Orientare verso il futuro

Di quali problemi ti occuperai?

Nel numero 334 di Scuola7 (21 maggio scorso) abbiamo sostenuto che sarebbe opportuno evitare, per una serie di ragioni, di chiedere ad un adolescente ‘Cosa farai da grande?’ e che sarebbe più produttivo, in sede di orientamento, evitare di focalizzare l’attenzione sia su un unico ‘fare’ che su un unico futuro possibile. Successivamente, nel n. 336 ci siamo occupati dei futuri attorno ai quali proporre di riflettere quanti si trovano coinvolti in iniziative diverse di orientamento. Gli stessi obiettivi che potrebbero essere perseguiti nei laboratori di orientamento ispirandosi ai futuri possibili, a quelli probabili o, addirittura, a quelli plausibili e desiderabili, come aveva suggerito Voros[1], non possono essere facilmente sovrapponibili così come, d’altra parte, non possono essere sovrapponibili i materiali e le attività che un operatore di orientamento potrebbe decidere di utilizzare.

Verso futuri desiderabili

Nei due contributi a cui si è fatto riferimento abbiamo manifestato le nostre simpatie nei confronti dei futuri desiderabili, di quelli, cioè, che consentono all’orientamento di trasformarsi in dispositivo di prevenzione anche nei confronti dei rischi che l’industria 4.0 sembra sollevare a proposito del benessere delle persone e dei loro contesti di vita. L’orientamento 5.0[2] a differenza di quanto sostenuto nelle Linee guida nazionali, non può riferirsi a standards minimi, o a modalità preconfezionate, a buone pratiche che dovrebbero funzionare per tutti in ogni realtà locale, dal momento che i futuri desiderabili e l’orientamento 5.0 richiedono approcci e percorsi altamente personalizzati.

Facendo riferimento in particolare ai futuri possibili e a quelli desiderabili, come già anticipato, è opportuno e deontologicamente doveroso far presente che le previsioni contengono anche porzioni elevate di errore a causa dei cambiamenti che con il trascorrere del tempo necessariamente intervengono, ma, anche, di eventi rari, del tutto imprevedibili che potrebbero verificarsi facendo registrare degli impatti significativi sulla qualità della vita delle persone e dei loro contesti di vita.

Le Will Card

Si tratta di quelle che i futurologi chiamano Will Card, delle carte Jolly, delle ‘Matte’ come si usa dire in qualche parte d’Italia giocando a scala quaranta, che potrebbero consentire anche ‘soluzioni impreviste’ e favorevoli. La loro bassa probabilità li farebbe collocare nella ‘zona del probabile’ anche se, come ad esempio è accaduto nel caso del crollo finanziario del 2008, della pandemia del covid-19 e della stessa guerra in Ucraina. Sarebbero in ogni caso difficile prevedere ciò che potrebbe accadere nell’arco di 3-4 anni. Le Will Card, ovviamente, possono essere associate anche ad eventi inaspettati, ma positivi, come, ad esempio, un incontro fortuito particolarmente arricchente da svariati punti di vista, un imprevisto interesse nei confronti di una tematica mai precedentemente considerata, un colpo di fortuna alla lotteria (Petersen,1997; 1999[3]) o quelle occasioni non pianificate, ma casuali di cui ci hanno parlato i teorici del cosiddetto caos vocazionale (Pryor, e Bright, J.; 2011, 2016[4]), della pianificazione casuale (Krumboltz,1991[5]) e le stesse teorie della complessità a cui si dovrebbe ispirare più frequentemente anche l’orientamento.

Modi diversi di pensare il futuro

Come si sarà intuito utilizzando i futuri e gli scenari di cui ci si è occupato nel numero 336 di Scuola7, al posto di quel ‘Cosa farai da grande’ contenuto in quella frase che continuiamo a sentire spesso, ma che continuiamo anche qui a rigettare, siamo propensi a raccomandare di stimolare a pensare anche a come ‘si sta pensando al futuro’, se in modo più o meno generico, riduttivo o profondo. Seguendo almeno in parte Slaughter (1989[6]), possiamo, al riguardo ipotizzare che con le richieste che formuliamo stimoliamo a farlo attivando almeno tre distinte modalità.

