Cattedra inclusiva e cultura professionale

Proposta di legge presentata il 24 gennaio 2024

Lo scorso 25 gennaio è stato presentato, a firma di un gruppo di esperti di chiara fama, un progetto di legge[1] volto a creare la cosiddetta “cattedra inclusiva”, ovvero un sistema per il quale “a decorrere dal sesto anno successivo all’entrata in vigore della presente legge, nelle scuole di ogni ordine e grado tutti i docenti incaricati su posti comuni effettuano una parte del loro orario con incarico su posto di sostegno, mentre tutti i docenti con incarico su posto di sostegno effettuano, anche nell’ambito dell’ampliamento dell’offerta formativa dell’istituto, una parte del loro orario su posto comune” (art. 1 comma 1). Come si legge nel comunicato stampa[2] dei proponenti, “vi sono nella proposta, aperta ad affinamenti successivi, gli elementi portanti ben illustrati in 8 articoli, assieme alle finalità che vedono al centro la reale inclusione anche per reagire a percepibili resistenze e a una cultura dell’esclusione e dell’abilismo difficili da estirpare. La sfida e la tensione ideale sono di migliorare la qualità della scuola, delle prassi, degli esiti, delle relazioni”.

Una innovazione dirompente

Si tratterebbe dunque di un’innovazione dirompente per la quale sarebbe previsto un massiccio investimento nella formazione docenti, di cui è possibile avere contezza consultando il progetto di legge nonché le motivazioni ideali che lo hanno ispirato, che trovano il loro focus nel seguente passaggio, leggibile in una nota[3] dei proponenti: “Cogliamo sempre più involuzioni che danno luogo a pratiche che tendono a riprodurre modalità didatticamente superate se non anche formalmente illegittime e che non giovano certo alle nuove generazioni, alimentando marginalità, conflitti, perdita di opportunità. Accanto ad esse, però, è possibile cogliere nuove e vivaci esperienze che confermano come la scuola inclusiva si dimostri ancora l’unica realtà davvero capace di assolvere al compito ultimo di valorizzare le differenze e le potenzialità di ciascuno. Ed è proprio questo impulso che ci spinge ad andare oltre spiccando un ulteriore salto verso una qualità ancora più decisamente inclusiva. La visione e l’idea sono di consolidare e rendere strutturale quell’esperienza che ci piace definire ‘cattedra inclusiva’. Con essa si può attuare una nuova organizzazione che, nel tempo, veda tutti i docenti della scuola italiana impegnati in un incarico polivalente nel quale una parte delle ore di servizio siano impiegate in attività disciplinari e una parte nelle attività di sostegno, superando malintese deleghe e rendendo effettiva la corresponsabilità”.

Tra scetticismo e entusiasmo

Non è il caso di rendere conto qui, nel dettaglio, delle reazioni seguite a quest’iniziativa, soprattutto sul fronte sindacale, apparso alquanto scettico sia per ragioni di ordine finanziario che per motivazioni di carattere didattico, riconducibili queste ultime alla questione delle competenze disciplinari in possesso degli insegnanti di sostegno. Insomma, sembrerebbe che il sogno dell’intercambiabilità annoveri più scettici che entusiasti.

Pur ritenendo più vicini alla realtà della scuola italiana i primi che i secondi, non si può fare a meno di raccogliere quanto meno la sfida concettuale posta da un movimento di tale portata, i cui autori rappresentano l’avanguardia della didattica inclusiva. Essi denunciano una forma di deresponsabilizzazione degli insegnanti curricolari in tema di inclusione, cui corrisponderebbe un atteggiamento di delega nei confronti degli insegnanti di sostegno.

Frenare il rischio della medicalizzazione del disagio

Altrove[4], anche sulla scorta delle considerazioni di Raffaele Iosa[5] (uno dei proponenti) è stata già denunciata la crescente medicalizzazione del disagio scolastico. Dall’esperienza scolastica sul campo si rileva la proliferazione di categorizzazioni e di conseguenti certificazioni, con tutto il corredo burocratico che segue. Tale fenomeno, pur lodevole in fatto di attenzione ad ogni forma di disabilità, ha finito per spingere le famiglie, che diffidano della capacità inclusiva della scuola, a moltiplicare le precauzioni e a cercare il “sostegno” (non tecnicamente inteso) del sistema sanitario.

Non c’è scuola in cui non sia presente un esercito di bisogni educativi speciali afferenti all’area socioaffettiva comunemente rubricati quali “fragilità”, un termine che ormai orienta decisamente le politiche scolastiche se si pensa al massiccio investimento del PNRR proprio sulla categoria di “alunni fragili”. E le recenti affermazioni di Ernesto Galli Della Loggia[6] su questi temi hanno suscitato giustamente un vespaio di polemiche.

Inclusione: troppo o troppo poco?

Insomma, pare di poter intuire da svariati indizi che la questione della didattica inclusiva si muova tra due opposti versanti: tra chi ritiene che c’è troppa inclusione e chi ritiene che ce ne sia troppo poca.

La verità esperibile nella vita scolastica è che la didattica inclusiva ha come presupposto due polarità forti: fragilità/solidità e specialità/normalità, che devono essere messe a fuoco prima di qualsiasi discorso sull’inclusione. Infatti, al netto di una quota di allievi portatrice di disturbi davvero specifici dell’apprendimento o anche di veri e propri handicap organici, esiste una platea ormai sempre crescente di discenti portatori di “disagio” (quadri familiari difficili, ansie da prestazione, irrequietezza, introversione ecc.), per la quale occorrerebbe una didattica a forte cifra di empatia umana e culturale capace di tener dentro ogni tipo di allievo, rinunciando a categorizzazioni quali fragile/solido e speciale/normale che incoraggiano la medicalizzazione del disagio scolastico.

