Una scuola che insegna a gestire le relazioni

Educare, prima che sia necessario rieducare

C’è un grave problema che si evidenzia nell’iter parlamentare, avviato alla fine del mese di marzo, della Proposta di legge che intende introdurre nel codice penale l’articolo n. 612-bis.1. Si tratta di reati relativi al bullismo e cyberbullismo[1].

Nella presentazione, si legge: “Il bullismo e il cyberbullismo sono due fenomeni sociali connessi ed estremamente preoccupanti, che hanno raggiunto una crescente diffusione per portata e gravità delle condotte tale da costituire fattispecie di grande disvalore nella società attuale e tali da configurare una situazione di emergenza e pericolosità, in particolare tra i giovani ma anche nei confronti di altre categorie fragili e dei cittadini. Il fenomeno del bullismo viene da lontano e si fonda non solo su una volontà di sopraffazione insita in alcune persone, ma anche e soprattutto sul fallimento della comunità della quale fanno parte le figure educative, a partire dai genitori, e di uno schema valoriale condiviso”.

La cartina di tornasole del clima culturale

I testi legislativi sono sempre un’importante cartina di tornasole del clima culturale e dei valori a cui si intende far riferimento. L’incipit del testo in questione fa emergere due grandi questioni:

  • le violenze compromettono la democrazia e (implicito nel testo), avvengono soprattutto a danno dei più deboli e meno “uguali”;
  • le disuguaglianze compromettono la democrazia, in cui i valori trovano fondamento nell’educazione.

Di qui, il “fallimento” della comunità tutta, in particolare, ma non solo, della famiglia e della scuola. Insomma, di modelli di violenza, i nostri adolescenti e i nostri giovani ne hanno in grande quantità e, forse, ne hanno sempre avuti in grande quantità i giovani di ogni generazione, a partire dalla collocazione geopolitica in cui si trovano o si sono trovati a vivere.

Da quali domande ripartire

Ed è proprio per questo motivo che gli educatori dovrebbero, come responsabili della scuola di comunità nella comunità, porsi alcune domande: ma è vero che “la volontà di sopraffazione è insita in alcune persone”? È forse questione ancora irrisolta che l’umanità sia impostata naturalmente allo “homo hominis lupus”? La nostra evoluzione, prossima all’alleanza con l’intelligenza artificiale, ha ancora bisogno di distinguere come faceva Hobbes uno “stato naturale” di umanità più prossima alla bestia da uno “stato sociale” di umanità educata alla comprensione dell’altro, all’immedesimazione con l’altro, alla solidarietà? È ancora pensabile un’umanità priva dello stato sociale? Perché è di questo che parliamo, quando i mali dei nostri ragazzi hanno radici prevalenti nell’isolamento, nella solitudine, nella scarsa esperienza di luoghi collettivi.

Forse la domanda vera da porsi è ancora una volta di tipo etico e, dunque, vale la pena chiedere alla scuola di fare la sua parte: come e con quali strumenti si cresce per superare il proprio punto di vista personale per arrivare a costruire e condividere un punto di vista generale?

La scuola da sola non ce la fa a risolvere tutti i problemi degli studenti

Se la vera autonomia dei sistemi educativi insiste sulle radici etiche e civiche dell’educazione-istruzione, quando i valori della società e delle famiglie dovessero andare in direzioni diverse, le alleanze che si possono costruire devono chiarire i valori inalienabili e, in qualche modo, funzionare da bussola per tutti. Non sono accettabili deleghe o scorciatoie che producono disorientamento nei nostri ragazzi e quasi mai la crescita individuale e della comunità.

Il rischio di passare da agenzia educativa intenzionale ad agenzia insignificante, cui tutti possono dire quello che deve fare, potrebbe aumentare, se si dovesse continuare ad affidare alla scuola compiti che sono realizzabili solo con un effettivo sistema integrato di risorse umane e professionali delle istituzioni del territorio.

È possibile tutto questo con l’investimento in istruzione pari solo al 4% del PIL?

Qualche dato su cui riflettere

La proposta di legge in questione, prima citata, ha fatto riferimento ai dati prodotti da un’indagine ISTAT del 2021 sui fenomeni di bullismo e cyberbullismo, oggetto di un’Audizione in Parlamento il 16 marzo 2023, di cui si riportano le tavole più significative.

Tavola 1 – Alunni che durante la pandemia hanno assistito in prima persona, o sono venuti a conoscenza, di episodi di cyberbullismo sui compagni di scuola per tipo di scuola, sesso e cittadinanza. Anno 2021 (valori percentuali)

Tavola 2 – Alunni che durante la pandemia hanno subito o meno atti di bullismo dai compagni di scuola per tipo di comportamento subito, sesso e cittadinanza e tipo di scuola. Anno 2021 (valori percentuali)

Tavola 3 – Alunni che durante la pandemia hanno subito o meno atti di bullismo dai compagni di scuola per percezione della condizione economica della famiglia e rendimento scolastico autodichiarato. Anno 2021 (valori percentuali)

Nella relazione, il dott. Gazzelloni, della Direzione centrale delle statistiche demografiche, evidenzia, seppure la rilevazione riguardi un periodo particolarmente delicato come quello pandemico e post pandemico, come il genere e il contesto socio-culturale di appartenenza facciano la differenza. Le prevaricazioni colpiscono i meno protetti socialmente e le donne.

