Una lettura ecosistemica delle prove nazionali

Ciò che l’INVALSI non rileva

Sognando una notte di luna a Linosa, tra casa Faro e piscina naturale tra mare e scogli.

Un vecchio barcollante si avvicina, mi parla guardando il mare: «Se ascolti e leggi, se leggi e ascolti, pensi, rifletti, cambi opinione, condividi con altri, selezioni e articoli una tua argomentazione, aiuti i primi a parlarti ed a scriverti ed a modificare anche il più piccolo degli errori».

Lo ascolto ammutolito, pochi attimi e scompare nel buio, anzi no, si gira, lo guardo: è scalzo, indossa una tunica bianca dalla spalla al bacino e fino alle ginocchia. Si gira, ha una lanterna in una mano…[1]

Quanto pesa un chilo di mele?

Ho letto attentamente il rapporto INVALSI 2023: i dati raccolti e la loro analisi sono una fotografia parziale della dimensione formativa nel sistema Italia.

Seguendo la presentazione ci si imbatte più volte in un paragrafo dal titolo che può apparire interessante «cosa incide sui risultati?». Per rispondere davvero a questa domanda, occorre fare una analisi di macrosistema. Ciò aiuterebbe la lettura di tutti i numeri e le tabelle da parte di privilegiati o marginali stakeholders: genitori, insegnanti, dirigenti scolastici, opinione pubblica di differente grado di istruzione.

Il rapporto 2023 dell’INVALSI porta a corredo tanti grafici da cui appaiono gli alunni rispetto ai diversi livelli di apprendimento raggiunti e quelli in situazione di fragilità

La bilancia parziale

Leggere il Rapporto senza approfondire questo tipo di analisi, rischia di ridurlo a semplice fotografia fatta da un’angolazione scelta in partenza. «Non c’è peggior ingiustizia che valutare tutti con lo stesso metro», ed è certo che la pedagogia di don Milani è molto accreditata anche presso MIM, INDIRE, INVALSI, da cui sarebbe utile attendere la predisposizione di documenti proattivi che aiutino decisori politici e scuole a prevenire l’insuccesso. Letto senza questo tipo di approfondimento, il Report rischia di essere percepito come una semplice presa d’atto.

Così si rileva il parziale insuccesso dei bambini in 2° primaria (sono quelli che hanno perso quasi 18 mesi di scuola dell’infanzia su 30), così si rileva che i ragazzi diplomandi del 2023 non sono all’altezza di quelli del 2018 (in mezzo, però, ci sono i 18 mesi di DAD).

Facile è anche rilevare il parziale successo in lingua inglese, risultato, però, in larga parte possibile grazie all’estrazione sociale: la cura di genitori alfabetizzati e benestanti e la frequenza dei figli di scuole anglofone che curano, non solo la fonetica e la grammatica ma la competenza del listening e dello speaking.

Il caso Finlandia

La storia della scuola finlandese[2] non è sempre stata ricca di successi. Alcuni decenni fa, con risultati molto negativi, la politica si è fermata e gli amministratori di destra e sinistra (conservatori e progressisti) hanno riflettuto sull’urgenza di un piano scuola che desse un impulso a tutto il sistema scuola della Finlandia. Politici, amministratori e tecnici, insieme intorno a un tavolo, hanno rivisto le strutture e le metodologie organizzative avviando una sperimentazione su tre variabili decisive dell’apprendimento: lo spazio, il tempo, le relazioni.

In pratica la Finlandia si è interessata, a partire dalla politica, al modo di apprendere dei bambini e ragazzi di 25-30 anni fa e di quelli che ancora dovevano nascere. Hanno ascoltato i pedagogisti italiani (Canevaro, Milani, Malaguzzi…), gli psicopedagogisti americani (Dewey, Bruner, Ausubel, Maslow, Rogers) e dato valore alla zona prossimale di sviluppo di (Vigotskij).

