piuttosto della metacognizione. Detto altrimenti, ci si potrebbe domandare se quando si fa riferimento al problem solving non si stia parlando in realtà di un corretto insegnamento disciplinare in cui la dimensione procedurale della conoscenza abbia altrettanto diritto di cittadinanza a scuola rispetto alla sola trasmissione dei contenuti.

Per quanto attiene alla trasversalità, infine, implicita nell’idea di trasferibilità delle competenze, si aprono questioni molto rilevanti, quale quella del passaggio tra scuola e lavoro che è tema di ricerca complesso e a cui sono stati rivolti diversi e specifici studi molto interessanti (cfr. Tuomi Grohn – Engestrom 2003/2012).

Competenze soft in contrapposizione alle competenze hard

Sulla scia delle riflessioni precedenti si può collocare il riferimento alle soft skills perché con questa locuzione si allude alle competenze a-disciplinari che sono altrettanto necessarie nel mondo del lavoro: collaborare, comunicare, saper lavorare in gruppo, mantenere gli impegni, negoziare decisioni condivise etc. Come si vede queste competenze, che potremmo intendere anche come relazionali, sono fondamentali per le comunità che intenzionalmente conducono attività per fini condivisi, (in tal senso anche le classi scolastiche potrebbero rientrare in questa definizione) e vi sono state diverse indagini a carattere professionale che hanno sottolineato la valenza per le organizzazioni degli stili di leadership e di governo dei gruppi che le promuovono. Tra i molti esempi, sono così funzione anche degli stili di leadership le capacità dei team di gestire cambiamento e innovazione (West et al., 2004) o le possibilità di “psychological empowerment” dei collaboratori (Richardson et al., 2021), chiare testimonianze di competenze “trasversali”[1].

Life skills

Questa locuzione è stata proposta dall’OMS (1992) in seguito al constatato fallimento di programmi di prevenzione di comportamenti a rischio da parte di adolescenti e giovani (uso di droghe, prevenzione di gravidanze precoci, comportamenti violenti etc.): “Con il termine skills for life si intendono tutte quelle skills (abilità, competenze) che è necessario apprendere per mettersi in relazione con gli altri e per affrontare i problemi le pressioni, gli stress della vita quotidiana. La mancanza di tali skills socio emotive, può causare in particolare nei giovani, l’instaurarsi di comportamenti negativi e a rischio in risposta agli stress”. Mediante l’individuazione di queste competenze e l’uso dei pari per la promozione della loro acquisizione, si aspirava a rendere i giovani più consapevoli indipendentemente dai curricoli scolastici a cui erano esposti. Sono stati sviluppati appositi programmi che hanno coinvolto direttamente anche il mondo della ricerca accademica (OMS, 1994). 

Competenze “chiave”

Con questa locuzione si intendono otto competenzeeuropee (indicate anche come competenze chiave di cittadinanza). Sono state definite dopo un lavoro di anni che ha condotto a quelle del 2006 e poi dopo una ulteriore lunga revisione condotta in collaborazione dal Parlamento europeo e dalla Commissione, nel 2018 si è pervenuto ad una nuova stesura (Raccomandazione approvata dal Parlamento europeo il 22 maggio 2018).

Le competenze chiave hanno la loro origine in ambito OCSE con il progetto DeSeCo (Salganik L.H. D.S. Rychen, U. Moser and J. Konstant, (1999) in cui un gruppo numeroso di studiosi di diversa nazionalità ha messo a punto un quadro concettuale con l’indicazione di tre grandi aree di competenza: usare strumenti in modo interattivo, interagire in gruppi eterogenei, agire autonomamente. Queste tre categorie di competenze risultano interrelate e hanno costituito il riferimento comune per identificare negli anni le diverse competenze chiave che sono alla base del progetto PISA e delle declaratorie recepite in documenti nazionali (v. in Italia nelle Indicazioni Nazionali per la scuola dell’obbligo) e internazionali.

Competenze socio-emotive (SESS)

Questa formulazione è la più recente, ma anche la più complessa ed esposta a contrapposizioni ideologiche; si deve agli studi di Heckman e collaboratori (Heckman, Kautz, Diris, Weel, Borghans, 2014, Vittadini, in Heckman, Kautz 2017) e alla ricerca intrapresa dall’OCSE proprio su queste competenze (OECD, 2021). 

