Assenti da scuola

La doppia anomalia italiana

Nell’analisi delle politiche assume un particolare significato la “non-agenda”, cioè i temi, i problemi o le istanze che non rientrano nei programmi per ritenuta irrilevanza, per incauta negligenza o per semplice non conoscenza. Un caso nel nostro Paese è l’assenteismo degli studenti, un campo in cui la non-azione prevale per limitata visibilità, per inerzia operativa e per ritardo politico, nonostante le implacabili immagini che blasonate indagini valutative internazionali hanno reso disponibili nel corso dell’ultimo decennio.

I dati PISA (2012-2022)

Fin dal 2000 il programma PISA dell’OECD ha inserito nel questionario per gli studenti, che affianca i test di apprendimento, la questione della presenza regolare alla scuola, ripresa nelle successive edizioni del 2012, del 2015, del 2018 e del 2022. Pur trattandosi di un problema globale in realtà le pagine dei rapporti, tuttavia, non vengono generalmente richiamati.

Uno sguardo ai tassi di assenteismo apre un orizzonte inatteso sugli studenti quindicenni italiani. In PISA 2022 la domanda riguardava l’assenza ingiustificata almeno per un giorno o per una parte di esso nelle due settimane precedenti il test. Dalle risposte ottenute affiora una grande varietà di comportamenti passando dalle scuole di Paesi virtuosi come la Corea o il Giappone (<5%) a quelle con valori superiori al 50% (Grecia, Turchia, Italia, Romania) con posizioni intermedie per la maggior parte dei sistemi scolastici europei e per gli Stati Uniti (Cfr. Graf. 1).

Graf.1 Studenti che dichiarano di essere stati assenti ingiustificati almeno per una giornata o per parte di essa nelle due settimane antecedenti il test (PISA 2022) (%)

Fonte: OECD, PISA 2022 Results (Volume II), OECD, Paris 2023

Per l’Italia la percentuale di assenze ingiustificate risulta elevata e conferma gli esiti delle precedenti edizioni di PISA. Nel 2012 e nel 2018 la domanda riguarda sia l’assenza ingiustificata per un’intera giornata sia l’assenza non giustificata di una parte della giornata. Sul primo tipo di assenza la posizione degli studenti italiani rientra nel gruppo con alti livelli di assenteismo con relativa variazione tra i due anni considerati. I valori (48,2% e 43,2%) sono più del doppio delle medie dei Paesi coinvolti nella ricerca (14,5% e 21,3%), sideralmente distanti da quelli degli studenti coreani (1,8% e 2,2%) o giapponesi (1,5% e 2,1%) ma anche da quelli tedeschi (6% e 13,3%), francesi (9,5% e 16,1%), britannici (17,9% e 18,8%) e statunitensi (21,9% e 19,9%) (Cfr. Graf. 2).

Graf. 2 – Percentuale studenti che dichiarano di essere stati assenti ingiustificati almeno un giorno nelle due settimane antecedenti il test (PISA 2012 e 2018)

Fonte: OECD, PISA 2012 Results: Ready to Learn (Volume III): Students’ Engagement, Drive and Self-Beliefs, OECD 2013; OECD, PISA 2018 Results (Volume III): What School Life Means for Students’ Lives, OECD 2019

I dati PIRLS e TIMSS

Nell’indagine IEA PIRLS del 2016, rivolta agli alunni del grado 4, la domanda del questionario sottoposto agli studenti distingue vari livelli di assenza (“mai o quasi mai”, “una volta al mese”, “una volta ogni due settimane”, “una volta o più per settimana”). In questo caso considerando “mai o quasi mai” i valori nelle scuole italiane non sono distanti da quelli delle scuole di altri Paesi, comunque a livello più contenuto a conferma di una maggior assiduità nelle scuole primarie (Cfr. Graf. 3).

