Curricolo verticale e valore delle discipline

L’istruzione che educa

Tra le molte ragioni per tornare a riflettere sulle Indicazioni nazionali del 2012 e sulla loro attualità, merita attenzione il fatto che il documento ratifica la piena autonomia delle scuole. Sono, infatti, Indicazioni “per” il curricolo e ciò significa che viene consegnata alle scuole la piena responsabilità della progettazione curricolare, proprio per attuare l’autonomia didattica, di sperimentazione e di ricerca, dichiarata (e mai pienamente realizzata) dal DPR n. 275/1999 in un quadro nazionale saldamente garantito dalla cornice costituzionale.

Curricolo unitario

Si tratta, quindi, di un curricolo unitario verticale. Due sono i fattori che supportano il lavoro delle scuole e degli insegnanti: il primo è la coerenza che, come sfondo integratore, attraversa tutto il documento, dalla parte introduttiva alle sezioni riguardanti i diversi segmenti del primo ciclo d’istruzione, e che coniuga le specificità con gli aspetti generali, le istanze di identità con la visione evolutiva. L’altro fattore è quello che sancisce, di fatto, il processo di generalizzazione degli Istituti comprensivi. Ritroviamo nel documento una esplicita affermazione: “La presenza sempre più diffusa degli istituti comprensivi consente la progettazione di un unico curricolo verticale e facilita il raccordo con il secondo ciclo di istruzione e formazione”.

Il nodo disciplinare

La verticalità del curricolo pone in maniera chiara di fronte ad un nodo ancora da sciogliere, quello del valore delle discipline e della loro insegnabilità nelle diverse fasi del percorso scolastico. Solo una rivisitazione critica dell’assetto pedagogico-disciplinare crea le condizioni per costruire realmente un curricolo unitario, graduale e progressivo. Per portare fino in fondo le premesse di un impianto coerente come quello delle Indicazioni nazionali 2012, è indispensabile ripensare le discipline, non per oltrepassarle ma per attraversarle. Infatti, nella prospettiva di un curricolo unitario, le discipline non sono “corpi separati di conoscenze”: ogni disciplina, correttamente intesa, è un “modo” della realtà che essa racconta, nella specificità della sua “grammatica epistemologica”, del suo linguaggio e del suo metodo. Le discipline sono sistemi di narrazione del mondo, come strutture aperte e interconnesse: esse sono costruite per scoprire e far scoprire all’interno dello stesso percorso di indagine la loro parzialità rispetto alla totalità del mondo, all’unitarietà dell’esperienza, all’unicità del soggetto che apprende.

Le discipline come pretesti formativi

Lo statuto disciplinare, nel tessuto connettivo che definisce l’unità del sapere, richiede nella scuola del primo ciclo, anzi, a partire dalla scuola dell’Infanzia, una competente mediazione didattica che modula il suo punto focale, procedendo dalla riflessione sull’esperienza alla sua rappresentazione simbolica. Le discipline, siano esse organizzate per ambiti, per aree o per affinità metodologiche, in questa fascia di scolarità sono anzitutto “pretesti formativi”.

Pensiamo al bambino, alla bambina della Scuola dell’infanzia che si interroga e cerca risposte sui fenomeni del mondo (non solo “naturali”, ma anche culturali, affettivi e relazionali): è un processo che opera un distanziamento dall’immediatezza, che rende possibile quel domandare dentro un campo di saperi. Le sue ipotesi di soluzione non sono, come il mondo “adultocentrico” crede, evasioni nella fantasia autoreferenziale, ma segnali di un percorso di comprensione che va incontro al mondo.

La discontinuità utile

Va messa in questione, dunque, la contrapposizione semplicistica tra “vissuti” e “saperi” che ha determinato separatezze tra i percorsi formativi, creando fratture laddove avrebbe dovuto esserci progressività e sviluppo. È efficace al riguardo la felice espressione di Giancarlo Cerini di “discontinuità utile”, come l’altra faccia della continuità. Potremmo dire che i “salti” dell’età evolutiva devono essere governati come processi educativi, affinché non diventino cesure pedagogiche del sistema.

Nel passaggio dal sapere in senso lato al sapere disciplinare, è compito del docente, attraverso una efficace mediazione didattica, quello di accompagnare l’incessante interrogare/interrogarsi del bambino sul terreno dell’esperienza immediata, per proporre un “archivio storico” dei depositi culturali che hanno preso forma nelle “discipline”.

Intesa in questo modo, la disciplina non è la parola autoritaria che cade su quel porsi domande relegandolo in un indistinto orizzonte pre-disciplinare: è piuttosto la scoperta che esistono tanti “racconti sul mondo” quanti sono gli sguardi da cui si osserva.

Oltre i confini del primo ciclo d’istruzione

In ogni caso, relativizzare le discipline non vuol dire decostruirle; proprio questo approccio fa riconoscere che ogni sapere disciplinare ha il suo insostituibile punto di vista, ha uno statuto epistemologico cui è ancorato. Secondo questo assunto, i campi di esperienza possono essere strumenti di strutturazione curricolare e gli ambiti disciplinari possono costituire i dispositivi didattico-organizzativi in tutto il percorso verticale del primo ciclo e anche oltre.

