Linee guida per un orientamento ‘difficile’

Semplificare non è sempre la strada vincente

Sono diverse le sollecitazioni che hanno portato ad intitolare in questo modo il contributo che segue. Innanzitutto i tanti comunicati sul successo delle iniziative di orientamento ‘guidate’ dalle dal decreto ministeriale 328/2022[1] e sostenute dai fondi del PNRR; poi il rischio di una educazione al futuro e un orientamento dipendente dalle lusinghe dei mercati e delle amministrazioni centrali europee e nazionali; ma anche la rilettura di un articolo del 1974 che aveva anticipato il rischio delle semplificazioni. In modo particolare ci ha sollecitato la lettura del Manifesto che Glăveanu (2023) ha presentato, scrivendo l’editoriale di una nuova rivista internazionale dedicata proprio ai Possibility Studies nel quale abbiamo riscontrato molte consonanze con quel modello 5.0 che abbiamo già presentato in diverse occasioni (Soresi, 2022, Soresi e Nota, 2023).

L’idea di fondo è che ci sarà ancora un futuro per l’orientamento e per le discipline coinvolte solamente se si avrà il coraggio di presentare le proprie visioni e pratiche come complesse. C’è la necessità di personalizzare precocemente quegli interventi che mirano a perseguire l’obiettivo di ampliare per tutt* le possibilità di vivere in contesti futuri inclusivi, rispettosi dei principi fondamentali della giustizia e del benessere sociale e naturale.

Una visione dell’orientamento che viene da lontano

Come già approfondito in altre sedi (Soresi, 2023) la definizione di orientamento proposta dalle attuali Linee Guida sa, innanzitutto, di molto antico in quando afferma che ‘l’orientamento è un processo volto a facilitare la conoscenza di sé, del contesto formativo, occupazionale, sociale, culturale ed economico di riferimento…’. Il richiamo alla nostra memoria di quanto diceva Parsons, a cavallo tra il 1800 e i primi anni del ‘900, è stato immediato. Nel 1909, Parsons così scriveva in quello che sarà considerato come il primo manuale dell’orientamento: “l’orientamento consiste essenzialmente nell’aiutare le persone ad effettuare ‘scelte oculate’ tramite ‘ (1) una comprensione chiara di se stessi, delle proprie attitudini, delle proprie capacità, dei propri interessi, delle proprie ambizioni, delle proprie risorse, dei propri limiti e delle loro cause; (2) la conoscenza dei requisiti e delle condizioni di successo, dei vantaggi e degli inconvenienti, delle remunerazioni, delle opportunità e delle prospettive future dei diversi tipi di attività; (3) un ragionamento attento sulle relazioni tra queste due classi di fattori”.

Qui, certamente, non compariva la parola “competenze” che sarà diffusa alla fine degli anni ’40 dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), ma, in compenso, si parlava di interessi ed ambizioni, di prospettive future, di remunerazioni e di ragionare sulle relazioni esistenti tra i fattori individuali e quelli contestuali attribuendo di fatto a questi ultimi la responsabilità delle condizioni di successo, dei vantaggi e degli inconvenienti, delle remunerazioni, delle opportunità e delle prospettive future.

Le parole non sono ininfluenti

Già in precedenza abbiamo avuto modo di analizzare le nuove Linee guida per l’orientamento a partire dalle tesi del Keidanren (Japan Business Federation) del 2016. Noi saremmo, cioè, in presenza di un testo allineato con l’ottimizzazione dei modelli di business e del pensiero economico che, secondo molti, sono le cause profonde delle minacce che ora dobbiamo affrontare (…) come rimuovere le barriere fisiche, amministrative e sociali che si frappongono all’autorealizzazione delle persone in modo che ogni individuo, compresi gli anziani e le donne possa vivere una vita sicura e protetta, confortevole e sana e realizzare lo stile di vita desiderato” (Keidanren, 2016, pp. 10-12). A questo si aggiunge l’analisi testuale effettuata con il software TalTac2[2] controllando la frequenza di comparsa di alcune espressioni che sono molto care a coloro che considerano l’orientamento essenzialmente in termini di dispositivo di prevenzione, di sviluppo sostenibile e giustizia sociale. I termini come progresso, crescita, pensiero critico o prospettico, partecipazione, supporti, sviluppo sostenibile, giustizia sociale, futuro non compaiono mai; la parola innovazione compare una volta e solo in riferimento all’introduzione del portfolio; di contro per 24 volte compaiono i richiami ai documenti burocratici.