Appena c’è stato un calo di risultati tra il 2015 e il 2018, il governo della scuola finlandese si è interrogato sulle questioni più urgenti; nonostante quella flessione i risultati scolastici dei bambini e ragazzi Finlandesi sono al momento irraggiungibili per il nostro sistema scolastico.

Il nostro paese, la politica, lo stesso ministero dell’istruzione non si prendono cura della scuola italiana, dall’infanzia all’università.

I numeri sono importanti affinché i decisori politici possano intervenire per migliorare i risultati e la qualità di insegnamento.

La precarietà dei docenti

Tra i tantissimi dati che determinano la non positiva condizione del rapporto insegnamento-apprendimento c’è la precarietà di centinaia di migliaia di insegnanti. I docenti supplenti o incaricati sono cresciuti da un quasi fisiologico 4-8% (1996-1997) ad un 27-35% negli ultimi anni (2017-2020), con punte che vedranno la Lombardia con un 40-45% nel 2023-2024.

I dirigenti scolastici si occupano solo in maniera residuale dell’azione di orientamento della didattica con la forte pressione burocratica, oggi ancora più pressante per via degli impegni del PNRR.

Sono questi alcuni dei fattori di macro e di eso sistema, secondo l’approccio ecologico di Bronfenbrenner, che dovrebbero essere oggetto di analisi e di provvedimenti mirati: nessun contadino tratterebbe così male il terreno di coltura.

Il terreno migliore per far crescere le mele

Ed eccolo qui, per aiutarci a capire, torna Urie Bronfenbrenner in un grafico che ho personalmente integrato.

La lettura dei dati INVALSI senza approfondire le variabili di contesto ci porterebbe ad analizzarli secondo la teoria del condizionamento di Pavlov per cui spostando il bambino/ragazzo di Calabria, Puglia o Campania in Lombardia o in Trentino migliorerebbe nei risultati scolastici. Ad esempio sarebbe sicuramente utile un’analisi comparativa di tipo orizzontale e verticale. Esempio: tra i migliori laureati italiani in ingegneria, architettura e medicina che lavorano da Bologna a Capo Nord e dagli Usa al Giappone quanti Calabresi, Campani, Siciliani ci sono? Partendo dai risultati dei bambini e ragazzi che si trovano ai livelli 1 e 2 sarebbe utile individuare i limiti della scuola, del suo modello organizzativo e la mancanza di scelte politico-amministrative organiche ad una dimensione di sviluppo proattivo del sistema-scuola italiano.

La teoria dello sviluppo ecologico

La teoria dello sviluppo ecologico ci aiuta a comprendere che sono molteplici i fattori che determinano il successo scolastico non sempre collegato con il successo nella vita.

Non sappiamo se le scelte politiche e le azioni di orientamento a carattere nazionale possono determinare una alta o bassa percentuale della qualità dei risultati, ma sicuramente incidono. In ogni caso sono importanti la percentuale del PIL destinata all’istruzione, l’efficacia organizzativa del Ministero e delle sue diramazioni, la selezione e formazione del personale docente, l’attenzione alle strutture.

Se un magistrato del calibro di Nicola Gratteri[3] sembra ipotizzare una intenzionale volontà a tenere basso il livello di istruzione nazionale c’è davvero di che preoccuparsi.

Ed ancora: dopo le Linee guida e le Indicazioni nazionali 2010 e 2012 quante risorse economiche sono state messe a disposizione e quale efficacia formativa c’è stata, vista la rivoluzione presente nei due documenti ministeriali? Oggi una percentuale significativa di docenti pensa ancora che esistano programmi, alcuni ritengono che una buona lezione frontale garantisca l’apprendimento (di un’altra persona). Alcuni pseudosociologi scrivono libri contro Lorenzo Milani e teorizzano che occorrerebbe bocciare quelli che vanno male a scuola e fanno perdere tempo agli altri.

La bilancia non è truccata, però …

I media nazionali hanno scritto a carattere cubitali che i nostri ragazzi sono più asini degli altri coetanei europei: al 99% il paese tuttologo dà la colpa agli alunni.

