Sanzione disciplinare: repressione o giustizia riparativa?

La metafora del kintsugi giapponese

Il parco Verde di Caivano è tornato al centro della cronaca per il caso di abusi di gruppo avvenuti ai danni di due bambine di 10 e 12 anni. Sono indagati alcuni minorenni dalla procura minorile e due maggiorenni dalla Procura di Napoli Nord. 

Tali eventi hanno innescato un dibattito spesso caotico, confuso e, a tratti, ideologico e hanno creato una comunicazione, anche distorta, che non aiuta a cogliere il valore che la sanzione dovrebbe avere. Passa, invece, la parola d’ordine, oggi sempre più diffusa: “gettiamo via la chiave!”

Qui non vogliamo entrare nel merito del cosiddetto “Decreto Caivano”. Pensiamo, tuttavia, che DASPO urbano, foglio di via, carcere preventivo… siano provvedimenti che esulano da un approccio educativo e che, nella concreta realtà, difficilmente si coniugano con il tema della giustizia rivolta ad adolescenti, sia in ambito scolastico sia nel più ampio contesto sociale.

Il presente contributo intende approfondire una tipologia particolare di sanzione, riconducibile alla cosiddetta “giustizia riparativa”.

La giustizia riparativa in senso generale  

A differenza di molti paesi europei, in Italia il tema della giustizia riparativa non è mai stato oggetto di particolare attenzione. Il recente decreto legislativo n. 150/2022 (Riforma Cartabia), relativo all’efficienza del processo penale, può costituire, anche per le scuole, un’opportunità di approfondimento e sviluppo. Il Titolo IV del decreto reca il seguente titolo “Disciplina organica della giustizia riparativa”, che riguarda sia adulti che minori. Essa è intesa (art. 42 del decreto) “come ogni programma che consente alla vittima del reato, all’autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un mediatore adeguatamente formato”.       

La giustizia riparativa rappresenta, pertanto, in ogni ambito (non solo in quello penale), una diversa risposta rispetto alla classica punizione. La trasgressione è vista come un evento relazionale al centro del quale vengono considerate tutte le persone coinvolte: l’autore del reato, da un lato, la vittima e il contesto di appartenenza, dall’altro. Anche nella prospettiva di una buona riaccoglienza all’interno della comunità, si prevede un momento di incontro tra il “reo”, l’offeso e i soggetti del contesto in cui sono stati messi in atto comportamenti inadeguati.

La giustizia riparativa in ambito scolastico

Le scuole sono un luogo aggregativo nel quale studentesse e studenti alimentano i loro processi di crescita, nella prospettiva di uno sviluppo rispettoso e di una costruttiva convivenza democratica.

Come in ogni ambiente sociale, anche nelle scuole avvengono trasgressioni di lieve, media o grave entità che i regolamenti di istituto descrivono, indicando la sanzione corrispondente all’infrazione commessa. Prevale però quasi sempre il principio della giustizia distributiva, alimentato dalla ripartizione dei meriti e dei demeriti applicata indistintamente a tutti. Il rischio nel quale si incorre, come sostengono i ragazzi di Barbiana in Lettera a una professoressa, è quello di “fare parti uguali fra disuguali”, anche se, ad esempio, il principio posto alla base della sanzione nel DPR 235/2007 (Statuto delle studentesse e degli studenti) è quello, invece, di offrire allo studente l’opportunità di riparare al danno arrecato, offrendogli la possibilità di svolgere “attività in favore della comunità scolastica”.

Il paradigma riparativo è incentrato sulla capacità dei ragazzi coinvolti (carnefice e vittima, nel caso di bullismo) di operare una ricucitura dei legami violati, di lavorare in modo attivo sul concetto di responsabilità, di ripristinare un clima sereno nelle classi e nella scuola, rendendo effettivo il passaggio da un’ottica puramente punitiva ad una visione basata sull’obiettivo di porre riparo al danno causato.

La solitudine dell’aggressore e dell’aggredito

La giustizia riparativa si basa sul principio che i vissuti di offesa e di umiliazione siano esperienze che denotano la crisi della dimensione relazionale. Conta, quindi, soprattutto in un contesto educativo qual è la scuola, prendersi cura delle conseguenze negative che insorgono nel caso di gravi forme conflittuali, offrendo ai ragazzi coinvolti uno spazio protetto di ascolto e di parola. Nella giustizia riparativa un ruolo centrale è svolto dalla figura del mediatore, un soggetto “terzo”, realmente capace di far evolvere in senso positivo i processi che hanno infranto i rapporti di amicizia e di lealtà tra persone e fra queste ultime e il gruppo di appartenenza.