Quale idea di orientamento?

Un orientamento efficace dovrebbe basarsi su una capacità di visione e su sistematiche collaborazioni multi ed interdisciplinari, in grado di incrementare le capacità delle persone e dei contesti, approcciare in modo resiliente le minacce che da tempo si intravvedono. Fare orientamento muovendosi intenzionalmente secondo queste prospettive significherà sicuramente mettere in cantiere processi di scelta e di progettazione professionale difficili, in quanto si tratterrà anche di suscitare e anticipare le preoccupazioni e le sfide di cui ci si dovrebbe anche precocemente prendere cura se si intende effettivamente intraprendere un viaggio che porterà a guardare lontano. E questo è persino difficile da immaginare, sebbene necessario per evitare quelle tragedie e quei disastri che avrebbero elevate probabilità di verificarsi.

L’orientamento che si auspica richiede necessariamente di insegnare a pensare a lungo termine, operando i giusti collegamenti con i ‘movimenti’ economico-finanziari e sociali non interessati al mantenimento dello status quo e lontani da previsioni a breve e brevissimo termine. Chi fa orientamento oggi non può guardare troppo spesso ‘indietro’, ai passati, ai precedenti, alle ‘reputazioni’ delle persone e dei contesti e limitarsi a certificare e consigliare, dovrà utilizzare procedure in grado di attivare soprattutto coloro che non hanno fiducia in loro stessi e quanti considerano il proprio futuro già deciso e scritto.

Orientare alla complessità

L’altra sollecitazione che ha ispirato questo contributo deriva da una rilettura di un saggio che oltre 50 anni fa aveva scritto Maxine Greene (1977). Parlando delle discipline umanistiche, sosteneva che il loro obiettivo doveva essere quello di ‘rendere la vita più difficile e non più facile’. Green inizia le sue riflessioni affermando che a pensarla così era stato Kierkegaard il quale era arrivato persino a dire che, per comprendere la vita, si debbono rendere le cose più difficili e creare ovunque delle difficoltà. Non sarebbe male, a nostro avviso, aprire un laboratorio per gli student* delle secondarie di secondo grado, partendo dalle stesse parole che Green (1997) utilizza per presentare al riguardo il pensiero di questo grande filosofo.

In un ironico resoconto di come “divenne uno scrittore”, Søren Kierkegaard si descrive vedendosi, nel 1846, seduto in un giardino di Frederiksberg una domenica pomeriggio a chiedersi cosa avrebbe fatto della sua vita. Ovunque volgesse lo sguardo, pensò, gli uomini pratici si preoccupavano di rendere la vita più facile alle persone. Quelli considerati i “benefattori dell’epoca” sapevano come migliorare le cose “rendendo la vita sempre più facile, alcuni con le ferrovie, altri con gli omnibus e i battelli a vapore, altri con il telegrafo, altri con compendi facili da apprendere e brevi riassunti di tutto ciò che valeva la pena conoscere, e infine i veri benefattori dell’epoca… quelli che rendono l’esistenza spirituale sistematicamente sempre più facile…”

In quell’occasione Kierkegaard avrebbe deciso, “con lo stesso entusiasmo umanitario degli altri”, di rendere le cose più difficili, “di creare difficoltà ovunque” (Kierkegaard, 1947).

Per capire il futuro non serve semplificare il presente

La ‘conclusione’ di Kierkegaard, continua Green, incominciava di fatto ad essere condivisa da molti pensatori interessati al benessere del presente e del futuro. Ad esempio, Henry David Thoreau (1817-1862)[3] che da molti è oggi considerato un precursore dell’ambientalismo, della nonviolenza e dell’attivismo, è stato ritenuto nel 2005 da Stanley Cavell (filosofo statunitense), una delle «menti filosofiche più sottovalutate che l’America abbia mai prodotto».

