Una scuola che “merita”

Come insegnare ad apprendere e ad essere felici

“Mamma, urlano e picchiano sul tavolo” dice il mio bambino di 6 anni. “Sì, è pazzesco che usino il fischietto e urlino”. Ho messo piede a scuola per l’iscrizione: il rumore delle classi era così forte che mi chiesi come diavolo fosse possibile concentrarsi con quel frastuono. Ho anche dato un’occhiata di sfuggita ad un’aula in cui un bambino di circa 7 anni stava svolgendo un esercizio di fronte ad un insegnante arrabbiato che sprezzante, guardava dall’alto in basso non solo il bambino alla lavagna ma tutti gli alunni. Era scioccante!

Un vistoso demerito

Sono gli stralci più incisivi della lettera della mamma di quattro studenti finlandesi che, grazie alla tipologia del lavoro dei genitori, possono crescere, studiare e vivere in più parti del mondo e, in particolare, nei Paesi europei.

La famiglia è stata prima in Inghilterra e poi in Spagna apprezzandone il sistema scolastico e dando per assodato che, anche in Italia, ci fosse – pur nelle differenze che caratterizzano ogni Paese – un sostanziale allineamento organizzativo e di metodo.

Non è andata bene e la signora Elin Mattsson (pittrice) ha ritenuto doveroso inviare una lettera critica sul sistema scolastico italiano. La lettera è stata pubblicata dal giornale “Siracusa news” e subito è circolata nel web diventando virale.

Eppure la signora Mattsson con il marito e i quattro figli avevano scelto l’Italia, e in particolare la Sicilia, per la qualità che quella regione sembrava offrire in quanto a storia, cultura, arte, monumenti, clima, tradizione alimentare, mare, coste, isole minori. Qualità che fanno innamorare tutti.

Oltre alla legittima preoccupazione per la qualità dell’educazione e della relazione con l’ambiente e i coetanei, i genitori finlandesi hanno anche sottolineato alcuni casi di scarsa professionalità: un maestro ingiurioso ed una insegnante di inglese meno brava del ragazzo finlandese.

Evitare una difesa nazionalistica

Crediamo alle parole della famiglia e, senza trovare alibi, cerchiamo di riconoscere gli errori gravi che attengono alla professionalità del mondo della scuola e gli errori cronici che attengono al sistema.

Il silenzio, fino ad oggi, quasi totale (10 gennaio) dei responsabili dell’istituzione scolastica, implicitamente sotto accusa, dell’USR Sicilia e del Ministero stesso hanno indotto a pensare al sistema “nostrano” di affrontare i problemi “fastidiosi”: facciamo meno clamore possibile e tra qualche giorno nessuno ricorderà più questa brutta storia.

Torniamo agli errori evidenziati dalle dichiarazioni della signora Mattsson. I primi (quelli professionali) dovrebbero essere assolutamente portati in rilievo e non nascosti. Qui però emerge tutta la struttura spesso clientelare del settore pubblico, la tendenza a sorvolare, la difesa sindacale anche dei comportamenti oggettivamente inaccettabili, la lentezza delle procedure disciplinari, senza citare la lentezza della stessa giustizia amministrativa, qualora sia possibile accedervi. I Tribunali italiani sono tra i più lenti non solo in Europa: secondo le note classifiche sulla durata dei processi, siamo dietro anche ai Paesi dell’Asia, dell’Africa e del Sud America.

Gli errori professionali

Non illudiamoci, tanti genitori, come tanti ragazzi si ritroveranno negli esempi citati dai figli della signora Mattsson perché:

  • c’è ancora una parte del mondo scolastico che crede non solo nella durezza pedagogica, ma nella loro quasi investitura divina di autorità indiscutibile;
  • alcuni sono semplicemente “ignoranti”. Non ci solo altri termini di fronte alla rozzezza di certi comportamenti persistenti e inaccettabili in qualsiasi contesto. Sono ignoranti quelle persone che ritengono di possedere il sapere e di doverlo impartire a chiunque;
  • ci sono persone che sono prepotenti e supponenti anche nella vita di ogni giorno: lo vediamo nelle file al supermercato o dal parrucchiere.