La prima: il probabile

La prima, innanzitutto, rappresenta una modalità tutto sommato abbastanza sbrigativa, una modalità superficiale e ‘pop’ come la definisce Slaughter e che non farebbe altro che seguire la falsariga della modalità maggiormente condivisa e diffusa dai mass media e che, nel migliore dei casi, può orientare solamente al probabile, ad un brevissimo prolungamento del presente, a ciò che accadrà tra 2-3 anni impedendoci di fatto di considerare la gamma più ampia dei potenziali futuri che potrebbero attenderci ed attrarci.

La seconda: il preferibile

La seconda si avvicina a quel procedere che dovrebbe caratterizzare il lavoro del ricercatore e che sarebbe orientata soprattutto all’individuazione di cambiamenti, di soluzioni, al problem solving. Nel nostro caso, chiedendo di pensare ai futuri possibili e preferibili e alla possibilità di imbatterci in will card, è come se si invitasse a stare all’erta, ma anche a occuparsi per tempo delle proprie ed altrui preoccupazioni, a sostenere assertivamente anche i propri desideri e le proprie aspirazioni. E i problemi che potrebbero essere oggetto di riflessione pensando al futuro sono decisamente molti, da quelli ascrivibili al benessere e alle vulnerabilità personali, a quelli ambientali e sociali (disuguaglianze, diritti umani, cambiamento climatico, sostenibilità dello sviluppo, ecc.).

La terza: cosa potrebbe accadere se…

Il terzo modo di pensare al futuro è quello che non si accontenta di anticipare i problemi, ma tenta di individuarne specificità, ragioni e cause. Qui il modo di pensare è essenzialmente quello critico, olistico, quello che si avvale del pensiero controfattuale e procede chiedendosi ‘cosa sarebbe potuto accadere se…’, o cosa potrebbe ‘avvenire se…’. Questo ‘critical futures studies’ si interessa soprattutto delle cause sociali delle difficoltà che potremmo incontrare e si occupa, in primo luogo, delle visioni e delle ipotesi che regolano, spesso in modo inconsapevole da parte dei più, i paradigmi di riferimento che vanno per la maggiore e i criteri che vengono seguiti parlando di crescita, di sviluppo, di meritocrazia. Coloro che a questo riguardo sembrano contrastare più spesso queste modalità superficiali di parlare di innovazione si trovano spesso tra gli attivisti, tra quelli che chiedono anche a viva voce di occuparsi di ciò che verrà e delle nuove generazioni come stanno facendo, ad esempio quei giovani, soprattutto, che additano a coloro che hanno utilizzato le modalità di pensiero precedentemente citate, anche nei contesti di previsione e pianificazione delle nostre condizioni di vita.

Indagine epistemologica sui futuri

La modalità più profonda e sofistica di guardare a ciò che accadrà è quella che Slaughter definisce indagine epistemologica sui futurie che fa ricorso a quella ‘filosofia della condivisione’ alla quale ci piace riferirci quando auspichiamo l’inter e la transdisciplinarità nel considerare le mosse intelligenti da fare e stimolare per un futuro di qualità per tutti. Qui il pensiero e le preoccupazioni dei futuri diventano particolarmente lungimiranti; si invoca un’interdipendenza scientifica e una partecipazione che oltre ad ancorarsi a valori universali, si nutre di tanta politica, di tanta filosofia, epistemologia, psicologia sociale, cosmologia, per dare e trovare, nelle proiezioni che possono essere compiute, significati che vanno ben oltre i criteri produttivistici dei neoliberisti e le gratificazioni a breve termine che le nostre visioni probabili potrebbero indicare. È a questo livello che l’orientamento, quello che consideriamo in termini di dispositivo di prevenzione e giustizia sociale e volano di benessere, dovrebbe muoversi molto più spesso di quanto riesca a fare oggi affinché, come abbiamo avuto modo di sostenere assieme ad altri importanti colleghi alcuni anni or sono, possano cambiare effettivamente le conclusioni delle storie di coloro che non sono certamente responsabili dei loro poco soddisfacenti e determinanti passati e presenti (Savickas et al. 2009[7]).

