Valutiamo perché vogliamo migliorare la nostra scuola

Ma da dove ripartire?

Il tema della valutazione ritorna periodicamente al centro del dibattito sulla scuola molto spesso attraverso la voce di non addetti ai lavori, politici e giornalisti che per scopi diversi entrano nel merito di una questione molto delicata; i primi per ottenere facili consensi su un argomento divisivo non solo nell’opinione comune, i secondi per le ovvie scelte editoriali.

Se educare è un verbo “delicato” ancora di più lo è il verbo valutare perché questa azione non solo mette in gioco tutto ciò che ha a che fare con la relazione educativa e con il processo di istruzione, ma anche perché entra in gioco nella costruzione dell’autostima degli apprendenti in tutte le fasi della scolarizzazione.

Proveremo, in questo contributo, a recuperare un valore positivo della valutazione cercando di mettere insieme indicazioni normative e contributi del dibattito pedagogico-didattico centrando l’attenzione sul ruolo che la valutazione riveste nel processo di insegnamento-apprendimento.

La valutazione non è l’ultimo step dell’azione didattica

Dare senso alla valutazione significa in primo luogo non considerarla come il fine dell’azione didattica o come priorità della scuola, quanto piuttosto come “mossa riflessiva” nella triangolazione progettazione-didattica-valutazione. Tutto questo evitando una semplificazione inopportuna a fronte di una complessità del mondo contemporaneo, della continua elaborazione dei paradigmi disciplinari, del variegato paesaggio dei bisogni educativi e della conseguente continua ridefinizione dell’agire educativo e didattico della scuola.

In primo luogo può essere utile richiamare l’attenzione su quanto viene previsto nelle Indicazioni nazionali per il curriculo 2012[1] in cui si dichiara che “la valutazione precede, accompagna e segue i percorsi curricolari. Attiva le azioni da intraprendere, regola quelle avviate, promuove il bilancio critico su quelle condotte a termine. Assume una preminente funzione formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento continuo”. Anche se questo documento si riferisce soltanto al primo ciclo di istruzione, tuttavia questa idea di valutazione, fortemente fondata dal punto di vista pedagogico, può essere adottata per guardare alla questione valutativa per tutto il percorso formativo e di istruzione, compresa l’istruzione secondaria di secondo grado.

La valutazione è parte integrante del processo formativo

Per altro il riferimento all’aspetto formativo della valutazione e al suo esplicarsi dentro il processo di insegnamento/apprendimento viene ripreso anche nel D.lgs. 62/2017 in cui si dice che “la valutazione ha per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendimento delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione e formazione, ha finalità formativa ed educativa e concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo degli stessi, documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze”[2]. Richiamare quanto previsto nelle norme non è un esercizio per legittimare il ragionamento quanto piuttosto il recupero di un punto di vista, in primo luogo pedagogico, che definisce e riconosce i confini dell’azione valutativa dei docenti e le scelte delle scuole che all’interno del Piano triennale dell’offerta formativa devono indicare non solo l’organizzazione della didattica, ma anche criteri e strumenti per la valutazione.

Le ricerche e le esperienze delle scuole

A questo proposito appare utile ricordare come, proprio a partire dal D.lgs.62/2017, le scuole hanno messo in atto percorsi di revisione degli strumenti di verifica (disciplinare e trasversale) e dei criteri di valutazione che i Consigli di classe e i Dipartimenti disciplinari hanno poi messo alla prova e rivisto nel corso di questi anni, anche alla luce dell’esperienza della didattica a distanza e degli interventi normativi che si sono succeduti[3]. Inoltre molti istituti scolastici, anche di istruzione secondaria di secondo grado, hanno sperimentato modalità di valutazione intermedia “senza voti” tentando, attraverso lo stesso coinvolgimento di ricercatori, studenti e genitori, di recuperarne la dimensione formativa[4].

Se questo è lo scenario, dobbiamo chiederci come gli insegnati e le scuole devono riappropriarsi delle questioni valutative e non disperdere tutte le esperienze positive che hanno fatto in questi ultimi anni.

In primo luogo va recuperata la dimensione di “ricerca e sperimentazione” prevista per altro dalla autonomia delle istituzioni scolastiche anche se, in realtà, poco praticata. In questa ottica la scuola attiva deve riprendersi la sua centralità come luogo di riflessione e di scambi professionali; gli insegnanti professionisti dell’istruzione e dell’educazione, devono pensare alle pratiche di lavoro come occasione di ricerca, sia all’interno del proprio ambito disciplinare, sia in sinergia con il contesto organizzativo in cui si trovano ad esercitare la loro professione.

Ogni insegnamento è un insegnamento “situato” in cui lo statuto epistemologico delle discipline e il pensiero pedagogico devono fare i conti con i bisogni reali degli apprendenti sia nella loro dimensione individuale che sociale.

Dai saperi degli studenti alle competenze professionali degli insegnanti

In questo orizzonte la “disciplina insegnata” fornisce lo script per la costruzione di un percorso coerente fra progettazione, azione didattica e valutazione.