L’indagine dell’OCSE sulle Competenze socio-emotive (SSES) ha riguardato studenti di 10 e 15 anni con i loro docenti e genitori; ha descritto queste competenze collegandole alle caratteristiche della famiglia, della scuola e, in senso ampio, anche al contesto socio-economico e politico.

La prospettiva concettuale di riferimento per queste competenze è quella dei tratti di personalità indicati dai Big Five, chiamati così per i cinque tratti generali individuati: Apertura mentale, Amicalità, Coscienziosità, Estroversione, Stabilità emotiva. Nella ricerca ciascun tratto è stato articolato in quindici aspetti specifici in modo da collegarli più direttamente alle caratteristiche degli individui[2].

Il progetto di Trento

Nella Provincia Autonoma di Trento sono state sperimentate attività a scuola collegate a questo filone[3] con un progetto molto articolato che ha previsto attività formative con i docenti e proposte per gli studenti; i temi a cui è ispirato il progetto sono: personalità e carattere, capitale psicologico, motivazione. Purtroppo, nel terzo anno della realizzazione si è dovuto fronteggiare il COVID 19 con le forti limitazioni imposte dal lockdown, ma alcune scuole hanno potuto continuare parzialmente le attività utilizzando le tecnologie. Molto interessanti sono le considerazioni di bilancio degli autori (Pisanu, Gentile, Poian e Bisello, cit): “… è importante sottolineare come un progetto complesso come quello trentino necessiti di un forte allineamento in tutti i livelli istituzionali: e dunque il supporto nella parte politico-amministrativa (assessorato), nell’infrastruttura tecnica (Dipartimento Istruzione), nelle scuole e all’interno delle singole scuole nei dipartimenti e/o nei consigli di classe. Senza tale allineamento, un tema come quello delle competenze non cognitive rischia di essere relegato nelle nicchie delle sperimentazioni, e di non diventare, dunque azione di sistema” (p. 272). Riprenderò in seguito queste riflessioni; mi preme ora sottolineare che la sperimentazione è avvenuta in un territorio come quello trentino ben noto per gli esiti scolastici positivi, sia nelle prove standardizzate nazionali e internazionali, sia per tutti gli altri aspetti che denotano la cura e l’investimento costante di quella Provincia sulle scuole. Possiamo soltanto immaginare per ora quali problemi si pongano nella prospettiva di un intervento esteso all’intero nostro Paese.

Non basta conoscere i contenuti…

La considerazione delle origini e di alcune implicazioni educative induce riflessioni ulteriori. Comune a tutte queste competenze è l’implicito che la sola trasmissione di contenuti a scuola non sia sufficiente per l’inserimento nella vita professionale e per l’esercizio pieno dei diritti di cittadinanza. Non sapersi relazionare agli altri, non essere in grado di assumere il loro punto di vista, non cogliere le emozioni proprie e altrui, per far solo alcuni esempi, non ci mette in grado di vivere in modo “sufficientemente buono” la vita quotidiana. Ma in questa constatazione rientrano competenze molto diverse che vanno dalla capacità di risolvere problemi, di assumere iniziative, di rispondere in modo flessibile a diverse situazioni, oltre alla capacità di collaborare, di mantenere gli impegni, di organizzare il lavoro e così via.

Si compone così un quadro di insieme che non è solo “non cognitivo” quanto piuttosto un continuum che muove dal cognitivo diremmo “alto” nel senso di far riferimento alla meta-cognizione e ai processi di elaborazione della conoscenza, sino al sociale, al relazionale e all’emotivo.

Gli ambiti di ricerca e promozione

Come si vede siamo in presenza di aspetti molto diversi che sono considerati e/o studiati:

  • in ambito professionale con una maggiore accentuazione pragmatica rivolta a fornire proposte ad aziende e alle loro organizzazioni;
  • in ambito accademico e di ricerca con prospettive che fanno perno piuttosto sulle modalità di rilevazione con una accentuazione in questo caso di aspetti psicometrici e di analisi fattoriale;
  • in ambito infine istituzionale, di organismi nazionali e sovranazionali, che a partire dalla necessità di promuovere competenze che facilitino la convivenza delle persone con diverse appartenenze culturali e le rendano consapevoli dei problemi ecologici che l’umanità si trova a fronteggiare, indicano quelle che sono considerate le competenze necessarie a tutti i cittadini.