Problemi “indisciplinati”

Quest’ultimo modo di studiare il futuro ci porta a considerare anche un’altra parte di quella richiesta che abbiamo inserito nel titolo di questa ‘conversazione’, a quel ‘Cosa farai da grande: qui la richiesta, quando è indirizzata ad un bambino, ad un adolescente o ad un giovane da parte di un orientatore o più genericamente di un adulto, quel fare attira nel proprio alone soprattutto etichette professionali come quando si utilizzano nel career counseling le cosiddette short cards o elenchi di discipline e si chiede di indicare le più interessanti e di scartare le rimanenti. Tutto questo come se i problemi dei futuri, e in particolare di quelli possibili e preferibili, potessero ridursi a ‘materie scolastiche’ o a lavori più o meno facilmente ascrivibili a questa o quella corporazione o ‘albo professionale’.

Invece di far pensare ai lavori o alle discipline, ci ha insegnato Popper, è preferibile occuparsi di problemi le cui analisi e soluzioni attraversano per lo più i confini di qualsiasi disciplina. Non esisterebbe un metodo scientifico, una modalità cioè da realizzare al fine di formulare nuove ipotesi ed immaginare scenari possibili e desiderabili, senza creatività e modalità ‘indisciplinate’ di analisi e progettazione certamente non traducibili in procedure standard e di routine. Questo vale soprattutto per quei problemi particolarmente intriganti che Rittel e Webber (1973[8]) hanno definito malvagi (wicked problem) e che a me piace denominare indisciplinati proprio perché non imbavagliabili in questa o quella scienza, in questo o quell’ambito accademico di riferimento ed approfondimento.

Di quali problemi ti occuperai?

Chi è interessato ai futuri possibili e a quelli desiderabili non può lasciarsi imbavagliare da assunti ed abitudini conformiste, non può che essere almeno un po’ rivoluzionario, uno/una che non accetta di mantenere e conservare il presente, lo status quo, ma che va alla ricerca di novità, di cambiamenti anche poco realistici o poco probabili. Per questo, invece di domandare ‘cosa farai o cosa studierai’ è preferibile chiedere di quali problemi ti occuperai; quali ti intrigano maggiormente; quali tentativi di risoluzione cercherai di praticare; cosa hai già appreso a proposito degli errori da evitare o di come muoverti per immaginare e cercare cambiamenti e miglioramenti a ciò che ti preoccupa o potrebbe in futuro trasformarsi in una tua pre-occupazione o in una tua aspirazione?

Abbattere i miti

Come Popper suggeriva a proposito del procedere scientifico, anche nell’orientamento è opportuno iniziare con l’abbattimento di alcuni miti: di quello, ad esempio, della prevedibilità, o di quello che invita a sfruttare i capitali, i talenti che si posseggono, o i ‘meriti’ (le attitudini, gli interessi e le passioni, le competenze che ci riconosciamo o ci riconoscono) per constatare che ciò che rimane sono probabilmente timori, preoccupazioni, problemi che vorremmo non caratterizzassero il nostro e l’altrui futuro.

Gli scenari futuri che potremmo desiderare potrebbero essere descritti anche sulla base delle minacce che saranno state debellate, delle vulnerabilità che saranno adeguatamente gestite e protette, di quanto ci sarà consentito di realizzare in quello scenario lo stile di vita preferito.

Dal futuro al presente e non viceversa

Non si tratterebbe di procedere in modo induttivo come suggeriva la concezione baconiana partendo dalle ‘diagnosi’, dal conosci te stesso e il mondo circostante come vorrebbe ancora il refrain dell’orientamento che propongono tanti prontuari e circolari ministeriali, ma da ciò che preoccupa, dai cambiamenti che auspichiamo, da ciò di cui sarebbe opportuno aver più precocemente possibile cura in modo che possa anch’esso contribuire alla creazione di un futuro maggiormente preferibile. L’orientamento, in altre parole, non deve rinforzare il pensare al futuro in modo induttivo procedendo dal passato e muovendosi un po’ più in là… dovrebbe fare proprio l’opposto, far immaginare ciò che ancora non c’è e i segnali che potremmo dedurre da ciò che auspichiamo, cercandone traccia o provocandone nel presente: dovremmo agire ‘al contrario’, facendo in modo che sia ciò che riteniamo desiderabile ad influenzare il presente provocando le decisioni necessarie ai cambiamenti. Dal futuro al presente e non viceversa come quella richiesta e tanto profiling sembrerebbero suggerire. Per far questo, per immaginare la risoluzione di problemi, per transitare dal futuro al presente, c’è bisogno di tanto allenamento, di tanta creatività ed immaginazione, di far intravvedere possibilità di ‘aprire i coni delle possibilità’ invece di stimolare riduzioni e semplificazioni per scegliere e decidere, come si sente dire spesso, in modo più realistico, per ridurre i rischi accontentandosi di vantaggi più velocemente riscuotibili e, pertanto, economicamente e apparentemente, maggiormente vantaggiosi.