I media italiani hanno truccato la bilancia aumentando la visibilità del peso degli insuccessi, evidenziando semplicemente la fotografia dei dati INVALSI. Analogamente qualche migliaio di dirigenti scolastici, docenti, sindacalisti, ha messo la mano sotto la bilancia per attutire un risultato di analfabetismo di ritorno (degli adulti) e dell’intero paese, dove, peraltro, si legge di meno che in tutto il resto d’Europa.

Eppure, se leggiamo fino in fondo il Rapporto, proprio alla pag. 133 di 134 il documento dell’INVALSI sembra produrre un piccolissimo, sottilissimo filo di orizzonte:

«I risultati eccellenti dell’istruzione tecnico-professionale in alcuni territori come il Veneto, la provincia autonoma di Trento e la Lombardia mostrano ancora una volta soluzioni e possibilità estremamente interessanti e che devono essere estesi ad altre aree, naturalmente con le debite e necessarie differenziazioni.».

Linguaggio moderato ma chiaro, seppure le medie territoriali non consentano di dare atto di singole ed isolate realtà di eccellenza (si fa, ad esempio, riferimento all’eccellente formazione in campo tecnico professionale di molti istituti ad indirizzo turistico ed alberghiero della Campania che, al netto delle medie restituite dal Rapporto INVALSI, costituisce un punto di forza che riesce ad esportare in Italia e nel mondo direttori di albergo, chef, semplici cuochi, camerieri, operatori di sala, servizi al cliente.

Una seconda doverosa considerazione è che l’istruzione tecnico-professionale funziona perché la prassi formativa di questi istituti è paradossalmente bruneriana e vede in Ausubel il suo maggior teorico: scuola laboratorio e apprendimento significativo.

Piantiamo alberi e facciamoli crescere bene…

In Italia e nel Sud nascono meno bambini. Urie forse direbbe: se questa è la scuola e questo è il paese… felicità e gioia di apprendere, motivazione ed autorealizzazione sono molto, molto lontani.

L’approccio ecosistemico di Bronfenbrenner delinea responsabilità e ruolo del macrosistema: i ragazzi sono fin troppo bravi a crescere, studiare ed imparare in un paese così. L’Autonomia scolastica è condizionata da mille scadenze e procedure anche distrattive.

La scuola, i docenti, i bambini e ragazzi e le loro famiglie sono intrappolati nelle scelte/non scelte dei livelli macrosistema ed esosistema: si salvi chi può; l’indagine INVALSI ha, purtroppo, un ruolo assolutamente limitato.

Per comprendere meglio il presente e prospettare un’idea di futuro trovo utile integrare la visione ecologica di Bronfenbrenner con altri due importanti livelli.

Una visione ecologica ampliata    

Il primo – Info°sistema – è costituito dall’immane presenza di tecnologie che producono un’informazione quantitativa che sembra inesauribile. Tale biblioteca, cineteca virtuale può sostituire il precedente flusso di informazioni che proveniva da famiglia, scuola, libri, biblioteche, archivi, lezioni frontali.

Questo sistema non è privo di errori ed inesattezze in egual misura delle sciocchezze propinate dal 1950 al 2000 a figli e studenti dal sistema prossimale: parenti, chiesa, scuola autoritaria con l’ovvietà del senso comune e l’invito ad adeguarsi, che è stata la base della rivoluzione dei fiori e del famosissimo 1968 che ha cambiato la Cultura nel Mondo.

Una classe docente ben formata sul piano linguistico, comunicativo, emozionale e tecnologico può realizzare il necessario filtro sulla massa di informazioni con una didattica proattiva. È bene utilizzare, agevolmente e diffusamente, i benefici di una tecnologia che consente di studiare in forma più dinamica anche fin dalla prima classe primaria. Si sosterrebbe la didattica per competenze, stimolata dalla ricerca-azione e dal problem solving, finalizzata a realizzare un modello di apprendimento cooperativo.