Appare evidente, quindi, che debba essere recuperata una seria analisi disciplinare che riesca a intercettare, nella complessità dello sviluppo dei saperi, quei nuclei fondanti che meglio permettano di costruire situazioni di apprendimento efficaci, coerenti ed effettivamente rispondenti ai bisogni reali degli apprendenti. Si pensi, solo per fare un esempio, al ricco contributo del dibattito scientifico nell’ambito della linguistica e della sociolinguistica e al suo recepimento nei documenti europei e ministeriali sull’insegnamento dell’italiano come lingua di scolarizzazione nelle classi plurilingui e interculturali e alle attività formative e progettuali che le scuole hanno messo in atto negli ultimi venti anni.

Tutto ciò comporta una riflessione sulle competenze professionali dei docenti e sulla necessità che la formazione in servizio debba assumere un carattere di sistematicità strutturale e non di occasionalità spesso orientata dall’esigenza di rispondere a bisogni individuati come emergenti sull’onda di fenomeni che mediaticamente assumono una valenza rilevante.

Discipline, valutazione e formazione dei docenti

La formazione ricorrente dei docenti sulle questioni valutative va pertanto incardinata all’interno di percorsi formativi che guardino ad una rilettura ricorsiva dei nuclei fondanti delle discipline anche per rendere più efficace una valutazione formativa autentica. Non è superfluo, infatti, ribadire che una buona valutazione formativa si può ottenere se si tiene sotto controllo la valenza formativa delle discipline e se si sperimentano occasioni di apprendimento in cui gli alunni e le alunne siano i veri protagonisti dell’apprendimento stesso. La valutazione formativa assume anche la forma dell’autovalutazione per gli apprendenti se questi vengono messi realmente nelle condizioni di riconoscere ciò che si sta apprendendo, come e con quale scopo. Tutto ciò fa ben capire come il docente non può fare ricorso a formule o ricettari didattici preconfezionati, quanto piuttosto deve essere capace di un agire didattico che tenga conto della specificità della disciplina e delle condizioni reali di apprendimento.

Docente come designer

In questa prospettiva possiamo immaginare il docente come designer[5], con un focus professionale centrato sulla sua capacità di progettare e realizzare esperienze formative che garantiscano il raggiungimento di un apprendimento significativo. In questa ottica la valutazione si configura come sistema regolatorio per il docente che deve osservare il raggiungimento dei risultati attesi, rimodulare il proprio intervento, sostenere e rimotivare; per gli apprendenti, come acquisizione di consapevolezza e assunzione di responsabilità riguardo al proprio processo di apprendimento.

La valutazione dell’apprendente rimanda quindi, in un’ottica di circolarità e di continuo feedback, ad una messa alla prova della progettazione e dell’azione didattica e pertanto ad un processo autovalutativo anche per il docente stesso.

Monitorare e riflettere sul proprio agire

Monitorare e riflettere sul proprio agire didattico costituisce per il docente una occasione di apprendimento professionale continuo che può avere uno slancio ulteriore in momenti di osservazione reciproca, peer to peer, fra docenti della stessa disciplina o di discipline affini o, anche, fra docenti curriculari e docenti di sostegno o di potenziamento.

L’analisi disciplinare consente inoltre di riconoscere le intersezioni fra le discipline per progettare e realizzare situazioni di apprendimento che sviluppino competenze trasversali e competenze per tutto l’arco della vita. Sono queste che costituiranno la condizione necessaria per una certificazione autentica.

Inoltre, appare utile ricordare che la recente normativa sulla Certificazione delle competenze[6], pur in attesa dell’emanazione delle Linee guida, sarà una utile occasione perché le scuole operino una rilettura delle modalità valutative agite al fine di evitare possibili sovrapposizioni o ridondanze fra i vari piani della valutazione.

La tenuta di questo scenario postula un intervento organizzativo, in capo al dirigente scolastico, che incida sulle scelte strategiche relative al funzionamento dei dipartimenti disciplinari e dei consigli di classe, ma anche ai piani di formazione di ciascuna istituzione scolastica.

La riflessione sui processi valutativi costituisce ancora una volta una sfida per i singoli e per la comunità volta al miglioramento: la valutazione non deve essere accomodante, né per né per chi apprende né per chi insegna, deve consentire a ciascuno “non ad imparare a diventare migliore degli altri ma a diventare migliori di sé stessi”[7].


[1] DM 6 novembre 2012, n. 254, Regolamento recante indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, a norma dell’articolo 1, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89.

[2] D.lgs. 62/2017, Art.1 “Principi. Oggetto e finalità della valutazione e della certificazione”.

[3] Si pensi alle Linee guida per l’insegnamento dell’Educazione civica e alla OM 172/2020, Linee guida sulla valutazione alla scuola primaria (DM n. 35/2020).

[4] Cfr. Polo Europeo della Conoscenza, il sito del Coordinamento nazionale delle scuole senza voto.

[5] Cfr. S. Sancassaniet alii (a cura di), Progettare l’innovazione didattica, Pearson.

[6] DM 30 gennaio 2024, n. 14, Schema di decreto di adozione dei modelli di certificazione delle competenze.

[7] P. Meirieu, Una scuola per l’emancipazione, Armando editore, 2019.