La bocciatura non è una leva per l’apprendimento

Servono modalità valutative diverse, rigorose e più efficaci

L’inizio di un nuovo anno scolastico ripropone frequentemente temi che richiamano serrati confronti e punti di vista a volte diametralmente opposti. Il problema della valutazione degli apprendimenti è certamente uno di questi ed alimenta anche nella pubblica opinione posizioni spesso divisive. In particolare, la non ammissione alla classe successiva, più nota come bocciatura, accentua ulteriormente il giudizio tra coloro che difendono rigore e logiche sanzionatorie, e chi invece considera questa scelta antistorica e soprattutto ingiusta e discriminante.

Sostituire la bocciatura

Provo ad affrontare lo spinoso problema, prendendo spunto da una riflessione di Giancarlo Cerini nel libro Atlante delle riforme (im)possibili [1]. Nella scheda 14 (Una valutazione mite), tra i possibili obiettivi da rivedere (voti, giudizi, certificazione…), egli ipotizza di: “sostituire la bocciatura attraverso misure di differenziazione e di compensazione adeguate ed efficaci, da effettuarsi sia durante l’intero anno scolastico, sia durante il periodo di sospensione delle lezioni”.

Aggiunge poi che, oltre alla valutazione del docente, dovrebbe essere presa in esame l’autovalutazione dell’alunno e la valutazione tra pari.

Tale cambio radicale dell’impianto valutativo, secondo Cerini, “comporta un forte investimento sulle fragilità”. Quest’ultima osservazione coglie il nodo del problema: la bocciatura, infatti, continua a colpire le fasce più vulnerabili della popolazione scolastica. Questo dato non è certo una novità. Dal j’accuse di don Lorenzo Milani negli anni Sessanta ad oggi, le cose non sono cambiate granché.

Dalla standardizzazione alla personalizzazione della valutazione

Nella valutazione degli apprendimenti il criterio che più frequentemente viene utilizzato dagli insegnanti è riconducibile al parametro sommativo, cioè di fine percorso. Prevale, di conseguenza, la logica del controllo e del resoconto misurativo. Tale approccio, nel momento in cui diventa l’unico metro di riferimento, rischia di trasformarsi in un atteggiamento punitivo che, come già sottolineato, colpisce gli alunni che provengono dalle fasce più svantaggiate sul piano economico, sociale e culturale. La situazione di partenza, i processi attivati, i progressi avvenuti… vengono di fatto espunti; prevale la prassi dell’insegnamento standardizzato e conseguentemente di una valutazione “mediamente buona” per tutti. Dimenticando che non c’è nulla di più ingiusto che “fare parti uguali tra disuguali”. Non l’ha detto solo don Milani. I grandi maestri del Novecento, Mario Lodi, Gianni Rodari, Bruno Ciari, lo stesso don Luigi Giussani sul versante cattolico, si collocano sulla medesima lunghezza d’onda.

Non va poi dimenticato che, oltre ad un richiamo squisitamente pedagogico, anche il quadro normativo va in questa direzione. Nelle Indicazioni nazionali per il curricolo (scuola dell’infanzia e primo ciclo di istruzione) del novembre 2012, si afferma che “la valutazione precede, accompagna e segue i percorsi curricolari. Attiva le azioni da intraprendere, regola quelle avviate, promuove il bilancio critico su quelle condotte a termine. Assume una preminente funzione formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento continuo”.

A questo modello di valutazione faceva riferimento Giancarlo Cerini. Non si discute il rigore nel momento dell’accertamento al termine di un’attività, ma la dimensione formativa dell’azione valutativa che prevede soprattutto sostegno, accompagnamento, riconoscimento dei progressi, incoraggiamento… Dunque, una valutazione per l’apprendimento, come sottolineato nell’ordinanza ministeriale 172/2020, che ha introdotto il giudizio descrittivo nella scuola primaria.

Che fare?

Una cosa è certa: la bocciatura non è la leva più favorevole all’apprendimento. La bocciatura In Italia si distribuisce in modo crescente dalla scuola primaria (dove è prevista solo in casi eccezionali) alla scuola secondaria di primo grado (circa il 4%), alla secondaria di II grado (oltre il 10%). Si bocciano gli alunni:

  • nella criticità dell’età adolescenziale (15-16 anni);
  • nelle aree più povere del Paese;
  • nelle regioni nelle quali i servizi educativi risultano carenti e spesso inesistenti.

Coloro che rimpiangono la scuola di un tempo non possono non prendere atto che il nostro sistema di istruzione non è riuscito (e non riesce) a rimuovere gli ostacoli che si frappongono al successo formativo, riproducendo in larga misura un modello di selezione su base sociale.

Come possiamo rispondere allora alla questione posta da Giancarlo Cerini?