Ci riferiamo, certamente, ad una minoranza del personale scolastico non all’altezza della mission educativa e istituzionale che ritroviamo in tutti gli ordini di scuola. Spesso, queste persone sono protette sia da colleghi e superiori tolleranti e pazienti sia, a volte, dagli stessi genitori. È un comportamento assai noto a chi lavora nel mondo della scuola.

Gli errori di sistema

I secondi errori, quelli di sistema, non li scopriamo grazie alla lettera di una istruita ed attenta signora finlandese: li conosciamo molto bene e da tempo.

Non solo i fatti ma le statistiche nazionali ed internazionali fanno emergere la precarietà strutturale del sistema scolastico italiano e la mancanza di efficacia. Mentre noi, dal 2000 ad oggi, abbiamo dato grandi picconate alla nostra scuola facendo tagli, altri sistemi scolastici europei hanno investito sul futuro dei giovani, a partire dagli obiettivi di Lisbona 2000 e dallo sviluppo delle competenze.

Il vulnus dei docenti precari

I comportamenti denunciati, probabilmente hanno radici lontane, e vogliamo pensare che siano sporadici.  In vent’anni, per esempio, è aumentato il precariato: da un fisiologico 5-10 per cento a cifre che sfioreranno nell’a.s. 2023-2024 il 50% in Lombardia e il 30% in Piemonte, Veneto ed Emilia. Oggi in Italia c’è, in media, un docente precario su cinque in organico: ciò vuol dire che in un collegio di cento docenti ci sono 20 precari; questi sono informati della scuola dove andranno ad insegnare soltanto tra il 20 agosto ed il 5 ottobre di ogni anno scolastico.

In tale situazione, diventa difficilissimo, se non impossibile, pensare allo sviluppo delle risorse umane (obiettivo di risultato per i dirigenti scolastici) ed alla migliore assegnazione dei docenti alle classi.

È un punto di partenza molto triste per sostenere il miglioramento della qualità dell’istruzione, specialmente se lo confrontiamo con la riforma della scuola elementare del 1982-1990 che aveva collocato la nostra scuola primaria al quarto posto in Europa.

Abbassamento degli standard professionali

Gli stessi sindacati non sono riusciti a fare molto per arginare questa discesa impetuosa di qualità. Ci sono stati, negli ultimi decenni, solo due grandi scioperi: il primo contro il Ministro Berlinguer che voleva incentivare gli insegnanti attraverso un concorso pubblico, l’altro contro la riforma di renziana memoria (legge 107/2015), marchiata subito come legge dei presidi-sceriffi.

In questi ultimi decenni, sono stati utilizzati, in più tornate, i vecchi diplomi di istituto superiore per sopperire alla mancanza di organici nei vari ordini di scuola: tante persone, che avevano necessità di lavorare hanno visto, incolpevolmente, nella scuola una preziosa opportunità per avere un reddito mensile garantito.

In questi anni abbiamo anche visto tante lauree conseguite nelle Università on line dietro congruo pagamento. Una tendenza mal copiata dal sistema americano che, tra l’altro, sembra produrre diplomati e laureati non all’altezza dei laureati europei. Non a caso tanti bravi laureati italiani in medicina ed ingegneria trovano facilmente lavoro tra Washington e New York anche con buoni successi professionali.

La conseguenza di tale tendenza è che una parte significativa del corpo docente italiano non è stata formata adeguatamente e non è in grado comprendere e di utilizzare le innumerevoli innovazioni che si sono susseguite dalla fine del secolo scorso ad oggi.

Il nostro sistema, inoltre, non utilizza forme di incentivazione che vadano a ricadere sulla qualità dell’insegnamento, come per esempio i periodi sabbatici per permettere ai docenti interessati di approfondire le competenze professionali anche attraverso esperienze all’estero.

Reclutamento a quiz e precarietà della formazione

A fronte dei vecchi concorsi selettivi, oggi, recentemente per il reclutamento dei docenti, si è preferito il sistema a “quiz” che non garantisce una selezione qualitativa. La tipologia di prova trova spazio anche nelle procedure concorsuali dei dirigenti, quando non si utilizza l’istituto dell’incarico (in particolare per i dirigenti tecnici e amministrativi) la cui valutazione, molto difficilmente, avviene su una corretta analisi dei curricoli.

Malgrado ciò i docenti precari continuano ad aumentare e, tra l’altro, sono anche mortificati dal punto di vista economico: vengono, nella maggior parte dei casi, pagati per soli dieci mesi anziché dodici.

