Educare alla pace

… in un mondo in guerra

I primi decenni del XXI secolo sono stati scanditi da continui eventi bellici che stanno sconvolgendo il mondo e cambiando gli equilibri geo-politici consolidatisi nel secondo Novecento.

Per la prima volta dal 1945 il nostro vecchio Continente sta assistendo ad una cruenta e sanguinosa guerra tra Russia e Ucraina, senza che si intravedano soluzioni pacifiche. L’idea di un’Europa dall’Atlantico agli Urali, caldeggiata da molti leader politici nella seconda metà degli anni Ottanta, fa parte di un orizzonte morto e sepolto. D’altronde lo scoppio di ogni nuovo conflitto rappresenta un passo indietro per l’umanità.

Terza guerra mondiale a pezzi

Papa Francesco ha coniato l’espressione “terza guerra mondiale a pezzi” per sottolineare che l’intero pianeta è percorso da conflitti che coinvolgono direttamente e indirettamente ognuno di noi. L’obiettivo 16 dell’Agenda 2030, dal titolo “Pace, giustizia e istituzioni forti” ci ricorda di “promuovere società pacifiche e inclusive orientate allo sviluppo sostenibile, garantire a tutti l’accesso alla giustizia e costruire istituzioni efficaci, responsabili e inclusive a tutti i livelli”.

Che cosa può fare la scuola per promuovere un’autentica educazione alla pace, richiamata in modo ricorsivo nei documenti e nelle agende di tutti gli organismi internazionali?

Conoscere per capire

Di fronte alle tragedie umane, c’è un enorme bisogno di capire (intelligere: leggere dentro). Ha scritto Ivano Dionigi, professore emerito dell’Alma Mater dell’Università di Bologna, in un interessante articolo pubblicato sul quotidiano la Repubblica il 23 gennaio scorso: “Abbiamo bisogno di fare pace col tempo e di risarcire i giovani, ai quali abbiamo staccato la spina della storia confinandoli in un eterno presente. Non è tollerabile essere giganti e planetari nel web e nello spazio, nani e provinciali nel tempo”.

Le parole di Dionigi sottendono un evidente insegnamento educativo: per comprendere il presente occorre possedere una solida conoscenza del passato, in particolare di quello recente. Educare alla pace, infatti, significa sviluppare saperi, comportamenti, azioni che promuovano una cultura non violenta e la costruzione di una cittadinanza rispettosa in ogni essere umano.

Purtroppo, gli studenti italiani escono, a 19 anni, dal sistema di istruzione senza avere le conoscenze basilari di quanto è avvenuto nel secolo scorso. Il secondo Novecento poi è completamente ignorato. Si tratta di undeficit di conoscenza gravissimo, che si ripercuote sulle stesse sorti della nostra democrazia.

Conoscere il passato è determinante per affrontare i problemi dell’attuale epoca e assumere una posizione critica di fronte agli ultimi avvenimenti così sconvolgenti.

Una pista di lavoro

Un modulo didattico che dovrebbe essere svolto a partire dagli ultimi anni della scuola primaria fino al termine dell’istruzione superiore è quello legato alle leggi razziali verso gli ebrei, che ancora oggi sono, purtroppo, di desolante attualità (vedi schema).

Le due fasi dell’antisemitismo

Fasi Persecuzione Atti
1938-1943
“Persecuzione dei diritti degli Ebrei” Allontanamento dagli uffici e dalle scuole pubbliche, divieto di contrarre matrimonio con i cittadini italiani.
L’introduzione della legislazione antiebraica avvenne ad opera del fascismo che ne porta intera la responsabilità.
I provvedimenti legislativi furono elaborati dal governo dittatoriale del Regno d’Italia presieduto da Benito Mussolini, approvati all’unanimità dalla Camera e a larghissima maggioranza dal Senato, controfirmati da re Vittorio Emanuele III di Savoia[1].
1943-1945
“Persecuzione delle vite degli “Ebrei” Rastrellamenti, esecuzioni capitali, trasferimenti su treni blindati nei campi di sterminio del Centro e dell’Est Europa.

La testimonianza dell’allora bambina Liliana Segre è facilmente comprensibile anche dagli alunni della scuola primaria.

Ero a tavola con mio papà e i miei nonni quando mi dissero:

«Tu non puoi più andare a scuola».

«Perché?», chiesi.

