Buon compleanno scuola media

Una scuola di base che fa fatica a svolgere i suoi compiti

Fra qualche mese la scuola media, oggi secondaria di primo grado, compie sessant’anni (31 dicembre 1962, legge 1859), ma c’è poco da festeggiare, dice un reportage del Corriere della Sera, che va ad aggiungersi ad un coro di delusi. Da una serie di nobili principi iniziali, nel tempo si sono via via evidenziate tante criticità tanto che qualcuno ha auspicato anche la sua abolizione[1]. Di fatto, già una legge, che non è andata però in porto[2], aveva tentato di sottrarle un anno per rinvigorire maggiormente i due segmenti ritenuti più efficienti per il nostro sistema: quello della scuola primaria e quello della scuola superiore.

Un progetto culturale di non facile attuazione  

Negli anni Sessanta, la scuola media unica, obbligatoria e gratuita, ha certamente contribuito ad elevare il livello culturale di “ciascun cittadino e di tutto il popolo italiano”, soprattutto per le zone rurali e per i territori più disagiati. Non fu facile, però, per una scuola disegnata su un “preadolescente” degli anni Sessanta, costruirsi un’identità adeguata, contesa fin dall’inizio da una post-elementare e una secondaria di stampo ginnasiale. Il curriculum triennale rigido e l’approccio alle discipline frammentato, anziché realizzare il fine prioritario della scuola media, cioè quello orientativo, riportarono ad una concezione selettiva senza, tra l’altro, far diminuire gli insuccessi e i rischi concreti di abbandono.

Una scuola troppo rigida

La mancanza di flessibilità del piano di studi rese più difficile sia la possibilità di personalizzare il percorso educativo sia una collaborazione più efficace con le famiglie e le realtà del territorio; né contribuì, di fatto, ad eliminare i divari tra le diverse realtà sociali. I tre anni del percorso di studi, senza ulteriori e adeguati sviluppi e rapporti con un contesto formativo allargato, si rivelarono ben presto insufficienti per far fronte ai cambiamenti fisiologici e psicologici degli alunni e ai loro ritmi di apprendimento che richiedevano tempi e modi più distesi e articolati.

La risposta degli Istituti comprensivi

Una riforma migliorativa fu quella degli “istituti comprensivi”: univano sotto la stessa dirigenza le scuole dell’infanzia, le scuole primarie e le scuole secondarie di primo grado.  Una soluzione teoricamente efficace per l’ottimizzazione delle risorse che ne derivava, e soprattutto per l’integrazione delle competenze professionali. Tale soluzione, però, ha dovuto fare i conti con molteplici problemi: da una applicazione a macchia di leopardo iniziale ad una permanente diffidenza da parte degli stessi docenti che, ancora oggi, vivono spesso “sotto lo stesso tetto da separati in casa”. L’istituto comprensivo, in realtà, rappresenta la struttura ideale per recuperare la dimensione unitaria del progetto educativo, la continuità del curricolo, l’attenzione alla persona. Poteva infatti trarre beneficio dalla possibilità di organizzare in maniera più articolata ed efficace le aree disciplinari grazie anche alla presenza di docenti con professionalità diverse che, attraverso una buona collaborazione, possono rendere più significative le fasi di passaggio tra un grado e l’altro.

Continuità tra cicli

L’istituzione del primo ciclo d’istruzione, con la legge 53/2003, può essere considerato il riconoscimento formale di una idea di continuità verticale, anticipata quasi un decennio prima dagli Istituti comprensivi (legge 97/1994); si collega sia con la scuola dell’infanzia (oggi possiamo dire, con il sistema integrato 0-6) sia con le scuole secondarie di secondo grado e con i relativi indirizzi di studio. Tale organizzazione favorisce una progettazione integrata a partire dai “campi di esperienza” della scuola dell’infanzia che costituiscono un valore aggiunto sul piano dell’alfabetizzazione. Il processo di affinamento dei saperi nella scuola primaria proseguirà poi nella scuola secondaria di primo grado. Le discipline, a volte declinate in aree di apprendimento, rappresentano qui un veicolo di tipo orientativo (era questa, infatti, la vera natura di quest’ordine di scuola, ben definita nella legge istitutiva). Sono undici anni, quelli della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione che servono per raggiungere da un lato obiettivi formativi e inclusivi (attraverso un insegnamento personalizzato) e dall’altro un’offerta omogenea su tutto il territorio.

Facilitare la fase di transizione

Se dunque il primo ciclo sarà in grado di rispondere bene alla sua mission, allora lo studente nel secondo potrà concretizzare il suo potenziale vocazionale. Nel corso delle attività del primo anno della scuola secondaria di primo grado metterà alla prova le sue vocazioni che, alla fine del percorso, potrà indirizzare verso una scuola secondaria di secondo grado scegliendo gli indirizzi più consoni, o verso una filiera professionalizzante in base alle offerte del territorio.