In effetti parlare, come faceva lui in quegli anni, della necessità di risvegliare le persone dalla sonnolenza e dall’agio, rendere loro addirittura la vita più difficile portandole a scoprire per che cosa stessero vivendo, non era sicuramente un messaggio rassicurante. Thoreau, di fatto, auspicava una vita altamente etica senza porre prescrizioni, ma unicamente cercando di far scoprire a tutti cosa significhi, come lui diceva, ‘vivere deliberatamente’ o, come diremmo oggi, dando spazio alle visioni prospettiche e ai processi di coscientizzazione, al diffondersi di una maggior consapevolezza critica nei confronti di ciò che sta accadendo o potrebbe accadere in futuro.

I possibili percorsi

Da quanto sinteticamente esposto, la necessità di proporre percorsi che attraverso la riflessione e la partecipazione potranno dimostrare quanto sia importante impegnarsi in azioni di orientamento perché le persone, i contesti e i loro passati, presenti, e futuri si presentano come marcatamente eterogenei e diseguali e, se si desidera leggerli bene, vanno trattati come ‘testi’ e scenari difficili in quanto diversi e complessi.

Se l’orientamento rinuncia a far questo accontentandosi di ‘certificare quanto già accaduto’, è certamente più facile da realizzare in quanto si tratta solamente di compiere valutazioni che, con un apparente smalto di ‘neutralità’ ed oggettività, orientano le persone verso luoghi (di studio o di lavoro) già esistenti e situati senza soffermarsi sugli impatti che tutto ciò avrà sulla qualità della loro esistenza futura.

Le condizioni per un orientamento reale

Per praticare un orientamento difficile e complesso, come ad esempio suggeriva già oltre un decennio fa, Jill Westhorp (2012), si dovrebbe coerentemente ed esplicitamente valorizzare diversi aspetti.

  • Eterogeneità degli ambienti di vita e di riferimento dei diversi protagonisti; la possibilità, dinamicità e suscettibilità dei cambiamenti prevedendo modalità personalizzate.
  • Interazioni e le interdipendenze tra le diverse azioni e i diversi attori, che oltre ad essere previste, frequenti e adeguatamente incoraggiate, possano essere anche oggetto di partecipate e condivise processazioni, modificazioni e ritrasmissioni;
  • Tutte le diversità e vulnerabilità, da quelle ascrivibili alle singole persone, alle loro relazioni e alle loro comunità, a quelle relative all’anticipazione di futuri e alla costruzione e stesura di piani e progetti.
  • Capacità di guardare più in là possibile accettando la frustrazione derivante dalla consapevolezza che, man mano che le proprie analisi e riflessioni si allontanano dal presente, tenderà necessariamente a diminuire l’accuratezza delle previsioni ed anticipazioni che si possono compiere;
  • Non accontentarsi di classificazioni, valutazioni, predizioni, ma avviare progettazioni, costruzioni, pensieri ‘strategici’, attivismi, inclusione e partecipazione;
  • Valorizzare le tematiche dell’educazione e dell’apprendimento delle competenze necessarie alla scelta e alla progettazione dei futuri utilizzando gli strumenti utili per immaginare e ragionare, oltre che a proposito dei ‘futuri presenti’ (quelli relativi a ciò che potrebbe accadere tra uno, due, tre anni), anche dei futuri prossimi (tra circa dieci anni) e, perché no, dei futuri remoti, dei futuri-futuri (tra 20, 30, 50 anni).

Il Manifesto di Glăveanu e l’orientamento “difficile”

Un ulteriore incoraggiamento a parlare di orientamento difficile ci è stata offerta dalla lettura del Manifesto che Glăveanu (2023) ha pubblicato scrivendo l’editoriale di una nuova rivista internazionale dedicata proprio ai Possibility Studies. I principi di riferimento sono 15 e ci sono apparsi subito molto pertinenti con quanto anche noi poniamo alla base dell’orientamento 5.0. Ne citiamo solo alcuni.

