Autonomia differenziata

È una questione di LEP?

Il 23 marzo 2023 era stato presentato ufficialmente da Roberto Calderoli, Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, Il disegno di legge (DDL) n. 615 relativo alle “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”.

Dopo aver proseguito il suo iter in Commissione Affari Costituzionali il 23 gennaio 2024 è stato approvato dal Senato della Repubblica con 110 voti favorevoli, 64 contrari e 3 astenuti. Adesso il DDL passa alla Camera.

In un precedente numero di Scuola7[1] avevamo analizzato il disegno di legge inquadrandolo nella sua cornice di riferimento, e avevamo evidenziato alcuni aspetti problematici, con un focus sul tema dell’Istruzione. In questo articolo prenderemo in esame le modifiche apportate, a seguito dell’approvazione di alcuni emendamenti, e cercheremo di soffermarci sul concetto di LEP (Livelli essenziali delle prestazioni), con alcune osservazioni finali in tema di Istruzione.

Nuovo testo DDL 615

La Commissione Affari Costituzionali ha approvato circa ottanta emendamenti al DDL 615, quaranta dei quali presentati dall’opposizione. Pertanto il testo licenziato in Senato risulta modificato rispetto a quello originario. Intanto gli articoli sono diventati 11 e non più 10, in quanto l’articolo 7 è stato ampliato ed ha originato, nel nuovo testo, due articoli: l’articolo 7 e l’articolo 8. L’intento degli emendamenti è stato quello di migliorare i contenuti del disegno di legge in relazione all’aspetto dell’unità nazionale, dell’equità, della solidarietà e della completezza procedurale. Vediamo di seguito, nel dettaglio, i cambiamenti apportati.

Principio solidaristico

Nell’articolo 1 si è esplicitato che i principi generali per le attribuzioni alle Regioni a statuto ordinario di particolari forme di autonomia, in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, avvengono nel rispetto dell’unità nazionale e al fine di rimuovere discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio. Viene espressamente citato il principio solidaristico di cui agli articoli 2 e 5 della Costituzione. In due punti troviamo l’avverbio equamente e il riferimento al rispetto dei principi stabiliti dall’articolo 119 della Costituzione, che prevede l’istituzione di un “fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante”.

Procedure

L’iter procedurale dell’articolo 2 viene modificato, sostanzialmente in tre punti:

1) ai fini dell’avvio del negoziato, il Presidente del Consiglio dei Ministri, o il Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, tiene conto del quadro finanziario della Regione;

2) prima dell’avvio del negoziato, il Presidente del Consiglio dei Ministri, o il Ministro per gli Affari Regionali delegato, informa le Camere e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano dell’atto di iniziativa;

3) il Presidente del Consiglio può limitare il negoziato ad alcune materie o ambiti di materie individuate dalla Regione.

Un tassello importante: i LEP

Un tassello fondamentale è costituito dai cosiddetti Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) che devono essere comunque garantiti su tutto il territorio nazionale.

Ai LEP sono sempre dedicati l’articolo 3 e 4, ma nel DDL approvato si definisce operativamente che è compito del Governo determinarli, adottando entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge uno o più decreti legislativi. La proposta è del Presidente del Consiglio e del Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, previo parere della Conferenza unificata: gli schemi dei decreti legislativi sono trasmessi alle Camere per i pareri delle Commissioni competenti per i profili finanziari. Tali pareri devono essere dati entro quarantacinque giorni dalla trasmissione, trascorsi i quali il decreto può essere adottato.

Procedimento e materie

Nei decreti devono essere definite le modalità e le procedure per garantire in ciascuna Regione l’erogazione dei LEP, i quali devono essere monitorati da una Commissione paritetica, che riferisce annualmente alla Conferenza unificata. La Conferenza, sentito il Presidente della Regione interessata, adotta raccomandazioni per superare le criticità. Rimane sempre il potere sostitutivo del governo ai sensi dell’articolo 120, secondo comma della Costituzione.