Graf. 3 – Percentuale alunni “mai o quasi mai assenti” (IEA PIRLS 2016 – 4th Grade)

Fonte: PIRLS 2016 International Results in Reading

Graf. 4 – Percentuale studenti “mai o quasi mai” assenti (IEA TIMSS 2019 – 4th e 8th Grade)

Fonte: TIMSS 2019 International Results in Mathematics and Science

La successiva indagine IEA TIMSS condotta nel 2019 e riferita agli studenti sia al quarto che all’ottavo anno di scolarità vede confermata la situazione più critica nella scuola secondaria che nella scuola primaria con alcune eccezioni come ad esempio la Corea e il Giappone dove l’assiduità cresce passando dal quarto all’ottavo anno. Permane problematica la situazione italiana nella scuola secondaria (Cfr. Graf. 4).

Gli assenti ingiustificati… sull’assenteismo

Il quadro, a prima vista sorprendente, colloca i quindicenni italiani tra quelli dei paesi dell’area europea e mediterranea con livelli elevati di assenteismo. Accanto a questa discrasia un’altra anomalia altrettanto impressionante si coglie esplorando l’iniziativa politica di contrasto in altri paesi (gli USA e il Regno Unito sono casi di interesse sotto questo profilo), cioè l’indifferenza rispetto al tema nel contesto italiano. L’attenzione, la ricerca e le azioni riguardano fondamentalmente la dispersione scolastica di cui l’assenteismo è un potente indicatore di rischio, ma che non esaurisce il tema dell’assiduità scolastica. Sull’assenteismo tanti sono gli “assenti ingiustificati”: i policy makers (il contrasto all’assenteismo non compare nei programmi politici o nelle agende governative); l’accademia (salvo molto rare eccezioni non ci sono ricerche in merito nel contesto italiano e i contributi italiani latitano nella letteratura internazionale); il sistema nazionale di valutazione e l’Invalsi (l’assenteismo non è un indicatore preso in considerazione); l’informazione statistica (non ci sono dati pubblici a livello nazionale); gli analisti (anche nei recenti saggi sulla scuola non c’è traccia tra le criticità del problema delle assenze); i giornali (l’assenza da scuola non è un tema frequentato).

Sul tavolo sono aperti alla discussione la qualità dei dati di riferimento e, contemporaneamente, le ragioni della visibilità ridotta e dei silenzi, rotti solo dalle testimonianze degli insegnanti che lamentano le difficoltà di continuità didattica nel lavoro in classe.

Validità e attendibilità dei numeri dell’assenteismo

I dati presentati si basano sulle risposte fornite dagli studenti nei questionari che accompagnano i test di apprendimento nelle indagini valutative internazionali. I motivi di incertezza non mancano. Come in ogni questionario le autodichiarazioni degli studenti sono esposte a rischio di distorsione: la memoria può non essere infallibile, soprattutto quando l’arco di tempo per registrare le assenze è piuttosto lungo. Alcune espressioni utilizzate quali “mai o quasi mai” sono soggette ad interpretazioni dei rispondenti. Le domande, inoltre, che riguardano comportamenti in qualche misura socialmente devianti o culturalmente non accettabili (il marinare la scuola lo è) possono avere risposte che sottovalutano o sopravvalutano la realtà. L’uso della categoria “assenze non giustificate” non è esente da ambivalenze dovuta alle procedure seguite che non escludono comportamenti impropri e approssimazioni e potrebbe condurre in errore dal momento che nessuna motivazione può compensare il danno causato allo studente dalla perdita di opportunità di apprendimento.  Peraltro i dati sull’assenteismo non derivano da ricerche mirate sul tema: sono informazioni indirette ricavate da indagini che hanno, però, un altro focus. Nel contesto italiano, inoltre, non è possibile un confronto con dati provenienti da altre fonti (dati amministrativi, interviste a dirigenti di scuola o docenti, risultati di specifiche ricerche empiriche).