Chiediamoci ora perché:

  • stiano emergendo episodi di violenza soprattutto tra ragazze e tra ragazzi che si considerano poveri e poco bravi a scuola, ma non solo;
  • il branco abbia sostituito il gruppo e come tale sia omogeneo, composto esclusivamente da femmine o esclusivamente da maschi.

C’è o non c’è una stretta correlazione tra i comportamenti violenti degli adolescenti e le “violenze”, se non fisiche certamente sociali e culturali che essi stessi subiscono? È necessario ragionare non tanto sulla naturale predisposizione alla violenza quanto sulla mancata elaborazione di empatia nei confronti dell’altro?

La scuola lascia a psicologi e sociologi il compito di indagare e isolare meglio la relazione tra contesti e comportamenti, perché la scuola ha una sua missione specifica: quella di agire sui processi educativi e istruttivi per la garanzia del diritto al successo formativo per ciascuno, con gli strumenti che ha, cioè i saperi e la relazione educativa.

L’empatia emotiva come oggetto di educazione

Senza entrare nel merito, importantissimo, della scoperta dei neuroni specchio per le neuroscienze e per la pedagogia, resta il fatto che possiamo conoscere molte più cose sul funzionamento sociale di una persona se ne esaminiamo l’empatia e le sue tipologie.

Negli ultimi anni, infatti, gli studiosi rilevano che nei comportamenti violenti e/o dominanti il bullo-manipolatore può dimostrare un’alta empatia cognitiva e sociale, restando del tutto estraneo rispetto alla sorte della vittima e quindi estraneo e immune da empatia emotiva.

Le risposte empatiche sono modelli che prima di tutto sono oggetto di immedesimazione e imitazione nelle relazioni parentali e sociali. È comprensibile, quindi, che in questo campo sia importante il ruolo della scuola come luogo significativo di relazioni.

Se è vero che l’empatia si sviluppa con maggiore facilità tra le persone che si sentono “vicine”, è anche vero che la relazione educativa, pur mantenendo il necessario distanziamento emotivo, può sicuramente rappresentare una leva potente per la motivazione al cambiamento nell’adolescente. L’empatia, allora, va conosciuta ed educata in tutte le sue forme.

Uno strumento utilissimo è rappresentato proprio dal LifeComp, Quadro Europeo delle competenze chiave personali, sociali e dell’imparare ad imparare.

L’empatia con le sue tre competenze specifiche è collocata nell’Area delle Competenze sociali che sono così descritte:

1. Consapevolezza delle emozioni, delle esperienze e dei valori dell’altro

2. Comprensione delle emozioni ed esperienze di un’altra persona e capacità proattiva di vedere le cose dal punto di vista dell’altro

3. Sensibilità alle emozioni e alle esperienze dell’altro, con la consapevolezza che l’appartenenza al gruppo condiziona gli atteggiamenti delle persone.

Per esempio, educare all’empatia attraverso la letteratura

La lettura è, ed è sempre stata, uno stato di relazione particolarissimo, in cui anche involontariamente ci siamo un po’ tutti formati sulle tre competenze dell’empatia descritte nel LifeComp.

Dunque la letteratura è ancora, se ben gestita, uno dei saperi fondamentali su cui basare la nostra palestra etica, emotiva e sociale. Ma come utilizzarla nel difficile cammino dell’empatia in un mondo sempre più connesso e sempre meno in relazione?

Gli adolescenti ancora oggi amano la mitologia e l’epica, dove la violenza cieca degli dei sublima la fatica, il valore e la virtù degli umani. Basterebbe fare, come suggerisce Calvino, un esame attento di ogni mito sulla base delle esperienze di vita dei ragazzi.

Un percorso altrettanto affascinante potrebbe essere quello dei “duelli” nella letteratura. Molti romanzi ottocenteschi iniziano con scene di violenza, in cui il duellare può rappresentare però solo un prologo, perché lo sviluppo naturale è quello della riflessione di Fra Cristoforo che conduce al confronto con l’altro, con le ragioni e le emozioni dell’altro.

Il duello, metafora della guerra, può inoltre aprire ad un dibattito più ampio sullo scenario attuale e l’impossibilità dell’esistenza di una “guerra giusta”.


[1] “Introduzione dell’articolo 612-bis.1 del codice penale, concernente i reati di bullismo e cyberbullismo, modifica dell’articolo 731 del medesimo codice, in materia di inosservanza dell’obbligo di istruzione dei minori, e delega al Governo per l’adozione di disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo”.