Liberare il potenziale

Per una crescita sostenibile ed inclusiva

Sabato 15 luglio si è celebrata la Giornata Mondiale dedicata alle competenze giovanili. È stata istituita nel 2014 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per sottolineare l’importanza di dotare i giovani di strumenti idonei a codificare la complessa realtà conoscitiva e ad orientarsi, con autonomia, consapevolezza e responsabilità, nel governo della globalizzazione societaria. La ricorrenza ha lo scopo, quindi, di valorizzare il potenziale, talvolta inespresso, di milioni di giovani.

Dal potenziale alla padronanza

Il potenziale di un ragazzo, che può svilupparsi solo nel tempo con la formazione e l’esperienza, rappresenta un fattore essenziale nella costituzione delle capacità di gestire i rapporti con il mondo e affrontare positivamente la vita. La capacità è frutto di attitudini naturali ed interventi formativi; scaturisce da una disposizione ad eseguire con successo determinate operazioni; si sviluppa con la perizia, la destrezza e la padronanza che si raggiunge mediante un costante esercizio. Da qui, la necessità di formare nei giovani capacità funzionali alle richieste della vita adulta, che consentano loro di accedere ad un impiego, un lavoro dignitoso e stabile, di diventare soprattutto persone e cittadini responsabili.

Le competenze che servono

Nel nostro Paese sono evidenti le criticità connesse con l’inserimento nel mondo del lavoro delle nuove generazioni. Tra i molteplici fattori un elemento comune risiede nel mancato riscontro, soprattutto nei più giovani, di certe capacità personali: quella di analizzare criticamente esperienze e situazioni in maniera obiettiva, quella di affrontare l’imprevisto, di potenziare la resilienza di fronte ai cambiamenti e agli eventi stressanti, di gestire circostanze complesse, risolvere problemi, assumere iniziative autonome, essere creativi e flessibili.

In un contesto socio-economico e culturale attraversato da continue ed importanti trasformazioni, ai giovani si richiede passione, ambizione, autodeterminazione, velocità nell’apprendere, capacità di assumere decisioni anche in assenza di informazioni complete, in modo da poter orchestrare al meglio il proprio rapporto con la realtà, traendo il massimo vantaggio dalle potenzialità individuali e dalle opportunità ambientali.

Le competenze trasversali

In ogni soggetto esistono potenzialità individuali necessarie per poter conseguire un adeguato sviluppo personale, professionale e relazionale, e poter affrontare le nuove sfide in maniera autonoma e costruttiva. Ma possederle non basta: queste risorse debbono essere allenate e valorizzate in modo da essere utilizzate quando l’individuo si trova di fronte ad una determinata situazione che, per essere risolta, ha bisogno proprio di “quelle capacità”.

Si tratta di competenze di natura trasversale che, per emergere, necessitano di consapevolezza, elasticità mentale e allenamento. Diversamente, alla luce della frammentarietà e mutevolezza che caratterizzano gli attuali contesti sociale e occupazionale, i giovani rischiano di trovarsi disorientati e incapaci di far fronte ai cambiamenti del nostro tempo. D’altronde lo scenario, sia sociale sia tecnico-professionale, è caratterizzato dall’intensificarsi della concorrenza e al tempo stesso da continui mutamenti che richiedono rapidità e tempestività nelle risposte. È per questo che risulta necessario porre attenzione alle risorse personali dei giovani, alle loro caratteristiche attitudinali: la consapevolezza di sé, la fiducia nelle proprie capacità, il sentirsi membro attivo di un gruppo sociale valorizzato costituiscono elementi essenziali per costruire quell’assetto psicologico idoneo ad affrontare con energia i compiti che la vita e la situazione lavorativa presentano.

Si tratta, quindi, di individuare nei giovani il potenziale, valorizzare l’aspetto vocazionale, orientarli verso l’acquisizione di capacità utili all’occupabilità, all’inclusione sociale e alla cittadinanza attiva.

