Usare o non usare le tecnologie a scuola

Ma è davvero questo il problema?

Tema molto discusso ancora oggi, questo!  Quante volte abbiamo ascoltato frasi che mettono in risalto solo criticità dell’uso delle tecnologie a scuola e quante volte ancora abbiamo assistito a dibattiti in cui sono state decantate le possibilità fornite dall’uso degli strumenti tecnologici a supporto di una didattica vicina alle esigenze di uno studente del terzo millennio.

Nulla di nuovo! Storie di tutti i giorni, diceva il titolo di una famosa canzone!

Forse è giunto il momento di chiedersi, però, quali siano le ragioni per cui molti docenti credono nel valore della tecnologia e quali, invece, inducono gli insegnanti a vederla come un nemico o, comunque, come qualcosa che non aiuta.

Formazione, metodo… fiducia

Le ragioni sono tante e diversificate. Partiamo dalla più semplice: se uno non crede in una cosa difficilmente sarà in grado di vedere le cose belle, le cose positive, i vantaggi, perché regna lo scetticismo e, forse, l’incredulità. E allora? Basterebbe dire: provare per credere! E provare come, poi? Da autodidatta? Da praticone?

E no! L’utilizzo della tecnologia a scuola richiede formazione, richiede metodo e, soprattutto, richiede fiducia. “Se applico la tecnologia sicuramente avrò dei benefici in termini di apprendimento”. Se un docente sposa questo concetto allora il primo passo è fatto. È ovvio che c’è sempre il rovescio di ogni medaglia e che molte cose possono e devono esser fatte a scuola secondo canoni che non devono essere supportati dalla tecnologia. In sintesi: in medio stat virtus.

La tecnologia non è un nemico della didattica

Quindi, qual è il nocciolo della questione? È uno solo: la tecnologia non è un nemico della didattica, bensì un fedele alleato della costruzione del sapere. E vediamo il perché!

La tecnologia fa parte della nostra quotidianità, anche di quella dei bambini. Non possiamo non tener presente che i bambini di oggi in futuro vivranno una realtà sempre più digitalizzata rispetto alla nostra, e imparano ad utilizzare gli strumenti tecnologici sin dai primi anni dell’apprendimento. Quindi? Perché la scuola, principale agenzia formativa, dovrebbe esimersi da questo? Beh, non può e non deve! L’importante è farlo nel modo giusto, sfruttando tutto ciò che possa essere un fautore di un apprendimento significativo.

Se vedo ricordo, se faccio capisco!

Un piccolo, semplice esempio. Pensiamo a una lezione di scienze, ad esempio, la mitosi. Se si legge soltanto si potrebbe correre il rischio di non comprendere quanto stia avvenendo nella cellula. Si potrebbe supportare la spiegazione con un video in cui si evidenzia quanto sta avvenendo nel processo e subito dopo leggerne le fasi. Ma si potrebbe anche fare esattamente l’opposto: si potrebbe prima far leggere gli studenti e poi verificare attraverso la visione del video l’acquisizione dei concetti appena letti. In altri termini si può procedere con un atteggiamento didattico induttivo o deduttivo. Confucio già prima della venuta di Cristo disse: se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco!

Quanto ancora la tecnologia ha aiutato nell’apprendimento delle lingue straniere! Vogliamo mettere in discussione i “dizionari parlanti”, che consentono la lettura dei termini per verificare pronuncia e intonazione?

I ragazzi hanno bisogno di esempi

Una domanda, poi, sorge spontanea: i ragazzi sono “nativi digitali” come qualcuno li ha definiti nel lontano 2005. Ma sono davvero in grado di saper sfruttare le potenzialità che la Rete e la tecnologia mettono loro a disposizione? I ragazzi vengono spesso richiamati perché non vogliono studiare, non vogliono andare a scuola, sono svogliati. Facciamoci una domanda: i ragazzi vedono nella scuola qualcosa che è vicina al loro mondo? Che non significa assecondare, ma significa solo far veder loro che la scuola è una estensione del loro vivere quotidiano, un’estensione che formalizza i loro saperi, li traduce in concretezza. I ragazzi hanno bisogno di esempi e di essere guidati nel comprendere le dinamiche del loro mondo che è caratterizzato da un bombardamento mediatico informativo. Occorre aiutarli a distinguere le potenzialità e i rischi della rete