La questione dell’obbligo a sedici anni

L’innalzamento dell’obbligo scolastico a sedici anni ha reso ambigua l’identità della scuola secondaria di primo grado. L’obiettivo era quello di rendere il biennio superiore maggiormente fruibile attraverso un curricolo per aree disciplinari. Un tentativo che sembrava da un lato rendere più coerente tale segmento con il triennio precedente, anche se diviso da un esame di Stato, dall’altro creare un percorso capace di farsi carico, in maniera diretta, della dimensione orientativa. Ciò significava affrontare in maniera coerente i tanti problemi di crescita dei giovani e intervenire anche sui possibili disagi sociali e territoriali, stringendo un più efficace scambio con la formazione professionale.

Un percorso professionale debole

Non essendoci stata un’adeguata riorganizzazione del settore professionale, l’obbligo a sedici anni si è rivelato in tutta la sua fragilità. Sarebbero stati necessari interventi più appropriati su tale filiera, ma così non è stato e, ancora oggi, rendere attrattivo il percorso professionale rappresenta uno dei principali problemi da affrontare.

Allo stato attuale il primo e il secondo ciclo restano segmenti staccati, anche per via della rigidità dei piani di studio delle scuole secondarie di secondo grado che non favoriscono percorsi di riorientamento, di recupero, di consolidamento: i giovani che non ce la fanno a seguire tali percorsi sono destinati all’abbandono, con l’unica possibilità di rifugiarsi nella formazione professionale, con tutte le sue storiche carenze.

L’autonomia come risorsa reale

Bisogna interpretare in maniera corretta le Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012 che ben avevano sottolineato le finalità specifiche della “scuola media”: accompagnare lo sviluppo dello studente sul piano fisico e cognitivo attraverso una didattica sempre più attenta alle sue caratteristiche. Il ricorso sul piano didattico, per esempio, a “compiti di realtà” da sempre viene considerato efficace per collegarsi meglio con il mondo reale e per far emergere interessi e inclinazioni.

Una effettiva autonomia delle scuole consente di operare nelle realtà più variegate, come “presidio pedagogico del territorio”. Un buon uso dell’organico di Istituto aiuta a migliorare la qualità dell’offerta attraverso collaborazioni professionali aperte al territorio e attraverso azioni di continuità verticale e orizzontale con agenzie educative esterne.

Su questo fronte sono state realizzate esperienze di successo anche nei territori più difficili. Si tratta di consolidare una struttura multilivello attraverso interventi mirati e con una progettazione educativa e didattica più adeguata. Bisogna altresì intervenire, in maniera più strutturale, soprattutto sulla formazione dei docenti.

Il piano finanziario per le scuole estive, rilanciato dal ministro Bianchi, va verso questa direzione. Bisogna, tuttavia, garantire, a tutte le scuole del primo ciclo, la stabilità dell’investimento, non solo in base all’andamento demografico, ma ai bisogni effettivi dei territori.

La questione docente

La questione dei docenti va rilanciata sicuramente sul piano della formazione, ancor più su quello della consistenza organica. Se si aumenta il tempo scuola per gli alunni, crescono pure gli scopi e le funzioni della scuola stessa: può diventare anche un centro civico ben collegato con il territorio.

Bisogna fare i conti però con la carenza di orientamento e con la mancanza di attrattività verso le professioni educative. Sono problemi che nel tempo stanno crescendo pericolosamente e rischiano di mettere in crisi non solo il consueto sistema di reclutamento, ma anche le innovazioni previste dai nuovi provvedimenti (Decreto legge 36 del 30 aprile 2022). Certo un percorso accademico che preveda appositi laboratori e tirocini disciplinari, come avviene per i docenti della primaria (e come, tra l’altro, è ipotizzato nell’articolo 44 del Decreto legge citato) potrebbe aiutare a contestualizzare maggiormente le competenze professionali. A ciò va aggiunto un curricolo meglio ridefinito, che superi l’autoreferenzialità disciplinare e che vada verso l’ottica dell’integrazione dei saperi: un curricolo più rispondente sia alle esigenze degli studenti sia a quelle dei docenti che hanno bisogno di scambi professionali e di contesti sollecitanti.

Verso una nuova scuola media

Dopo sessant’anni la nostra “scuola media” sembra aver trovato posto nel consolidamento degli Istituti comprensivi che, malgrado le ancora persistenti criticità, stanno dando prova di maturità sapendo beneficiare del lavoro della scuola dell’infanzia e della scuola primaria e sapendo restituire, alla scuola che segue, quei saperi che servono agli studenti per diventare persone e cittadini responsabili. Dare solidità a tale impianto organizzativo, anche dal punto di vista pedagogico-didattico, potrebbe essere la strada che porta a risolvere, almeno in parte, le fragilità cognitive e gli insuccessi scolastici.


[1] Cfr. Rapporto Fondazione Agnelli 2021 e Rapporto fondazione Agnelli 2011.

[2] Si trattava della legge Berlinguer-De Mauro del 10 Febbraio 2000, n. 30. Prevedeva un ciclo primario (scuola di base), esteso a otto anni come nel modello francese, comprendente le elementari e le medie, e un ciclo secondario, esteso a cinque anni e articolato in cinque differenti aree: umanistica, scientifica, tecnica, artistica e musicale.