Alcuni principi del Manifesto che Glăveanu

n.PrincipioSignificato
1Il locusil “locus” della possibilità non è la mente, ma lo spazio relazionale di azione e interazione tra la persona e il mondo.
2Il possibile si intreccia con il realeDistinguere “ciò che è” (l’attuale) e “ciò che potrebbe essere” (il possibile) può essere fuorviante in quanto il possibile e l’attuale sono intrecciati se li consideriamo temporalmente: si alimentano e si trasformano continuamente a vicenda nel corso dell’azione. La tensione dialogica tra l’attuale e il possibile è il nostro punto di partenza per lo sviluppo teorico e l’esplorazione empirica.
3L’incontro con l’impossibilità non riduce necessariamente il possibilePuò anche essere una fonte di ispirazione, un innesco per la necessità di superare i nostri attuali confini. Il nostro rapporto con il possibile si fonda sull’azione nel e sul mondo. Ciò significa che è mediato da una varietà di strumenti materiali e simbolici, tra cui una serie di tecnologie. In quanto tale, la cultura umana è sia l’origine che il risultato del nostro impegno con il possibile. I processi culturali ci aiutano, in questo senso, a navigare, come individui e comunità, nella relazione tra ciò che è, ciò che non è ancora, ciò che potrebbe essere e ciò che non sarà mai. Gli sviluppi tecnologici possono essere usati come finestre verso futuri possibili.
4Il possibile si fonda sulla differenzaLe differenze e le molteplicità sono una condizione necessaria, ma non sufficiente, per coinvolgere il possibile. Le menti e le società definite dalla diversità e dal dialogo sono, di conseguenza, aperte a nuove possibilità (…). I discorsi sulle possibilità umane non dovrebbero essere eurocentrici o occidentali-centrici, ma invitare attivamente esperienze e idee che nascono dalla decolonizzazione come una posizione da cui possiamo attivamente re-immaginare noi stessi, gli altri e il mondo.
5Le esperienze del possibile sono moltepliciDiventare consapevoli di ciò che è possibile e valutare comparativamente le varie possibilità va oltre i processi cognitivi e neurologici. Il possibile coinvolge l’intero essere e soprattutto ha una forte dinamica motivazionale ed emotiva. Le esperienze del possibile sono infuse dall’affetto, dalla speranza e dalla curiosità all’ansia, al rimpianto e all’eccitazione per nuove possibilità. Seguono anche una struttura narrativa in cui le scelte e le opportunità sono rese intelligibili collocandole all’interno di storie più ampie di chi siamo e di chi stiamo diventando.
6I fenomeni legati alla possibilità dovrebbero essere studiati come sistemiLe esperienze del possibile richiedono un ampio ecosistema che includa attori umani e non umani e il loro entanglement. L’agentività, considerata in modo sistemico, è meglio definita come co-agenzia poiché la scoperta e l’esplorazione del possibile dipende dalla relazione tra persona e ambiente piuttosto che da uno qualsiasi dei due isolatamente. La natura è importante quanto la cultura per spacchettare la dinamica del possibile.
7Le esperienze del possibile trasformano il séIl fatto che gli esseri umani possano fingere che le cose non siano ciò che sono, re-immaginare il passato, immaginare futuri multipli e concepire l’impossibile, sono tutte esperienze trasformative.
8Il possibile è politicoÈ innegabile che intorno a chi è teso a scoprire nuove possibilità, esistono norme, valori e ideologie e che negare o restringere tali opportunità è un atto politico.
9Lo studio del possibile richiede metodologie diverse e creativeIn molti campi, i metodi quantitativi sono preferiti e l’enfasi è posta sui test psicometrici (dei tratti correlati alla possibilità) e sui disegni sperimentali (cambiamento degli stati correlati alla possibilità). Altre discipline utilizzano indagini qualitative approfondite, spesso fondate sulla tradizione discorsiva o fenomenologica. Ciò che è necessario è un approccio trans-disciplinare: un insieme più ampio di metodi, un dialogo più coerente tra le metodologie, nonché scelte metodologiche nuove e creative che rendano giustizia alla complessità dei fenomeni oggetto di studio.
10Le pedagogie del possibile sono una necessità educativaLe forme tradizionali di educazione, incentrate su obiettivi standardizzati, uniformità nell’insegnamento e uniformità dei risultati, sono sempre più riconosciute come inadatte alle sfide (e alle impossibilità) di oggi. Vivendo in ambienti incerti, complessi e difficili, definiti da un rapido ritmo di cambiamento, la nostra responsabilità è quella di educare individui e comunità ad immaginare e mettere in atto nuove possibilità in modo riflessivo, proattivo ed etico. L’educazione del ventunesimo secolo deve raccogliere la sfida di aiutare gli studenti e gli insegnanti ad andare oltre il mondo “com’era” e “com’è” e arricchirlo con l’immaginazione di come “può e dovrebbe essere”.