Nel DDL si specifica che i LEP sono determinati nelle seguenti materie: a) norme generali sull’istruzione; b) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali; c) tutela della sicurezza del lavoro; d) istruzione; e) ricerca scientifica e tecnologica a sostegno dell’innovazione per i settori produttivi; f) tutela della salute; g) alimentazione; h) ordinamento sportivo; i) governo del territorio; l) porti e aeroporti civili; m) grandi reti di trasporto e di navigazione; n) ordinamento della comunicazione; o) produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; p) valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e valorizzazione delle attività culturali. I LEP possono essere aggiornati periodicamente in relazione alle risorse finanziarie con DPCM e, in ogni caso, i costi e i fabbisogni standard sono determinati e aggiornati almeno ogni tre anni sulla base delle ipotesi tecniche messe a punto dalla Commissione per i fabbisogni standard. Nell’articolo 4 si ribadisce che il trasferimento di funzioni alle Regioni può essere fatto solo nei limiti delle risorse rese disponibili dalla legge di bilancio.

Attribuzione delle risorse

Nell’articolo 5 si dice che la Commissione paritetica Stato-Regioni fa solo una proposta, ma l’attribuzione delle risorse umane, finanziarie e strumentali necessarie alle Regioni per l’esercizio delle ulteriori forme di autonomia avviene per DPCM.

L’articolo 6 prevede la possibilità che le funzioni, trasferite alla Regione, possano da questa essere attribuite preferibilmente ai Comuni, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano trasferite a Province, Città metropolitana o Regione.

Durata, clausole e misure perequative

Nell’articolo 7 si dice che la durata dell’intesa rimane al massimo per 10 anni, ma si dice anche che lo Stato può disporre la cessazione integrale o parziale dell’intesa per ragioni motivate di tutela della coesione e della solidarietà sociale, conseguenti alla mancata osservanza della Regione dell’obbligo di garantire i LEP.

L’articolo 8 è dedicato al monitoraggio della Commissione paritetica e si specifica che la suddetta Commissione provvede annualmente alla ricognizione dell’allineamento tra i fabbisogni di spesa definiti e il gettito dei tributi compartecipati per l’esercizio delle funzioni. La Corte dei conti riferisce annualmente in parlamento sui controlli effettuati.

Nell’articolo 9, dedicato alle clausole finanziarie, si garantisce alle Regioni che non fruiscano di accordi di autonomia differenziata, l’invarianza finanziaria e si evidenzia che le intese non solo non possono pregiudicare l’entità, ma anche la proporzionalità delle risorse, anche in relazione a maggiori risorse destinate all’attuazione dei LEP. Si garantisce la perequazione per i territori con minore capacità fiscale per abitante.

L’articolo 10 affronta le misure perequative di cui all’articolo 119 della Costituzione e si esplicita, tra i fini dalle suddette misure, quello di garantire l’unità nazionale. Lo Stato, ai sensi dell’articolo 119 della Costituzione, previa ricognizione delle risorse, si impegna ad eliminare il deficit infrastrutturale tra le diverse aree del territorio nazionale, ivi compreso quello riguardante il trasporto pubblico locale e i collegamenti con le isole. Infine l’articolo 11, dedicato alle disposizioni transitorie e finali, non presenta modifiche sostanziali.

Il Dibattito in corso

Il DDL 615 continua a fare discutere, anche sugli organi di stampa, facendo registrare posizioni nettamente contrapposte.

C’è chi considera, come Sabino Cassese, che questo provvedimento legislativo presenti un equilibrio giusto tra perequazione e differenziazione, ritenendolo non solo funzionale per il Nord, ma utile a ridurre i divari tra Nord e Sud del Paese. Per l’insigne giurista il successo dipenderà dalla capacità di governare, dalla fame di riscatto, dalla voglia di correre dei singoli Amministratori a cui, una volta individuati i LEP, “sarà messo il fuoco sotto la sedia” perché obbligati ad essere all’altezza dei bisogni dei cittadini[2].