Rimuovere gli ostacoli

I docenti curricolari ricevono un preciso mandato dalla Costituzione (art. 3). In estrema sintesi: rimuovere ostacoli. Ma per farlo occorre che sia chiaro lo statuto di questi ostacoli. Se l’ostacolo ha una base clinica per la quale risultano indispensabili misure compensative e dispensative, sarà necessario il supporto di competenze specialistiche e di figure aggiuntive per rendere ancora più inclusivo il lavoro curricolare. Ma quel che è ormai sotto gli occhi di tutti è uno scenario ben più complesso. Infatti quel che stiamo definendo “ostacolo” si può dire riguardi la quasi totalità dei ragazzi, che occupano la scena delle nostre aule portandosi dietro disagi, inquietudini, sofferenze, talora vere e proprie tragedie dinanzi a cui le stantìe ripartizioni tra fragili o meno oppure tra speciali o meno lasciano il tempo che trovano.

Pertanto, per questo genere di ostacoli, quel che servirebbe è una rinnovata capacità dei docenti curricolari di reinterpretare i propri saperi in chiave inclusiva, così come effettivamente accade in talune esperienze virtuose.

È una questione di personalizzazione…

Non c’è consiglio di classe che non veda la presenza di una quota di docenti capace di coinvolgere tutta la classe nei propri percorsi didattici. E ciò si vede bene in fase di valutazione, quando si osserva la differenza di voti o giudizi tra le discipline. Non raramente, l’insegnante di sostegno, che ha un osservatorio privilegiato poiché trasversale, è in grado di riconoscere quali colleghi sono capaci di tenere tutti dentro l’esperienza di apprendimento.

La questione, quindi, non è quella di far diventare i docenti curricolari, in parte, docenti di sostegno e viceversa. La questione riguarda la capacità dei docenti curricolari di superare inutili dicotomie – o di crogiolarsi sulla presenza di allievi presunti “solidi” – e quindi di proporre in classe itinerari differenziati di lavoro, menù didattici che mettano ciascuno nelle condizioni di esprimere senza ansie le proprie risorse. Se così fosse, probabilmente andrebbe in soffitta anche l’equazione non incluso uguale disorientato, che ha finito per generare la gigantesca macchina pedagogico-organizzativa dell’orientamento.

… e anche di valutazione

In questo quadro – è bene ripeterlo – la valutazione ha un ruolo cruciale. Si sa che le fragilità o presunte tali esplodono di fronte alla valutazione. Si parla comunemente di allievi ansiosi davanti alla prestazione. Ma è proprio certo che la valutazione in classe debba avere caratteristiche ansiogene? Non è immaginabile un contesto di apprendimento in cui ogni intervento dal banco, ogni autonarrazione informale, ogni momento di un dibattito possano ricevere un feedback sapiente e ben registrato da chi insegna e da chi impara? Si sa bene che riescono meglio le foto in cui non ci si mette in posa…

Quando le discipline sono inclusive

L’esperienza d’aula, insomma, mostra che tanta ansia da prestazione si scioglie dinanzi ad un clima di classe coinvolgente perché disponibile ad accogliere ogni contributo attorno all’oggetto culturale che sta tra chi insegna e chi impara. Le discipline scolastiche hanno in sé un forte potenziale inclusivo, a patto che, con adeguata mediazione didattica, se ne smantelli la sintassi superficiale accademica formalizzata nei libri di testo e se ne rinvengano le possibilità euristiche, di indagine sulla realtà e sull’esperienza personale. Ogni disciplina è una risposta ai bisogni di base: comunicare, ricordare, confrontare, calcolare, misurare, ragionare, ipotizzare, creare, regolare, applicare, e via dicendo, continuando fino a coprire tutto l’arco dei saperi. È una risposta che chiama ad ulteriore ricerca, che risulterà tanto più inclusiva quanto più risponderà a bisogni cognitivi primari dei ragazzi. Di tutti i ragazzi.

Un problema reale che risiede nella cultura professionale

Gli estensori della proposta di legge hanno colto un problema reale. Ma non è un intervento legislativo che può risolverlo. È la cultura professionale ed epistemologica dei docenti che va interrogata, e con essa la cultura valutativa che va di pari passo: dimmi come interpreti la tua disciplina in classe e ti dirò cosa ti interessa valutare. Quel che invece sembra prevalere, come già rilevato in altro contributo[7], è un approccio dualistico, che separa il versante socioaffettivo (più disponibile all’inclusività) da quello cognitivo, inchiodato, soprattutto nella secondaria di secondo grado, al lessico della prestazione e della competizione. Dove chi non riesce a nuotare come gli altri non può che affogare.


[1] Progetto di legge per l’introduzione della cattedra inclusiva nelle scuole di ogni ordine e grado – revisione 25.01.2024.

[2] Comunicato stampa. “Verso la cattedra inclusiva: Presentata la proposta di legge”.

[3] La cattedra inclusiva per andare oltre.

[4] M. Muraglia, Una torsione del concetto di inclusione, Insegnare, 9 gennaio 2023.

[5] Alunni con disabilità in aumento. Raffaele Iosa: “E’ in atto un processo di medicalizzazione di qualunque forma di disagio”.

[6] E. Galli della Loggia, La strana amnesia sulle mire di Tito, la falsa inclusività della scuola, in Corriere della sera 24 gennaio 2024.

[7] M. Muraglia, Sapere disgiunto e rischio educativo, in Scuola7-362, 3.12.2023.