Conclusioni

Anche se difficile da realizzare, l’orientamento è chiamato a fare la sua parte stimolando a leggere il presente e ad immaginare, tra i futuri possibili, quelli maggiormente auspicabili e desiderati. L’orientamento, come l’educazione e l’istruzione, dovrebbero, in altre parole, trasformarsi in processi in grado di invogliare a vedere ciò che sta accadendo e potrà accadere in modo nuovo rimanendo, come diceva ancora la Green, aperti a incontri nuovi e reciproci, riconoscendo il potenziale di cambiamento presente in ognuno di noi e i nostri sforzi. L’orientamento opera aperture alle possibilità e quest’impresa oltre a non essere facile da realizzare non può certamente essere intrapresa tardivamente (nelle scuole secondarie di primo e secondo grado) con alcuni ‘moduli’ e qualche piattaforma!

Alcune indicazioni per l’approfondimento

  • Cavell, S. (2005) Cities of Words: Pedagogical Letters on a Register of the Moral Life, Cambridge (Massachusetts), Harvard University Press, 2005, pp. 12-13.
  • Glăveanu (2023). Possibility Studies: A manifesto. Possibility Studies & Society, 1, 1-2, pp 3-8.
  • Greene, M. (1977 “Towards Wide-Awakeness: An Argument for the Arts and Humanities in Education, Issues in Focus, The Humanities and the Curricuum, vol. 79, 1, pp 119-125).
  • Heilbroner, R. (1974). An Inquiry into The Human Prospect. New York: W.W. Norton.
  • Keidanren (2016). Toward Realization of the New Economy and Society: Reform of the Economy and Society by the Deepening of ‘Society 5.0’, Japan Business Federation, April 19.
  • Kierkegaard, S. (1947) “Concluding Unscientific Postscript to the ‘Philosophical Frag- ments,” in A Kierkegaard Anthology, ed. Robert Bretall (Princeton, NJ.: Princeton University Press, 1947).
  • Nota L. – Soresi S. – Ginevra M.C. – Santilli S. – Di Maggio I., (2020). Sustainable Development, Career Counseling and Career Education, Springer, London.
  • Parsons, F., Choosing a Vocation, Houghton Mifflin, Boston 1909.
  • Soresi (2023). A proposito delle innovazioni introdotte nelle nuove linee guida per l’orientamento. Nuova Secondaria, 7, XL, pp. 170-177.
  • Soresi S. e Nota L., (2023). L’orientamento 5.0. …quello che non si accontenta di valutare e profilare, Nuova Secondaria, 4, XLI, 134-146.
  • Westhorp, G. (2012) Using complexity-consistent theory for evaluating complex systems. Evaluation 18, 405– 420.

[1] Decreto Ministeriale n. 328 del 22 dicembre 2022

[2] Trattamento Automatico Lessicale e Testuale per l’Analisi del Contenuto, già pubblicata in Soresi (2023).

[3] Ha influenzato il pensiero di moltissime persone, da Gandhi a Martin Luther King e si è impegnato in prima persona ad aiutare gli schiavi afroamericani a fuggire dagli USA tramite una ferrovia sotterranea per raggiungere il Canada.

Salvatore SORESI

Salvatore SORESI

Professore ordinario presso il Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata dell’Università degli Studi di Padova, fondatore del Laboratorio di Ricerca e Intervento per l’Orientamento alle Scelte (La.R.I.O.S.)