È incerta la qualità dei dati

Che esista un problema di qualità dei dati sulle frequenze irregolari a scuola potrebbe trovare conferma nel fatto che tra gli indicatori del rapporto annuale Education at a glance dell’OECD non ci sia l’assenteismo degli studenti nonostante i molti dati raccolti dal 2000 al 2022 con il programma PISA. Anche la soglia del 10% oltre la quale inizia l’assenteismo cronico, adottata dal governo statunitense e da numerosi stati, appare ragionevole, ma non è basata su evidenze di ricerca pur essendo ormai di uso comune. Purtuttavia sono le uniche informazioni comparative e con serie storica esistenti sull’assenteismo degli studenti.

Per quanto riguarda le ricerche dell’OECD e dell’IEA occorre notare che la numerosità dei campioni nazionali può contribuire a attenuare gli eccessi per sottovalutazione o per sopravvalutazione. Il ripresentarsi, comunque, per gli studenti italiani, nel corso di un decennio, di una situazione patologica e diversa da quella di partner europei è una indicazione che invita a non accantonare troppo in fretta i risultati preoccupanti. Queste incertezze suggeriscono di considerare con qualche caveat le risposte fornite dagli studenti riconducendo le sintesi a prime indicazioni di riferimento per analisi approfondite.

Un tacito messaggio dagli studenti

I dati si prestano, con una lettura alternativa, alla denuncia di una tacita criticità della scuola italiana. Paradossalmente le percentuali inferiori di presenza regolare a quelle degli altri paesi nascondono un messaggio, latente o manifesto che sia, da parte degli studenti di quindici anni, in uscita dalla copertura protettiva dei genitori. Si può leggere il riflesso di un gap tra l’impegno scolastico atteso e il mondo di vita reale dei quindicenni. Gli alti tassi di assenze sembrano sottolineare che agli occhi dei quindicenni la scuola, in fondo, non è da prendere sul serio, l’assiduità è una virtù di ieri, la regolare frequenza non è tra le priorità. Da questo punto di vista nel silenzio assordante la voce degli studenti, per quanto mai chiara e insistente, sembra essere rimasta inascoltata.

In questa ottica l’assenteismo, potente sintomo del rischio di drop out, diventa l’indicatore di un distacco e di una dissonanza rispetto ai valori della scuola con un divario non facile da colmare. La premessa della scuola stessa, cioè la regolare frequenza, non pare essere condivisa e sottoscritta da molti quindicenni.

Diagnosi condivise e terapie difficili

Nella letteratura internazionale[1] si sottolineano le diagnosi condivise sulle cause dell’assenteismo a scuola che mettono in evidenza la pluralità di fattori che intervengono, dalle variabili individuali a quelle familiari, dalle caratteristiche riferite alle scuole a quelle riguardanti i gruppi di pari, dai tratti delle comunità locali ai valori culturali attribuiti all’impegno scolastico. Si tratta di un problema complesso: i diversi fattori si intrecciano in forme e misure diverse e incidono sul singolo studente in modi non omogenei. Per contrastare l’assentarsi da scuola serve un intervento multipolare, con azioni di diversa entità e finalità, con modelli di cooperazione tra i soggetti coinvolti specifici delle singole realtà e con un allineamento delle strategie da mettere in campo ad ogni livello del sistema scolastico.

Le difficoltà e la complessità delle terapie spiegano la persistenza nel tempo, talora anche l’aggravarsi, delle criticità e, allo stesso tempo, il relativo successo in aree circoscritte con appropriate linee di azione e robuste convergenze tra istituzioni e famiglie. Preziosa si rivela, pertanto, la documentazione proveniente dai paesi in cui la questione è affrontata con politiche dedicate ed è stata, ed è, oggetto di recenti filoni di ricerca pluridisciplinare. Alcune lezioni e indicazioni possono essere apprese.