«Sei stata espulsa», mi rispondono. «Siamo ebrei, ci sono nuove leggi…»[2].

Credo che il periodo 1938-1948 debba diventare un momento di studio obbligatorio sia per quanto concerne la nostra storia, sia in relazione ai principali avvenimenti della storia mondiale. Penso, in particolare, ad un modulo didattico che, in un’ottica di approfondimenti successivi, può accompagnare l’alunno dalla scuola primaria sino all’ultimo anno della secondaria di II grado. Si tratta di un curricolo verticale che può essere inserito nel monte ore annuale di educazione civica e che, nell’ambito dell’autonomia didattica, ogni istituzione scolastica è in grado di promuovere.

Partire da stessi

Oltre al dato oggettivo riconducibile ad una approfondita conoscenza del Novecento, l’educazione alla pace comporta anche un lavoro soggettivo, di maturazione personale. Pace è “star bene con sé stessi” e, quindi, richiede, spazi di riflessione sulle proprie convinzioni, sui propri principi, sulle risposte emotive ai temi che si intendono affrontare in classe. Quali ricadute avranno i miei convincimenti sul modo in cui verranno trattate le questioni con i miei compagni di classe?

Anche l’insegnante deve porsi domande analoghe. Che cosa significa per uno studente nero studiare la Shoah, quando lui stesso (o la sua famiglia) può avere sperimentato tragedie simili?  In che modo il background dei miei alunni influenzerà il modo in cui essi reagiranno ai problemi che voglio trattare?

Tali domande richiedono la costruzione, nel tempo, di un clima di classe inclusivo, favorevole al dialogo e all’incontro di diversi punti di vista. Diventare gruppo-classe (non essere solo classe) presuppone un’azione educativa, fatta di coerenza nelle parole, nei gesti, negli stili da parte di tutti i docenti. La pace interiore è una conquista fondamentale per comprendere le dinamiche del concetto di pace in generale. Occorre offrire tempi per la riflessione individuale e collettiva, creare occasioni per lo sviluppo di capacità argomentative, suscitare interessi reciproci per apprendere ad agire in modo collaborativo.

Educare alla bellezza della parola

La guerra è distruzione, dolore, pianto. La pace è assaporare la quiete e la bellezza di essere in sintonia con sé stessi e con gli altri.

Gli insegnanti possono agire su diversi fronti. Uno di questi è far in modo che alunni e studenti possano apprezzare le tante cose belle che l’arte e, più in generale, i linguaggi espressivi ci suggeriscono.

Nell’immagine viene riprodotto un possibile percorso di una unità di apprendimento.

Dalla bellezza del testo poetico di Leonardo Sinisgalli nel quale il vento trascina le fioraie in San Babila a Milano, all’incanto di Marc Chagall che libra la moglie in cielo, sullo sfondo della sua cittadina natale (Vitebsk in Bielorussia), al genio musicale di Vasco Rossi, che nella canzone-poesia, Gli angeli, ricorda l’amico Maurizio Lolli, prematuramente scomparso.

“Fare poesia è un atto politico perché ripristina spazi di bellezza” (Rondanini, 2022).

In sintesi

L’insegnante ha il compito di “insegnare la pace”, attraverso lo studio della storia, e di farla rivivere nella bellezza che uomini e donne hanno saputo costruire nel tempo.

Tutto ciò rimanda ai valori del rispetto e della prossimità. Pace, infatti, non è soltanto il contrario della guerra, ma l’assenza della non violenza, l’armonia dell’uomo con sé stesso, gli altri, la natura. Abbiamo tutti bisogno di imparare a pensare e ad agire in modo diverso. Potremo in tal modo aprire orizzonti che ci permetteranno di passare dall’ingiustizia alla giustizia e dall’indifferenza all’impegno.

Riferimenti

  • Ivano Dionigi, Perché bisogna tornare alla scuola, la Repubblica, 23 gennaio 2024.
  • Luciano Rondanini, La pedagogia della bellezza. L’insegnamento di papa Francesco, Tecnodid, 2022.
  • Michele Sarfatti, Le origini antiebraiche spiegate agli Italiani di oggi, ET saggi, 2023.
  • Liliana Segre, Ho scelto la vita, Feltrinelli, 2021.

[1] Michele Sarfatti, Le origini antiebraiche spiegate agli Italiani di oggi, ET saggi, 2023

[2] Liliana Segre, Ho scelto la vita, Feltrinelli, 2021.