La continuità educativa si proietta così oltre i confini della scuola di base, fino ad intersecarsi con il biennio della scuola secondaria superiore. Al riguardo è molto utile ricordare il D.M. 22 agosto 2007, n. 139 (Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione, ai sensi dell’articolo 1, comma 622, della L. 27 dicembre 2006, n. 296) e il Documento tecnico allegato. Qui, l’intero percorso curricolare è ricompreso nei quattro assi culturali (dei linguaggi, matematico, scientifico-tecnologico, storico-sociale)[1]. Era questa una idea di “trasversalità” didatticamente sostenibile, ben lontana da costrutti fumosi.

Gli antecedenti storici

È opportuno sottolineare che questa prospettiva ha importanti antecedenti, a partire da quell’idea centrale delle “discipline come educazione” che dà il titolo alla IV Parte della Premessa ai Programmi del ’79 per la Scuola media, dove si afferma, tra l’altro, che “nella loro differenziata specificità le discipline sono dunque strumento e occasione per uno sviluppo unitario, ma articolato e ricco di funzioni, conoscenze, capacità e orientamenti (…)”. Il concetto sarà ripreso e consolidato, nelle rispettive specificità pedagogiche, dai Programmi della scuola elementare del 1985 e dagli Orientamenti per la scuola dell’infanzia del 1991.

Attraverso le discipline e le specifiche connessioni si costruisce il “fare scuola” nelle pratiche quotidiane. Attraverso le discipline, l’insegnante, lavorando sulle linee di confine e la contaminazione dei codici simbolici, riesce ad esplorare piste di ricerca efficaci per le tante esigenze di tutti gli studenti.

L’istruzione che educa tutti

Dalle Indicazioni nazionali 2012 emerge un invito, dunque, ad uscire dal fortino dei “disciplinarismi”, vale a dire delle discipline intese come “materie di studio”, come se fossero portatrici di un’identità professionale e culturale esaustiva.

Il presente, e soprattutto il futuro, dell’istruzione che educa è nella capacità di coniugare la specificità dei punti di vista con l’apertura al dialogo e alla feconda contaminazione tra i saperi disciplinari.

Quale valore aggiunto ci consegna questo approccio? Qui, le forme di pensiero cosiddetto “divergente”, spesso sanzionate alla luce di standard predefiniti, trovano un campo di espressione, di osservabilità e riconoscimento: è il presupposto per realizzare “la scuola di tutti e di ciascuno”, quella della Costituzione.

Continuità e curricolo verticale come presupposti per l’inclusione

Dunque, continuità e curricolo unitario rappresentano le istanze che non si radicano solo nell’impianto pedagogico, negli assetti organizzativi, ma nell’idea stessa di una scuola che opera per qualificare gli esiti, per garantire l’esercizio dei diritti, a partire dai soggetti più deboli. Non a caso il primo provvedimento che ha sistematizzato la “continuità educativa” ha riguardato proprio gli alunni “portatori di handicap”, come si diceva allora. Ci riferiamo alla nota circolare 1 del 4 gennaio 1988 che prevedeva, tra l’altro, anche l’introduzione di modalità organizzative, allora decisamente innovative, come l’accompagnamento del disabile da parte degli insegnanti di sostegno “a ponte” da un grado all’altro di scuola, realizzando un vero e proprio scambio professionale, nella prospettiva del “curricolo verticale”.

Possiamo migliorare?

È un impegno difficile, un esito non scontato, ma è possibile. Ai detrattori della possibilità, ai “realisti” che sostengono sempre le ragioni del senso comune, possiamo rispondere con un approccio diverso che ci suggerisce un grande scrittore del secolo scorso, Joseph Roth, perché quando la narrativa incontra la pedagogia nascono meraviglie.

“[…] Era una di quelle idee che sprezzantemente si definiscono “romantiche”. Eppure, lungi dal vergognarmene, ancora oggi insisto a dire che questo periodo della mia vita, il periodo delle idee romantiche, mi ha avvicinato alla realtà più delle rare non romantiche che ho dovuto impormi: ma come sono assurde queste definizioni che ci hanno tramandato! Ammettiamolo pure. Ebbene: io credo di aver sempre osservato che il cosiddetto uomo realistico se ne sta impenetrabile su questo mondo come un muro di cinta in calcestruzzo, e il cosiddetto romantico è invece come un giardino aperto, in cui la verità entra ed esce a piacimento…”.

[Joseph Roth, La Cripta dei Cappuccini, Ed. Adelphi, 1989].


[1] Il Decreto n. 14 del 30 gennaio 2024 “Adozione dei modelli di certificazione delle competenze” ha uniformato i diversi documenti di certificazione, ivi compreso quello per l’obbligo d’istruzione. La necessità di uniformare è stata sollecitata anche dalle Linee guida per l’orientamento, adottate con decreto ministeriale 22 dicembre 2022, n. 328.