Va osservato che il lavoro sui LEP potrà essere di grande utilità per tutte le Regioni, al di là dell’implementazione o meno dell’autonomia differenziata. I LEP dovrebbero essere strumenti di equità, perché il divario tra i territori, che esiste fin dalla nascita dell’unità d’Italia (1861), risiede proprio nella disomogeneità delle prestazioni ai cittadini. Il punto però è che, negli ultimi quarant’anni ad oggi, i LEP da nessun Governo sono stati né definiti né finanziati.

Posizione diametralmente opposta a quella del prof. Cassese è, ad esempio, quella dell’economista Luca Bianchi, direttore di SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno). L’economista ritiene che questa legge possa creare un ampliamento dei divari tra il Nord e il Sud, soprattutto in termini di cittadinanza. Ciò vorrà dire, per i territori del mezzogiorno, minori servizi pubblici erogati in ambiti essenziali della vita, come la sanità o l’istruzione. Bianchi ritiene che l’autonomia differenziata proposta sia simile al modello delle Regioni a statuto speciale. È quella un’esperienza che comporta costi molto elevati e ampia variazione di servizi, come ad esempio avviene ora in Trentino-Alto Adige e in Sicilia[3].

Istruzione e autonomia differenziata

Anche nel campo dell’istruzione andrà adempiuto l’obbligo costituzionale di fissare i LEP, ma l’istruzione è una materia problematica da devolvere a competenze regionali. Ribadiamo che il Ministro Calderoli ha escluso trasferimenti di competenza in materia di norme generali sull’istruzione, ma rimane il problema fondamentale di garantire un minimo di uniformità del sistema scolastico per il mantenimento di un’identità culturale nazionale e per garantire la libertà di insegnamento[4].

Va poi evidenziato che una possibile implementazione in alcune Regioni di forme di autonomia differenziala non garantirebbe dal rischio di una forma di centralismo decentrato. Per le scuole, la strada per evitarlo potrebbe essere un rilancio efficace dell’autonomia scolastica, che dovrebbe sempre più irrobustirsi, diventando una vera autonomia agita[5].

In conclusione e in estrema sintesi, a proposito della definizione dei LEP e dell’autonomia delle scuole, parafrasando quanto sosteneva il fisico e scrittore tedesco Georg Cristoph Lichtenberg, non sappiamo se la situazione sarà migliore quando cambierà, possiamo solo dire che deve cambiare se vogliamo divenga migliore.


[1] “Autonomia differenziata. A che punto siamo?” Scuola7-347 -27/08/23.

[2] Interviste a Sabino Cassese: Il Sud capisca che è un’opportunità. Prestazioni garantite, in “La Repubblica”, 16/01/2024, p. 10 e Contro l’autonomia un approccio ideologico. Il Sud non abbia paura, in “Corriere del Mezzogiorno, 20/01/2024, p. 2.

[3] Interviste a Luca Bianchi, Così si cristallizzano le diseguaglianze. Perde anche il Nord, in “La Stampa”, 25/01/2024, p. 10.

[4] Simone Scagliarini, Gli ambiti di differenziazione regionale: virtù (del modello) e vizi (della sua attuazione), in “Quaderni del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino”, 17/2020, pp. 325-346. In particolare p. 339.

[5] Tra i molti studi sull’autonomia: Giuseppe Bertagna, Autonomia differenziata, centralismo statale e neocentralismi regionali, in “Nuova Secondaria”, 1/2019, pp. 3 -5 eLuciano Benadusi, Orazio Giancola, Assunta Viteritti, L’autonomia dopo l’Autonomia nella scuola. Premesse, esiti e prospettive di una policy intermittente, in “Autonomie locali e servizi sociali, Quadrimestrale di studi e ricerche sul welfare” 2/2020, pp. 325-341.