Rendere visibile l’assenteismo

I risultati dei programmi PISA e IEA pur ripetuti e convergenti non hanno suscitato allarme e sono rimasti nelle pagine meno lette dei rapporti e nelle statistiche meno citate. La prima lezione è rendere visibile l’assenteismo, sviluppando le metodologie e le infrastrutture per raccogliere i dati dalle scuole e organizzarli in rapporti periodici, come avviene regolarmente in Inghilterra e negli Stati Uniti.

Negli Stati Uniti, paese per il quale i dati PISA indicano una situazione migliore di quella italiana, una spinta al miglioramento è derivata dal Every Student Succeed Act (NCLB) del 2015 che rispetto alle precedenti scelte del No Child Left Behind (NCLB) ha ampliato la valutazione delle scuole degli studenti introducendo accanto ai tradizionali indicatori ‘academic’ un indicatore ‘non academic’ (denominato il “fifth indicator”) che la maggior parte degli Stati ha individuato nel tasso di assenteismo. Il Federal Departement of Education ha iniziato nel 2016 a raccogliere e rendere pubblici dati sulle assenze degli studenti e la frequenza è entrata tra gli indicatori di rendicontazione delle scuole.

Inserire il tasso di assiduità tra gli indicatori di qualità delle scuole e della scuola

Una spinta al risveglio di attenzione dei diversi attori sicuramente deriverebbe dall’inserimento dell’indicatore relativo alla frequenza scolastica sia nel sistema nazionale di valutazione sia a livello di rendicontazione della singola scuola. L’assiduità potrebbe così rientrare tra gli obiettivi da perseguire ai diversi livelli. Per il necessario monitoraggio si imporrebbe un attento lavoro di messa a punto di definizioni operative e di tecniche appropriate di misurazione, nonché l’impianto delle infrastrutture necessarie per le serie storiche. Sarebbe anche uno stimolo per studi longitudinali e per la collaborazione tra base dati di istituzioni diverse.

In questo nuovo contesto potrebbero essere stimolate ricerche specifiche sulla cause dell’assenteismo, sulle tipologie e sulle variazioni in relazione ai diversi gruppi sociali ed etnici di appartenenza degli studenti, ai contesti urbani o rurali di residenza, con approfondimento sul ruolo dei servizi pubblici di mobilità degli studenti e sulle forme possibili di coinvolgimento dei servizi sanitari (patologie di salute sono le ragioni delle assenze più frequentemente addotte dai genitori ed esposte dagli studenti). Come è nella filosofia degli indicatori la funzione è, ovviamente, migliorativa con esclusione di intenti sanzionatori o punitivi.

Le due piste di lavoro indicate potrebbero ricollocare l’intera questione dalla ‘non agenda’ ai programmi espliciti di azione integrandoli negli interventi di più ampio respiro volti a promuovere la partecipazione regolare alla scuola che, occorre ricordare, ha forti ripercussioni positive sui risultati di apprendimento degli studenti.

Prendere sul serio il problema della non assiduità a scuola

L’essere regolarmente presente a scuola è un indicatore di riuscita nel percorso scolastico. In tutti i rapporti PISA l’andamento dei livelli di performance in matematica, scienze e lettura viene descrittivamente messo a confronto con il variare delle fasce di assenza. Le conclusioni sono convergenti: più cresce l’assiduità e più migliorano i punteggi dei test, mentre studenti low performers sono più frequentemente assenti da scuola.

Ricerche approfondite confermano queste conclusioni anche perché quasi sempre la regolare frequenza nei giorni di scuola è la risultante di fattori importanti ai fini dell’apprendimento, dalle motivazioni degli studenti al loro senso di appartenenza alla scuola, dalla cultura della scuola respirata in famiglia alla integrazione nel gruppo di classe. Le evidenze di indagini, inoltre, documentano che questo raccordo esiste anche a livello della scuola dell’infanzia e della scuola primaria a conferma della necessità di prendersi cura della frequenza fin dai primi anni, là dove l’investimento educativo si dimostra più determinante e là dove si formano le buone abitudini che dureranno lungo il percorso. È una falsa opinione che il problema riguardi solamente la scuola superiore.