Contro il pensiero induttivo

Si tratta di insegnare a modificare o correggere il modo usuale di pensare al domani ricordandoci che l’induzione, quella che parte dall’analisi dei dati disponibili per procedere oltre, offende la nostra creatività, la nostra propensione a tentare, a provare e, perché no, a sbagliare e commettere errori, cosa, quest’ultima, che dovrebbe portarci però a ricordare che il progresso scientifico si basa spesso sui fallimenti precedenti e che spesso iniziamo a riscuotere soddisfazioni personali dopo aver apportato significativi cambiamenti al già praticato e frequentato.

A noi piace applicare all’orientamento ciò che anche Antiseri (2005[9]) riferisce al mondo della ricerca allertandolo su quanto fragili possano essere quelle basi che induttivisticamente chiedono ‘cosa hai imparato, cosa sai fare, quali sono le tue competenze e ti dirò cosa potrai fare da grande’, invece di procedere in modo opposto, ‘dimmi di quali problemi futuri intenderai occuparti, quali sfide ed imprese future di attirano maggiormente, quali vulnerabilità e malesseri ti preoccupano maggiormente e ti dirò, o meglio cerca, cosa è maggiormente preferibile per te studiare e fare’.

Verso il pensiero deduttivo

Se poi ad interessare sono quei problemi particolarmente difficili che la letteratura chiama wicked problem o se ci interessiamo di orientamento perché a muoverci sono valori strettamente connessi alla tutela di tutti i diritti e di tutte le vulnerabilità, la negatività di quel domandare ‘cosa farai da grande’, apparirà con tutta la sua evidenza e ci porterà, caso mai, a chiedere dell’altro, cose che potrebbero condurci a farci toccare con mano ciò che non tolleriamo più, ciò che ci fa indignare maggiormente come sono appunto i wiked problem, quelli più bastardi ed indisciplinati.

Come senza problemi non vi sarebbe ricerca, non vi sarebbero progressi e sviluppi, così senza di essi, senza preoccupazioni, non potrebbe esistere l’orientamento, non almeno quello che vorrebbe coinvolgimenti e partecipazioni attive e risultati significativi a proposito del benessere delle persone e dei loro contesti naturali e sociali di vita. Partendo da lontano, dalle mete che si desiderano raggiungere, dalle aspirazioni, si può procedere individuando l’ultima tappa, quindi la penultima e così via fino a giungere al cosa decidere oggi per vincere la scommessa di poter toccare con mano i nostri futuri desiderati.

Si tratterrà, anche qui, di progettare e pianificare, ma in modo deduttivo, dal generale al particolare, dal lontano all’immediato, dal futuro al presente con un pensiero strategico che consenta di controllare se siamo sulla pista giusta, se ciò che stiamo esplorando appartiene davvero alla scoperta che vogliano fare, se ci stiamo muovendo in modo ‘sintetico’ ed olistico verso il futuro maggiormente gradito e se continuiamo a consentire alla destinazione futura di mantenere saldamente ancorata ad essa la nostra attenzione presente.