Un interessante riferimento è senz’altro quello introdotto nella recente riforma dell’istruzione professionale (decreto legislativo 61/2017 e successivi provvedimenti attuativi).

Nel biennio (il sistema dell’IP è articolato in un biennio e in triennio), che corrisponde alla fascia di età 14-16 anni, quella più bersagliata dalle bocciature, la valutazione tiene conto dell’intero percorso. Si stabilisce pertanto un arco temporale più lungo (rispetto alla classica annualità) per esprimere una complessiva valutazione, basata peraltro sul Progetto Formativo Individuale (P.F.I.). Alla fine del primo anno, il consiglio di classe valuta quattro possibili situazioni a cui corrispondono specifiche azioni da parte dei docenti.

Le opzioni dell’istruzione professionale

Qual è la novità dell’istruzione professionale? Nella recente riforma, la seconda dopo quella del 2010, al termine del primo anno possono determinarsi queste situazioni:

  1. il P.F.I. non ha bisogno di particolari adeguamenti, in quanto lo studente ha raggiunto una valutazione positiva in tutte le discipline di insegnamento, maturando le competenze previste. Viene conseguentemente ammesso al secondo anno e il P.F.I confermato;
  2. il P.F.I. necessita di adeguamenti per varie ragioni. Si può, ad esempio, prevedere un cambio di indirizzo, il passaggio dall’IP all’istruzione e formazione professionale (IeFP). Anche in questo caso l’alunno viene ammesso alla classe seconda. Il P.F.I. potrà essere modificato anche all’inizio dell’anno scolastico successivo;
  3. il P.F.I. deve essere revisionato, in quanto lo studente ha riportato una valutazione negativa in una o più discipline. In tal caso egli è ammesso alla classe successiva e la revisione del Progetto Formativo Individuale potrà prevedere la partecipazione nel secondo anno ad attività mirate al recupero dei “debiti” che la scuola è tenuta ad organizzare, eventualmente anche nei mesi estivi;
  4. il P.F.I richiede una nuova progettualità e viene prorogato di un anno, in quanto l’alunno ha riportato valutazioni negative e deficit nelle competenze attese tali da non poter ipotizzare il pieno raggiungimento degli obiettivi di apprendimento al termine del secondo anno, neanche a seguito di adattamenti del P.F.I. In questo caso, non viene ammesso alla seconda classe.

Un modello da estendere?

È possibile immaginare che la scelta fatta nei percorsi di istruzione professionale possa essere estesa anche ai Licei, agli Istituti tecnici e, perché no, anche ai primi due anni della scuola secondaria di primo grado? Io penso di sì. È del tutto evidente che la costruzione di un sistema d’istruzione che si ispiri realmente al principio della giustizia educativa richiede forti investimenti.

“Biennalizzare” la valutazione didattica nei primi due anni della scuola secondaria di primo e di secondo grado rappresenta una scelta che può ridurre sensibilmente insuccessi e abbandoni, a condizione che vengano ripensati profondamente approcci educativi, tempi di studio e soprattutto costruito un sistema formativo incentrato, come nell’istruzione professionale, su un Progetto Formativo Individuale.

Si tratta di ipotizzare un curricolo di biennio con azioni di accompagnamento e supporto a scuola, a casa e in altri contesti di aiuto pomeridiano. Come per l’I.P., anche per gli altri indirizzi e gradi scolastici, risulta fondamentale il ruolo del docente tutor al quale spetta il compito di monitorare l’andamento del P.F.I. e individuare gli interventi di recupero e potenziamento per ogni singola/o alunna/o.

Per i ragazzi in difficoltà dovrà essere previsto, all’interno del curricolo personalizzato, un monte ore da destinare ad interventi di compensazione per rimuovere carenze e ritardi.

Una valutazione inclusiva (non clemente!) richiede la presenza di insegnanti altamente preparati sul piano educativo, disciplinare, metodologico, organizzativo e frequenti momenti di co-docenza per intervenire con prontezza sulle difficoltà degli studenti fragili, ma anche sulle eccellenze di quelli ad alto potenziale intellettivo (gifted chidren).

Pensiamoci…

Personalizzare un percorso significa agire in modo che la fragilità e i punti di forza di ogni alunno vengano riconosciuti attraverso la valorizzazione delle sue potenzialità.

Una cosa è certa: la bocciatura, senza che si faccia niente per risolvere il problema alla radice, è un atto di sfacciata ingiustizia. Anche per tale ragione, questo tema, depurato da visioni ideologiche (che sono sempre di parte), può diventare un elemento di confronto che merita di essere ripreso nel corso dell’anno che sta per iniziare.


[1] Cerini G. (2021), Atlante delle riforme (im)possibili, Tecnodid, Napoli.