C’è da distinguere tra questi diversi organismi quelli che si limitano a indicare queste competenze (Consiglio d’Europa) da quelli che promuovono ricerche finalizzate alla misura della loro acquisizione (OCSE e IEA).

Competenze “miste”: dal cognitivo al non cognitivo

Un ulteriore aspetto implicito nelle diverse proposte di tutte queste competenze, che rappresenta il punto più problematico e complesso dell’intera questione, risiede nella considerazione che si possano acquisire, anche quando si fa riferimento ad aspetti di personalità, sia come adulti mediante la formazione, sia in età scolare mediante opportuni interventi educativi, e che non siano quindi tratti individuali attitudinali. Quest’aspetto rischia, malgrado la diffusa consapevolezza dell’importanza di tali competenze, di non essere adeguatamente considerato.

Parliamo, infatti, di competenze per così dire “miste” che hanno a che fare con aspetti diversi, che vanno dal cognitivo al non cognitivo in un evidente continuum, e che toccano anche aspetti profondi del modo di essere e comportarsi. Questi caratteri mettono in luce quanti aspetti entrino pesantemente in gioco nelle manifestazioni di queste competenze: i contesti di vita, i comportamenti delle figure di riferimento, siano essi docenti o adulti posti in posizione gerarchica, le relazioni tra pari e le attese che le identità suscitano ed esplicitano. Considerarle quindi soltanto nella prospettiva del carattere e quindi individuale, per il quale si possono certo effettuare interventi educativi, appare largamente insufficiente e riduttivo proprio della loro complessità.

“Dichiarazione di pubblico valore”

A questo proposito risulta particolarmente interessante la “Dichiarazione di pubblico valore” (Public Significance Statement) posta all’inizio di un articolo pubblicato nell’American Psychologist di un ben noto (Maccarini, 2021) gruppo di accademici statunitensi (Mahoney et alii 2021) che si denominano CASEL (Collaborative for Academic, Social and Emotional Learning): “Un approccio sistemico per l’apprendimento sociale ed emozionale (SEL) crea le condizioni eque di apprendimento che coinvolge attivamente tutti i Pre-K sino al grado 12 nello sviluppo di competenze sociali, emozionali e accademiche. Decenni di ricerche mostrano queste competenze come induttive di esiti positivi a scuola e nella vita. Creare queste condizioni richiede l’allineamento di politiche, risorse e azioni a livello di stato e di distretto per supportare un processo di apprendimento coordinato mediante la partnership scuola-famiglia-comunità per potenziare lo sviluppo degli studenti”.

Un approccio sistemico per l’apprendimento sociale ed emozionale

Come è evidente si tratta di una dichiarazione che ha forti connotazioni nella cultura di quel paese ove il coinvolgimento dei genitori nell’educazione dei figli a scuola è un tratto diffuso e costante (quella che da noi potrebbe intendersi pressappoco come “continuità orizzontale”) e il senso di comunità costituisce una caratteristica identitaria comune. Va sottolineato, tuttavia, che aver proposto una prospettiva sistemica che arriva ad investire distretto e Stato, in un Paese dove l’individualismo competitivo è molto accentuato, mostra proprio la consapevolezza che queste competenze (non a caso si indica nell’acronimo SEL, la L per l’apprendimento e non la S per Skills) devono ispirare le azioni di tutti gli stakeholder ai diversi livelli in cui agiscono.

È evidente, nello stesso tempo, che gli aspetti culturali non si possono trasferire sic et simpliciter, ma le ricerche pluriennali del gruppo CASEL, centrate proprio sul ruolo dell’apprendimento a scuola e non come prospettiva di sola socializzazione, indica comunque che la complessità di queste acquisizioni va adeguatamente riconosciuta e presa in carico. Se ciò non avviene, il rischio che si corre è quello di finire per apprezzare e valutare tratti che hanno origini sociali, economiche e talora culturali su cui la scuola non ha esercitato alcuna influenza; non a caso nella dichiarazione riportata sopra si parla di condizioni “eque” di apprendimento.

Competenze non cognitive: scegliere quali insegnare

Preso atto delle debite differenze, quali potrebbero essere in Italia le conseguenze di una prospettiva sistemica per l’apprendimento delle competenze non cognitive a scuola?