Allora… avrai solo l’imbarazzo della scelta

Quindi non chiedere ‘Cosa farai da grande?’, ma quali cambiamenti vorresti che si verificassero e quale potrebbe essere a questo riguardo il tuo contributo? Si dice che il mondo è in continua evoluzione, che nulla, in futuro, sarà come prima, ma allora perché non contribuisci anche tu a far sì che sia migliore? Potresti farlo, ad esempio, occupandoti dei problemi che riguardano i crimini e le persone che li compiono, le disuguaglianze, le relazioni internazionali, la politica, la sfera sociale, l’antropologia, le nuove tecnologie informatiche e comunicative, il risparmio energetico, l’economia etica, l’educazione alla sostenibilità e all’accoglienza, la vivibilità delle città e delle loro periferie, il turismo ecosostenibile, la salute e l’invecchiamento o le applicazioni dell’intelligenza artificiale a tutto questo, compresa la tutela di tutte le vulnerabilità e dei diritti che debbono essere, in ogni caso, effettivamente garantiti a tutti e tutte. Pensa ai problemi… poi, per quanto riguarda il lavoro che farai da grande avrai solo l’imbarazzo della scelta: sono decine di migliaia stando a quanto riporta l’americana International Standard Classification of Occupations, o l’European Skills/Competences, qualifications and Occupation (ESCO) o la Classificazione delle Professioni del nostro Istituto di Statistica, tutte facilmente consultabili su Internet. Se poi sei già orientato verso i problemi di tipo ambientale, Gelisio e Gisotti (2019[10]) ne hanno elencato almeno un centinaio riguardanti direttamente i green jobs e le professioni che potremmo considerare maggiormente sostenibili. Non avere fretta di scartare… ciò che ti verrebbe spontaneo rigettare potrebbe condurti a preziose e stimolanti deviazioni, incroci, rotatorie, a diventare addirittura un valido problem solver di problemi ribelli ed indisciplinati che, forse, potrebbero apparire con maggior vividezza se invece di chiederti cosa farai da grande chiedessi a te stesso e ti chiedessero ‘Come vorresti che fossero le tue giornate e i tuoi contesti di vita tra 10-15 anni?’.


[1] Voros J. (2003), A generic foresight process framework. Foresight, 5, 3, pp. 10-21; Voros J. (2017), The Futures Cone, use and history. The Voroscope, February 24.

[2] Soresi, 2021, 2022, 2023 in press. Soresi S. (2021) (a cura di), L’orientamento non è più quello di una volta. Riflessioni per prendersi cura del futuro, Roma: Edizioni Studium.

Soresi S. (2022) L’orientamento inclusivo per un futuro equo e sostenibile, in Pavone, M., Arenghi, Borgonovi A., Ferrucci E., Genovese F., Pepino A., Un ponte tra università e mondo del lavoro per l’inclusione e la vita indipendente, Milano, Franco Angeli, pp. 35-50.

Soresi S. (2023) L’orientamento 5.0: … quello che non si accontenta di valutare e profilare, Nuova Secondariain press.

[3] Petersen, J.L. (1997), The wild cards in our future: Preparing for the improbable, The Futurist, 31, 4, pp. 43-47.

Petersen, J.L. (1999), Out of the blue: How to anticipate big future surprises, 2nd ed, Madison Books, Lanham, MA, USA.

[4] Pryor, R.G., Bright, J. (2011), The Chaos Theory of Careers, Routledge, London-New York.

Pryor, R.G., Bright, J. (2016). Chaos and constructivism: Counseling for career development in a complex and changing world, ina cura di McMahon and W. Patton, Career Counseling. Constructivist Approaches. Routledge, London-New York 2016, pp. 196-209.

[5] Krumboltz, J. D. (1991). Manual for the career beliefs inventory. Palo Alto, CA: Consulting Psychologists Press.

[6] Slaughter, R, (1989) Studying the Future, Bicentennial Futures Education Project. Commission For the Future, Melbourne.

[7] Savickas, M.L., Nota, L., Rossier, J., Dauwalder, J.P., Duarte, M.E., Guichard, J., Soresi, S., Van Esbroecker, R. e Van Vianen, A.E.M. (2009), Life designing: A paradigm for career construction in the 21st century. Journal of Vocational Behavior, 75, pp 239-250.

[8] Rittel, H. and Webber, M. (1973), Dilemmas in a General Theory of Planning. Policy Sciences, 4(2), 155-169.

[9] Antiseri, D. (2005), Introduzione alla metodologia della ricerca, Rubbettino, Catanzaro.

[10] Gelisio, T. e Gisotti, M. (2029).100 green Jobs per trovare lavoro. Guida alle professioni sicure, circolari e sostenibili, Milano: Reta Ambiente.

Salvatore SORESI

Salvatore SORESI

Professore ordinario presso il Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata dell’Università degli Studi di Padova, fondatore del Laboratorio di Ricerca e Intervento per l’Orientamento alle Scelte (La.R.I.O.S.)