Non va meglio la formazione iniziale (pur ben pensata dalla Legge 107/2015 e dal piano successivo) e neanche la formazione dei docenti in servizio affidata ad un Piano Nazionale sempre più parco di risorse.

Il risultato è che alcuni docenti si costruiscono un sistema di lavoro molto “personale”. Non c’è, quindi, da meravigliarsi se alcuni mostrano comportamenti come quelle rilevati dai figli della signora Mattsson: incuria, ruolo militaresco, idea coercitiva di educazione e formazione.

I bravi docenti e le prospettive di carriera

I docenti bravi ci sono e sono tantissimi. Sono professionisti continuamente vessati da adempimenti burocratici di stampo ottocentesco. Il Ministero dell’istruzione (ed oggi anche del merito) sembra che non abbia mai conosciuto i limiti del modello weberiano nell’organizzazione degli stati moderni.

I bravi docenti sono anche quelli che si impegnano a livello organizzativo, con scarse remunerazioni, supportando il dirigente scolastico. Funzioni e responsabilità, tra l’altro, poco considerate anche a livello sindacale. Contestualmente gli stessi dirigenti scolastici fanno fatica ad avere collaboratori motivati e tenaci. In qualche caso possono contare su docenti che hanno la prospettiva di diventare a loro volta dirigenti scolastici. Ma i concorsi non sono banditi con regolarità.

La nostra storia prestigiosa a rischio di oblio

Eppure siamo il Paese che ha avuto ed ha una cultura pedagogica molto elevata. Siamo il Paese di Maria Montessori, Mario Lodi, Gianni Rodari, Alberto Manzi, Lorenzo Milani, Loris Malaguzzi, Danilo Dolci, Gianfranco Zavalloni, Sergio Neri, Clotilde Pontecorvo, Andrea Canevaro e tanti altri. Grandi progetti culturali e sociali e tante idee dimenticate.

È difficile parlare di merito in un Paese in cui molto spesso chi merita e si impegna tenacemente non viene riconosciuto o addirittura considerato pericoloso. I giovani bravi che vanno via e trovano lavoro altrove, fanno fatica a ritornare in Italia.

Le riforme che non decollano

L’Italia è un paese straordinario, se guardiamo la carta geografica, se leggiamo un buon testo di Storia dell’Arte, se lo sorvoliamo ad alta quota.

Abbiamo, però, un tasso di natalità preoccupante che è sintomo di una oggettiva difficoltà delle ultime tre generazioni di genitori nella gestione dei figli. In Campania, per esempio, non è stato avviato un serio processo culturale e progettuale per la promozione del sistema zerosei (pur in presenza di preannunciate risorse economiche del PNRR).

Il sistema integrato zerosei e il primo ciclo d’istruzione svolgono un’importante funzione di prevenzione della povertà materiale e culturale, come pure del disagio sociale. Ma sono ferme, nulla è stato fatto a livello strutturale per migliorare gli ambienti di apprendimento.

La mancanza di strutture scolastiche adeguate nelle zone povere e marginali non favorisce l’apprendimento e rende difficile la gestione sociale. È nelle situazioni di degrado che aumentano anche i fenomeni delinquenziali e i conseguenti costi sociali sono molto pesanti.

La motivazione che non c’è

L’effetto esplosivo-implosivo della fuga della famiglia finlandese da Siracusa avviene nei giorni in cui bambini e ragazzi italiani rientrano a scuola, dopo 18 giorni di vacanze natalizie.

Le vacanze potrebbero stimolare l’apprendimento e sviluppare la relazionale se non fossero messe in crisi, come spesso accade, dalla cattiva consuetudine di assegnare troppi compiti: a volte poco chiari, spesso inutili e demotivanti, perfino anche dannosi.

È difficile immaginare, dopo le vacanze, bambini che escono da casa allegri e sorridenti solo per la gioia di riprendere ad andare a scuola.

La scuola dovrebbe mettere al primo posto la motivazione e dovrebbe fare in modo che tutti siano felici di andarci. Ma questo oggi non accade. Non è accaduto, però, neanche alla generazione dei boomer, aiutata dal culto della severità e agevolata dal fatto che, fuori dalla scuola, le esemplarità degli adulti creavano formazione.