Occorre soprattutto cambiare il punto di vista e rivolgere l’attenzione ad entrambi i protagonisti, non soltanto a chi ha violato la regola. In questo modo si offrirà la possibilità di rifondare il senso del rispetto reciproco. La stessa regola scolastica, da evento temuto (probabilmente poco!), diventerà un valore capace di contribuire a ridare senso ad un nuovo progetto di vita.

L’ex magistrato Gerardo Colombo afferma che “le vittime non si risarciscono con la punizione, perché dalla punizione non ricevono riparazione della loro dignità infranta. La sofferenza imposta non può e non è in grado di convincere, semmai insegna a obbedire” (Colombo, 2013).

L’arte di ricomporre gli oggetti rotti

Ci sono molte buone pratiche di giustizia alternativa alle “tradizionali” punizioni, per esempio quella di affiancare i ragazzi ad una persona adulta (tutor interno o figura esterna) con il compito di ascoltare vissuti, sostenere azioni, valorizzare risultati positivi ottenuti da parte dell’aggressore. Qualsiasi alternativa richiede la progettazione di percorsi realmente personalizzati; l’efficacia dei quali dipende moltissimo dalle persone che vengono scelte in vista della ri-creazione di rapporti lacerati.

In episodi di bullismo, risulta essenziale coinvolgere i genitori del “carnefice” e della vittima, facendo sì che il percorso riparativo non venga circoscritto soltanto entro le mura della scuola. In questo caso, l’organizzazione di un incontro di ricomposizione tra il bullo e il bullizzato potrebbe vedere la presenza attiva anche dei rispettivi genitori.

Molto spesso si abbina il concetto di giustizia riparativa alla metafora del kintsugi giapponese (fig. 1). Si tratta di un’arte che consiste nella ricostruzione di un oggetto rotto con l’uso di un metallo prezioso (oro, argento, …). In questo modo ciò che prima era un semplice rifiuto torna a rivivere in un’opera irripetibile: le incrinature vengono impreziosite dal materiale che aggiunge un valore unico alla cosa infranta.

Fig. 1 – Kintsugi, arte giapponese di ricomporre oggetti rotti

Riparare i contesti

Abbassare l’età imputabile serve a poco, perché ancora una volta si interviene unicamente sull’individuo che ha sbagliato. Al contrario, il problema vero è cambiare i contesti. L’atteggiamento meramente repressivo sicuramente va adottato in casi di particolare gravità, anche se sappiamo bene che, molto spesso, il carcere minorile (come l’istituzione carceraria per gli adulti) rischia di aggravare anziché prevenire o contrastare fenomeni di devianza.

Per battere il fallimento formativo occorre creare le condizioni di un apprendimento inclusivo. Di conseguenza, il successo dell’azione educativa dipende in larga misura dalla qualità dei contesti educativi, non solo formali ma anche quelli non formali, legati alle opportunità offerte dai territori. “L’ambito privilegiato di intervento è quello della costruzione di contesti, relazioni e aiuti tendenti a facilitare gli apprendimenti e nello stesso tempo ad accrescere la fiducia degli studenti” (Rondanini, 2007). “Si tratta di promuovere l’uguaglianza sostanziale grazie a modelli di welfare formativo capaci di guardare più alle persone che all’offerta formativa indifferenziata” (Rossi Doria e Tabarelli, 2015).

La scuola è fondamentale, ma da sola non basta.

Riferimenti

Colombo G. (2013), Il perdono responsabile, Edizione Ponte alle Grazie, Firenze.

Rondanini L. (2007), Disagio scolastico, in Cerini G. e Spinosi M. (a cura di), Voci della scuola, Tecnodid.

Rossi Doria M., I soldi ci sono, quello che manca è una strategia nazionale, La Stampa, 28 agosto 2023.

Rossi Doria M. e Tabarelli S. (2015) (a cura di), Reti contro la dispersione scolastica, Erickson, Trento.