In primo luogo, vanno considerate le riflessioni di bilancio per la sperimentazione trentina (prima citate) e rilevare i punti di affinità con la dichiarazione statunitense, anche se quest’ultima pone esplicitamente la necessità di un approccio sistemico che non vuol dire solo supporto largo alla sperimentazione, quanto piuttosto una visione coerente che coinvolga a diversi livelli tutti gli stakeholder.

In secondo luogo si dovrebbe scegliere tra le diverse competenze di questo tipo quali possono essere quelle più facilmente promovibili, per esempio saper lavorare in gruppo, mantenere un impegno rispetto ad una scadenza, assumere una responsabilità etc. L’organizzazione della didattica ovviamente dovrebbe cambiare perché non si imparano queste competenze attraverso  esortazioni verbali e lezioni; un simile mutamento richiede un diverso funzionamento del gruppo docente di una classe che deve ispirarsi agli stessi principi e condividere le modalità di proporre le diverse attività per ciascun ambito disciplinare.

Coinvolgere le famiglie

Tuttavia, proprio pensando alla connotazione di queste competenze, un ruolo importante va riconosciuto anche a coloro che con la scuola hanno anche a che fare, mi riferisco alle famiglie e al terzo settore. Quest’ultimo in particolare, proprio per il carattere informale delle relazioni che riesce a tessere con gli studenti, anche con quelli in maggiore difficoltà, potrebbe rappresentare lo strumento più adeguato per agganciare le famiglie e coinvolgerle, per quanto possibile, nell’educare a quelle competenze i propri figli e le proprie figlie. In Italia, infatti, poiché non c’è una tradizione di stretto collegamento tra scuola e famiglie, vanno individuate le risorse umane e materiali perché questa si costruisca, ben sapendo che una finalità come quella di cui stiamo trattando, vale a dire l’acquisizione di competenze “non cognitive”, non si può perseguire con il solo insegnamento a scuola, ma, come la dichiarazione statunitense suggerisce, è necessario l’apporto di diversi altri stakeholder.

Territorio come comunità educante

Una considerazione ulteriore rispetto all’apprendimento di alcune di queste competenze è quella che si possono acquisire anche, e forse meglio, in contesti informali. Lo testimoniano molte esperienze condotte da cooperative del terzo settore che lavorano in connessione più meno diretta e stabile con le scuole, come ad esempio le sedimentate attività collaborative dell’Associazione Ubalda Bettini Girella di Rovereto, della Cooperativa Dedalus di Napoli o, più in generale, l’esperienza degli Scout.

Per quanto riguarda questi ultimi è noto che l’esercizio di responsabilità, di rispetto dell’ambiente, dello spirito di iniziativa sono propri di bambini e bambine e di adolescenti che frequentano gli scout; in certi casi potrebbe apparire che siano posti in situazioni addirittura insolite per la loro età, ma le abitudini che vengono apprese, i modi di comportarsi finiscono per caratterizzare e far riconoscere positivamente coloro che hanno fatto da giovani questa esperienza.

Nell’ambito proprio di una prospettiva più ampia di Patti di comunità e di considerazione del territorio intorno alle scuole come Comunità educante, le proposte di apprendimenti informali relativi a quelle competenze potrebbero addirittura invertire o almeno compensare le abituali gerarchie implicite tra gli alunni e le alunne nelle classi rispetto agli apprendimenti accademici e porre in una luce diversa alcuni/e loro compagni/e. Sono prospettive come si vede nuove e interessanti che potrebbero costituire un elemento  di rinnovamento nelle nostre scuole da valorizzare e potenziare.

Una responsabilità di tutti

D’altra parte, anche soltanto limitando la nostra attenzione all’apprendimento scolastico, risulta evidente la necessità di predisporre attività sistematiche, iniziative e procedure che siano passibili di verifiche per la loro efficacia e di valutazione in vista delle modifiche che si renderanno necessarie.

Si tratta quindi di avanzare proposte credibili e sperimentate per i docenti in modo da non attribuire loro un ennesimo compito senza che ne abbiano le competenze e siano adeguatamente formati. Direi che è una questione di serietà: se si ritiene fondamentale questo tipo di acquisizioni, non si possono non assumere tutti gli altri impegni politici, sociali ed economici che ne derivano. Sono necessari, pertanto, programmi e realizzazioni che prevedano il coinvolgimento a diversi livelli di coloro che potrebbero rendere davvero efficace questa innovazione nel nostro sistema scolastico.