È andata peggio alle generazioni X, Y e Z anche perché gli stessi adulti hanno perso, via via, peso e senso di responsabilità.

Tra poco la generazione Alpha assaggerà i nuovi ostacoli della scuola secondaria di primo e secondo grado, ordini di scuola in cui la centralità di bambini e ragazzi ancora non è stata compresa dai molti docenti, notoriamente chiamati proff.

Come s’impara

Eppure in tanti paesi europei i metodi tradizionali si sono evoluti grazie anche ad un approccio olistico della psicopedagogia. Con tecniche e velocità differenti, i loro modelli nazionali sono stati ideati a partire da presupposti scientifici e dalla medesima volontà di tutti gli schieramenti politici. È il caso della riforma scolastica in Finlandia che ha visto la collaborazione di conservatori e progressisti con il comune intento di migliorare la qualità della scuola del loro Paese.

Si impara di più fermandosi ogni tanto; si impara di più giocando, sperimentando, divertendosi; si impara meglio lavorando insieme. Si impara più prontamente nella natura, prendendosi il tempo che ci vuole.

Viceversa non si impara se si corre eccessivamente, se si fanno troppe attività, se si ripetono sempre le stesse cose. Così è avvenuto con la scuola unidirezionale e severa frequentata dai boomer: una scuola che non ha dato nulla ai bravi e ai creativi e che, al contempo, non è stata in grado di accogliere proficuamente nel sistema i ragazzi più deboli e i figli delle classi sociali meno agiate. La scuola severa e centrata sulla lezione frontale ha funzionato veramente poco.

Fare i bene i compiti e studiare di più resta un obiettivo importante, ma non per gli studenti, per tutti gli adulti che hanno direttamente ed indirettamente la responsabilità di costruire il futuro per le giovani generazioni. Servirebbe, invece e ancor più, riuscire a dare buoni esempi perché a dare ordini basta uno stupido.

Lo sport è formazione

Eppure in Italia non possiamo dire che va tutto male. Immaginiamo un drone partire dalla Finlandia, sorvolare il Regno Unito, fare un giro sulla penisola iberica e poi salire coast to coast, arrivare in Liguria per poi seguire il Po, girare e scendere verso il Sud.

Se il drone registrasse i dati del clima, la varietà della rete stradale, la diffusione della storia e dell’arte, la varietà e creatività della produzione di cibo difficilmente usciremmo perdenti.

Se poi parlassimo pure di uno sport, del medagliere olimpico o anche di una sola disciplina, come il Nuoto (che era a quota zero negli anni Settanta) potremmo rilevare, con soddisfazione, che, dopo i tanti successi degli ultimi quindici anni, l’Italia è stata di gran lunga la nazione più brillante negli ultimi campionati europei e tra le migliori a livello olimpico e mondiale.

L’Italia del nuotoha brillato nel settore maschile come in quello femminile, nelle individualità e nelle prove a squadra (team). Analogamente sta avvenendo da anni nella palla a volo e nel basket maschile e femminile.

Questo fattore sportivo prima ancora che agonistico produce risultati tecnici che hanno un grande valore formativo per decine di migliaia di bambini e ragazzi. Andare in piscina significa dare un ritmo alla propria giornata, non chiudersi in casa davanti alla tv o con uno smartphone, non pensare solo a fare i compiti. È ciò che produce un grande equilibrio psicofisico.

Il nuoto, come ogni sport ben praticato con tutto il corpo in unione con la mente, significa armonia: crescita più sana, equilibrio tra sapere e fare, incontro sociale, scambio e, con una sana competizione, anche sviluppo di tenacia e resilienza.

La scuola di chi impara

È un esempio e non era casuale. In questa direzione sono state costruite le Raccomandazioni Europee ai sistemi di istruzione ed in tale contesto sono stati redatte le Indicazioni Nazionali 2010 (scuola secondaria di secondo grado) e 2012 (primo ciclo d’istruzione): al centro il protagonismo di chi impara.

La scuola non è più quella di chi insegna (o crede di farlo) ma di chi impara, ciascuno deve poter diventare sovrano (Costituzione e don Milani) e protagonista al più alto livello possibile della propria esistenza.

Se la scuola riesce a far proprio questo dettato costituzionale forse anche gli studenti saranno motivati ad andarci volentieri e magari anche ad essere felici.