Diversi studi concludono affermando che uno studente ha più probabilità di assentarsi se è stato assente nell’anno precedente: l’assenteismo è ricorsivo, è cruciale quindi seguire tempestivamente gli studenti con esperienze precedenti di assenteismo. L’analisi di alcune esperienze positive, come è il caso delle scuole di Chicago, rivela che l’azione può essere più efficace nella fase di ingresso nella scuola dell’infanzia e nella transizione tra gli ordini di scuola: momenti critici in cui aumentano il rischio di assenze e i comportamenti di bassa partecipazione. Altri studi evidenziano l’impatto maggiore della irregolarità di frequenza sugli studenti in condizione di svantaggio ma dimostrano, allo stesso tempo, che la ripercussione delle assenze riguarda, in misure diverse, tutti gli studenti anche a prescindere dai livelli di performance. La frequenza irregolare fa la differenza per tutti: la perdita di opportunità di apprendimento penalizza sempre. I giorni di scuola sono tutti importanti per tutti.

Valenza strategica della promozione della frequenza regolare

Nei sistemi in cui il finanziamento delle singole scuole tiene conto oltre che del numero di studenti iscritti anche del tasso di presenza regolare registrato nell’anno precedente, ogni contrazione dell’assenteismo si traduce in un aumento di budget. Dove questo meccanismo non esiste, non mancano, tuttavia, le ragioni per una strategia di contrasto all’irregolarità di frequenza.

Secondo il ricorrente appello al ‘back to basics’, si può notare che non c’è nulla di più fondamentale della regolare presenza di ogni studente nella propria classe, con i propri compagni e con i propri docenti. Questa è anche la premessa di ogni riforma o intervento di innovazione, necessaria anche se non sufficiente.

La ricerca sulle ipotesi di contrasto all’assenteismo, sulla loro praticabilità e sulla loro efficacia è relativamente giovane e non fornisce risultanze definitive. Esplorando, tuttavia, le esperienze, pur circoscritte, talora sporadiche, già realizzate con esiti positivi, ridurre l’assenteismo appare possibile:

  • adottando le misure adeguate;
  • dando prova della tenacia necessaria;
  • avviando le opportune collaborazioni;
  • calibrando l’azione sui momenti critici per percorso scolastico;
  • disponendo di basi di dati funzionali al monitoraggio continuo.

Sicuramente la via della promozione dell’assiduità a scuola, pur complessa ed impegnativa, si dimostra più praticabile rispetto ad altre ipotesi apparentemente più attrattive, quali il rinnovamento dei curricoli o la riqualificazione del corpo docente, spesso tuttavia sono più onerose, di difficile e incerta implementazione e, in ogni caso, di medio e lungo periodo.

Transizione necessaria

I tempi sono maturi per recuperare il ritardo accumulato per indifferenza e non conoscenza del problema e per avviare la transizione già realizzata in altri contesti nazionali. Ci riferiamo alla transizione dal periodo in cui la responsabilità per la frequenza regolare ricadeva prevalentemente sui genitori e sugli studenti stessi, a cui si riferivano eventuali sanzioni punitive, ad una fase in cui tutti i livelli di azione sono mobilitati e coinvolti attivamente. Occorre accantonare la facile ricerca di inutili capri espiatori, superare l’approccio sanzionatorio e punitivo che viene dalla tradizione e ampliare gli interventi contro la dispersione scolastica includendovi comportamenti non necessariamente destinati a sfociare nel drop out.


[1] Si veda la sintesi delle ricerche condotte negli Stati Uniti nell’ultimo decennio in Gottfried, M.A e E.L. Hutt (a cura di), Absent from School: Understanding and Addressing Student Absenteeism, Harvard Education Press, Cambridge (Mass.) 2021.