“Non sapevo come era bella la scuola”

Per riflettere sull’importanza delle tecnologie digitali, è utile anche interrogarsi su cosa ci ha lasciato in eredità la pandemia? Solo la prova che eravamo un po’ indietro nell’uso della tecnologia e che abbiamo dovuto procedere con un’azione di arrembaggio? Ci ha fatto capire che la tecnologia, volente o nolente, ha comunque reso visibili le varie sfaccettature della realtà digitale e del mondo in cui i nostri studenti sono immersi? Non solo, credetemi. La pandemia ci ha messo nelle condizioni di capire che la riflessione è uno splendido atteggiamento intellettuale, ma che ha bisogno di tempo. Ha bisogno che l’uomo si fermi e recuperi dentro di sé tutti gli elementi affinché il mondo esterno si interiorizzi nell’idea nuova. In vari blog ho letto ragazzi scrivere Non sapevo come era bella la scuola! Perché lo scrivevano? Perché non sapevano quanto era bella la scuola?

Cosa devono sapere i ragazzi domani?

Non lo sapevano perché non interiorizzavano quello che stavano vivendo, lo vivevano solo esternamente. Lo vivevano come routine e, per questo, senza prestarvi attenzione, percepivano la scuola come un contesto non propriamente loro, non propriamente vicino al loro modus operandi. È quindi necessario che noi adulti, noi persone di scuola in questo rapporto sbilenco con le nuove generazioni, troviamo un nuovo approdo, un nuovo modo di dialogare. Bisogna riflettere e, anche pensando alle competenze, occorre ripensare a una valorizzazione delle competenze essenziali. Noi non possiamo permetterci più, anche se utilizziamo gli strumenti, di consegnare a una mediazione terza, cioè agli strumenti, il nostro sapere.

Che cosa devono sapere i ragazzi domani? I ragazzi devono scoprire l’adattamento, cioè devono avere la capacità di mobilitare sé stessi e non sentirsi persi, capaci di guardare le stelle se manca la bussola. Cioè l’improbabilità del futuro è un punto di crisi se non ne hai la consapevolezza. La pandemia ci ha fatto comprendere e continua a farci comprendere proprio questo. Se ne abbiamo la consapevolezza ebbene questa deve divenire un punto di opportunità e la scuola deve fornirla. Oggi i nostri ragazzi hanno sempre vissuto nella consapevolezza della ripetizione delle certezze contemporanee. Poi è bastato un clic e queste certezze sono saltate. Dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi che l’incertezza deve divenire una nuova dimensione di normalità. E in questo la tecnologia ci aiuta.

La cultura per osservare le stelle

La scuola deve fornire agli studenti “bussole” insieme alla cultura di sempre, anzi ancora più cultura per poter comprendere a fondo come orientare la bussola o come osservare le stelle in sua assenza.

In termini didattici occorre soffermarsi nel formare la mente che pensa e non solo la mente che sa (io lo dicevo ai miei docenti anche in tempi non sospetti). Le restrizioni della pandemia hanno fatto emergere ancora di più queste problematiche ma non ci ha fornito ancora i mezzi per affrontarle e non credo potrà mai farlo. Dobbiamo trovare noi la soluzione! Il nostro sforzo quindi continuerà sempre verso la direzione di pensare a una scuola in cui altre abilità sociali, o meglio, abilità sempre presenti ma che magari erano state poste su un gradino più basso, oggi devono avere un merito e un apprezzamento maggiore.

“Vivi e impara” diceva qualcuno, per riferirsi al ruolo che le nuove esperienze e i nuovi mezzi di comunicazione hanno nel modificare le logiche presenti.

Abituiamo i ragazzi a vivere il mondo presente, il loro mondo, sfruttando tutto ciò che la tecnologia pone di positivo e aiutandoli a comprendere le trappole, i pericoli che si celano dietro. Perché in ogni cosa della vita, non è tutto oro ciò che luccica!