Le competenze sociali

È evidente che ciò che si richiede ai giovani non è solo ciò che è direttamente riconducibile ad un contesto professionale; le capacità non si acquisiscono attraverso le modalità tradizionali di trasmissione dei saperi.  Per essere considerate efficaci le capacità devono potersi svincolare dallo specifico contesto in cui sono state esperite e funzionare in contesti nuovi, vari e diversificati, anche imprevedibili. Devono essere duttili, incrementabili, estensibili e, quindi, trasferibili. Devono, essere generative e prospettiche, strettamente connesse alla pratica umana. Affinché le capacità diventino significative devono essere sostenute, oltre che da disposizioni individuali interne, anche da rilevanze psicosociali e relazionali, da forme gestionali condivise e collaborative. Devono rispondere convenientemente alle attese di ciascuno in nome di una crescita comune. Le attitudini sociali devono far crescere le capacità relazionali. Il saper comprendere l’altro, lavorare in gruppo, gestire positivamente le proprie emozioni, riconoscere le possibili fonti di stress e governare le tensioni sono competenze utili ad incrementare i rapporti con gli altri e a promuovere il benessere psico-fisico e relazionale di ciascuno.

Competenze ed inclusività

È per questo che la Giornata Mondiale delle competenze, celebrata il 15 luglio, si configura come un’iniziativa volta non solo alla realizzazione dei diritti umani per tutti, ma anche a stimolare l’inclusività sociale. Quest’evento rappresenta, infatti, un’occasione favorevole per incoraggiare il confronto dialogico tra giovani, e per sollecitare le istituzioni deputate all’educazione e formazione. Le organizzazioni dei lavoratori, gli imprenditori e i decisori politici sono chiamati tutti a riflettere su come investire nelle abilità dei giovani intervenendo poi con adeguati stanziamenti. La priorità è quella di garantire istruzione e formazione adeguate e di offrire diverse opportunità, soprattutto nelle situazioni più svantaggiate. Il riferimento va ai giovani con disabilità, a quelli provenienti da comunità rurali o da famiglie povere e ai cosiddetti NEET (Not in Education, Employment or Training), giovani tra i 15 e i 29 anni che si collocano a metà strada tra disoccupazione e inattività, in quanto non lavorano né sono inseriti in un qualche percorso di studio.

I NEET

Secondo l’indagine Eurostat (Ufficio statistico dell’Unione Europea) 2023 la percentuale dei NEET (giovani che non lavorano e non studiano) si attesta in Italia su una cifra piuttosto elevata (19%) rispetto alla media europea (11,7%), siamo secondi alla Romania (19,8%).

L’indagine mette in evidenza una serie di difficoltà strutturali sia relative al sistema di istruzione e formazione sia ai contesti lavorativi. Tra i giovani che non lavorano e non frequentano un corso di formazione c’è l’alta percentuale di coloro che abbandonano prematuramente gli studi. In Italia la dispersione scolastica registra una delle incidenze più elevate d’Europa (12,7%) dopo la Romania (15,3%) e la Spagna (13,3%).

Si registrano inoltre consistenti divari tra regioni: al Sud quasi 1 giovane su 3, tra i 15 e i 29 anni, è nella condizione di NEET, una categoria che corre il rischio di precipitare in una condizione di deprivazione non solo economica e occupazionale, ma anche esistenziale.

Verso un futuro più equo per tutti

Secondo le recenti stime dell’Eurostat relative al primo trimestre 2023, nel mondo si registrano 44 milioni di persone non istruite e al di fuori della forza lavoro. Di queste, il 77,8% non cerca un lavoro, non l’ha trovato e non vuole lavorare, il 20,3% non lo cerca pur volendo lavorare, il 2,8% lo cerca attivamente ma senza successo e l’1,2% non lo intraprende pur avendolo trovato. Tra le persone non istruite e fuori da ogni contesto lavorativo, il 21,1% non vuol lavorare perché è in pensione, il 20,7% non vuol lavorare a causa di malattia o disabilità e il 18,2% per responsabilità di assistenza o altri motivi familiari.

Con la crescita del numero di chi è senza lavoro e senza istruzione, il fenomeno rappresenta un inaccettabile spreco di potenziale umano con rilevanti ripercussioni sia sul piano sociale che su quello economico: minori entrate fiscali, costi più elevati per prestazioni sociali, diffuso malessere.

Da qui la necessità, soprattutto in un’Europa dove il tasso di disoccupazione resta alto e l’economia si mantiene poco dinamica, di stimolare le nuove generazionia liberare appieno il loro potenziale intrinseco, consentire di trasformare le proprie idee in attività che contribuiscano allo sviluppo e alla creazione di posti di lavoro in modo da offrire alle comunità sociali le leve per lo sviluppo: un’istruzione di qualità garantisce un futuro più equo per tutti, senza alcuna distinzione.