La scuola proattiva per lo sviluppo delle competenze necessita di un nuovo approccio senza sconti e finzioni, fondato sulla didattica dell’imparare.

Qui si inserisce un secondo sistema che ho chiamato Educ°sistema. Tale sistema esiste già: la nuova generazione di bambini e ragazzi è già pronta per imparare ad imparare. Dal laboratorio in classe, ai viaggi di istruzione, alle scuole tecniche e professionali noi rileviamo una enorme zona prossimale di sviluppo.

Nonostante le apparenze i ragazzi sono ancora molto curiosi e vanno aiutati da piccoli a rimanere curiosi. Dobbiamo essere coraggiosi e superare una didattica che ha già fallito e produce per lo più disagio, noia, disillusione: la scuola di primo grado è fondamentale, ma quella di secondo grado deve guardarla, rispettarla e capire; l’Università dovrebbe imparare.

Per una scuola proattiva

Un sistema scuola proattivo e veramente formativo è quello che consente a ciascun bambino/ragazzo di vivere la scuola e l’apprendimento ed anche la fatica di imparare con le proprie emozioni (Goleman), senza la presenza di false aspettative e pregiudizi da parte degli adulti educatori (Rogers).

Se guardiamo fuori dalla scuola, vediamo che da anni il modello proattivo è diffuso con macro idee di sviluppo dei bambini nella fascia zero-tre. Al netto dei precocismi verso la primaria, tale cura si è allargata realizzando il sistema integrato zerosei: ogni bambina, bambino ha una sua entità e personalità, le idee ed i progetti di nonne/i e genitori non devono modificare il processo di crescita o tantomeno danneggiarlo.

Poi – a un certo punto – prende il sopravvento la valutazione scolastica, quella parallela di scuole sportive, quella della depressione educativa degli adulti (genitori e insegnanti) e la delega allo smartphone (Info°sistema), con cui a molti sembra si possa fare tutto, e la caduta valoriale del ruolo potente di un Educ°sistema di cui gli adulti deve tornare ad essere convinti protagonisti.

Tutto oggi non accade per le incertezze di parte dei genitori a causa dell’impatto dei sistemi dei decenni precedenti (lezione, interrogazione, voto) e per l’assenza del sistema formativo nazionale che non aiuta più nessuno, né adulti, né dipendenti, né bambini e ragazzi. Non aiuta sicuramente la lettura (e non l’analisi) delle prove INVALSI, il clima generato, la diffusione-spot dei punti di debolezza, la scarsa attenzione ad un’analisi di contesto…

Nonostante la semplicistica lettura dei risultati che spesso, purtroppo, accade, va dato merito ad una parte di genitori e insegnanti che, cogliendone gli elementi di approfondimento e gli stimoli, credono che la formazione (non solo l’istruzione) dei propri figli e dei propri alunni sia importante. È questo l’atteggiamento che determina un ecosistema formativo che è fatto di regole in casa, scelta di programmi tv, visite ai musei e mostre, viaggi, uscite comuni con amici, letture commentate di libri, visione collettiva di film e documentari accuratamente orientata dalle famiglie.

Questo complesso processo merita tanta riflessione e tanta formazione nella scuola.


[1]  Forse occorrerebbe capire il presente per orientare il futuro, e costruire la scuola che serve al domani. Su questa traccia mi permetto di suggerire di scaricare e leggere attentamente l’importante quanto interessante numero 341 di Scuola7 con i pregevoli interventi che affrontano tematiche di sistemi complessi dediti alla formazione, piuttosto che un singolo aspetto.

[2] Cfr. l’ANP, https://www.anp.it/wp-content/uploads/2019/12/LUCI-ED-OMBRE-DELLA-SCUOLA-FINLANDESE_Pinella-Giuffrida-rivisto.pdf sulla visione ecosistemica del sistema finlandese, che evidenzia il leggero calo citato di un sistema che, comunque, ha decine di punti di vantaggio in risultati scolastici rispetto a quello italiano.

[3] https://www.youtube.com/watch?v=D22Ko6OVLMA