Riferimenti bibliografici

Di Francesco G. (1998) (a cura di), Unità capitalizzabili e crediti formativi. Metodologie e strumenti di lavoro e I repertori sperimentali, ISFOL Milano: Franco Angeli.

Heckman J.J., T. Kautz, R. Diris, B. Weel, L. Borghans (2014) Fostering and Measuring Skills: Improving Cognitive and Non Cognitive Skills to Promote Lifetime Success Paris: OECD.

Maccarini A. M. (2021) Le character skills nel processo di socializzazione p.43-65 in G. Chiosso, A. M.Poggi e G. Vittadini (a cura di) Viaggio nelle character skills Bologna: Il Mulino.

Mahoney J.L., R P Weissberg, M.T. Greenberg, L. Dusunbury, R.J.Jagers, K. Niemi, M Schlinger, J. Schlund ,T.P.Shriver, K. VanAsudal and N. Yoder (2021)  Systemic Social and Emotional Learning: Promoting Educational Success for All Preschool to High School Students   American Psychologist  2021 vol 76 No 7 p 1128-1142  Pubblicato Online per la prima volta  8 Ottobre 2020.

OECD (2021), Beyond Academic Learning: First Results from the Survey of Social and Emotional Skills, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/92a11084-en.

OMS (1992) Skills for Life Bollettino OMS n. 1.

OMS (1994) Life skills education for children and adolescents in schools. Pt. 1, Introduction to life skills for psychosocial competence. Pt. 2, Guidelines to facilitate the development and implementation of life skills programmes, 2nd rev. World Health Organization. https://apps.who.int/iris/handle/10665/63552

Richardson H. A., Kluemper D. H., & Taylor S. G. (2021). Too little and too much authority sharing: Differential relationships with psychological empowerment and in-role and extra-role performance. Journal of Organizational Behavior, 42(8), 1099 – 1119. https://doi.org/10.1002/job.2548

Rychen D.S. and L.H. Salganik (2001) (eds.) Defining and selecting key competencies, cit. in https://www.oecd.org/pisa/definition-selection-key-competencies-summary.pdf

Rychen D.S. L.H. Salganik (2003) (eds.) Key competencies for a successful life and a well-functioning society cit. in https://www.oecd.org/pisa/definition-selection-key-competencies-summary.pdf

Rychen D.S. L.H. Salganik, and M.E. McLaughlin (2003) (eds.) Contributions to the second DeSeCo symposium cit. in https://www.oecd.org/pisa/definition-selection-key-competencies-summary.pdf

Salganik L.H. D.S. Rychen, U. Moser and J. Konstant (1999) Projects on competencies in the OECD context: Analysis of theoretical and conceptual foundations cit. in https://www.oecd.org/pisa/definition-selection-key-competencies-summary.pdf

Tuomi Grohn T. Y. Engestrom (2003) (eds)Between School and Work: New Perspectives on Transfer and Boundary-Crossing. Boston: Pergamon (trad. ital. A.M. Ajello A. Sannino (2012) (a cura di) Tra scuola e lavoro Studi su transfer e attraversamento di confini Bologna: Il Mulino.

Vittadini G. (2017) Introduzione a Heckman J.J., T. Kautz Formazione e Valutazione del Capitale Umano Bologna: Il Mulino.

West, M. A., Hirst, G., Richter, A., & Shipton, H. (2004). Twelve steps to heaven: Successfully managing change through developing innovative teams. European Journal of Work and Organizational Psychology, 13(2), 269–299. https://doi.org/10.1080/13594320444000092


[1] Ringrazio il collega prof. Marco Depolo per questi riferimenti bibliografici.

[2] Dagli anni ’60 il concetto di personalità si è evoluto, configurandosi come un cluster di stili di comportamento tendenzialmente trasversale agli ambiti di vita e relativamente stabile nel tempo; quando si passa poi all’operazionalizzazione di queste SSES si vede bene che tornano ad essere competenze situate. Anche quando i dati mostrano una correlazione tra acquisizione di competenze relazionali e estroversione, questa correlazione non è mai decisiva, neppure nei contesti lavorativi, se la variabile dipendente è la possibilità/facilità di acquisizione e non l’esercizio di queste competenze (Marco Depolo, comunicazione personale).

[3] Cfr. Vittadini, Folloni e Sturaro 2021 in Chiosso, Poggi, Vittadini, 2021; Pisanu, Gentile, Poian e Bisello 2021 in Chiosso, Poggi, Vittadini, 2021.