Discipline e competenze

Un approccio culturale costruttivista

Non è certamente marginale l’esplicitazione del ruolo delle discipline nel testo delle Indicazioni Nazionali per il primo ciclo, nel loro nesso epistemologico e pedagogico-didattico col tema delle competenze che struttura tutta la tessitura del curricolo verticale. In vari passaggi le Indicazioni puntualizzano la necessità di un uso formativo dei saperi disciplinari, in coerenza con i caratteri dell’ambiente di apprendimento che si ritengono più funzionali ad una didattica attiva e costruttiva.

Nelle discipline la sfida della didattica

Particolarmente illuminante appare quanto si legge nel paragrafo dal titolo “Aree disciplinari e discipline”, che introduce la sezione dedicata all’organizzazione del curricolo: “Le discipline, così come noi le conosciamo, sono state storicamente separate l’una dall’altra dai confini convenzionali che non hanno alcun riscontro con l’unitarietà tipica dei processi di apprendimento. Ogni persona, a scuola come nella vita, impara infatti attingendo liberamente dalla sua esperienza, dalle conoscenze o dalle discipline, elaborandole con un’attività continua ed autonoma”. Il passo contiene alcuni elementi decisivi per una riflessione sull’intrinseco legame tra dimensione formativa delle discipline e traguardi di competenza.

In primo luogo occorre osservare che le discipline vengono ricondotte al loro statuto storico e convenzionale, caratterizzato da separatezza, che istituisce dei vincoli conoscitivi, per quanto fondati sul piano epistemico, privi di riscontro con l’unitarietà dei processi di apprendimento. Proprio nella dialettica tra pluralità delle discipline ed unitarietà dei processi di apprendimento si annida la sfida professionale della didattica, che costringe gli insegnanti a prendere sul serio questo incessante lavoro di elaborazione che gli apprendenti compiono “liberamente” attingendo dalla scuola come dalla vita.

I saperi scolastici

È proprio il concetto di esperienza, di ascendenza deweiana, che avvia la transizione dal versante epistemologico a quello educativo e didattico. L’esperienza infatti presenta quei caratteri di unitarietà dinanzi ai quali le discipline scolastiche sono chiamate a superare la frammentazione e a configurarsi come chiavi di accesso alla vita nelle sue molteplici sfaccettature. Da questo punto di vista non appare azzardato mutuare dalla scuola dell’infanzia la bella metafora di “campo di esperienza” per comprendere questo ruolo attivo e costruttivo dei saperi scolastici.

Curricolo come processo multifattoriale

La costruzione del curricolo, alla luce di quanto fin qui messo in evidenza, si configura quale processo multifattoriale.

Tale processo assume le discipline come paradigmi essenziali di riferimento, che non possono e non devono venire meno ai rispettivi statuti epistemologici. È un paradigma infatti che, sulla scena dell’ambiente di apprendimento, pone le discipline come occasioni o pretesti per tornare a quella realtà da cui le stesse hanno tratto storicamente linfa per costituirsi così come oggi le conosciamo, proprio in virtù di un lavoro di formalizzazione di cui resta traccia nei libri di testo.

Lo sguardo verticale

È innegabile che tutto ciò necessiti di uno sguardo verticale, capace di concepire la progressione tra apprendimento primario e apprendimento secondario in termini di continuità e discontinuità al contempo.

Ed è proprio l’uso formativo delle discipline che scandisce la transizione dalla scuola primaria alla scuola secondaria di primo grado. Segna soprattutto il momento delicato in cui l’organizzazione della didattica vede l’ingresso in scena di questi dispositivi (appunto le discipline) codificati nei libri di testo e fin anche nelle cattedre dei docenti. Non va dimenticato, peraltro, che nella scuola dell’infanzia, e anche nel nido, la manipolazione e il gioco costituiscono le radici su cui i bambini costruiscono i loro saperi e incominciano a sperimentare l’uso strumentale delle discipline.

A partire, poi, dalla secondaria di primo grado diventa consueto parlare dell’ora di questa o quella disciplina.

Alfabetizzazione culturale di base

Le Indicazioni contengono un passaggio importante, all’interno della riflessione sulla scuola secondaria di primo grado, nel paragrafo dal titolo “L’alfabetizzazione culturale di base”, che contribuisce a delineare lo scenario introduttivo della scuola del primo ciclo: “Nella scuola secondaria di primo grado si realizza l’accesso alle discipline come punti di vista sulla realtà e come modalità di conoscenza, interpretazione e rappresentazione del mondo. La valorizzazione delle discipline avviene pienamente quando si evitano due rischi: sul piano culturale, quello della frammentazione dei saperi; sul piano didattico, quello dell’impostazione trasmissiva. Le discipline non vanno presentate come territori da proteggere definendo confini rigidi, ma come chiavi interpretative disponibili ad ogni possibile utilizzazione. I problemi complessi richiedono, per essere esplorati, che i diversi punti di vista disciplinari dialoghino e che si presti attenzione alle zone di confine e di cerniera fra discipline”.

Un rischio culturale e un rischio didattico

Questo passaggio rende necessario il nesso col tema delle competenze, individuate com’è noto quali orizzonti che strutturano il curricolo in termini di “traguardi per lo sviluppo”, dove risulta decisivo quel “per” come obiezione verso qualsiasi lettura staticamente sommativa della competenza, concepita quale cantiere aperto a successivi sviluppi, come se il termine traguardi debba essere riferito piuttosto al lavoro dei docenti che a quello dei discenti.

Quel che qui occorre constatare è che il legislatore mette in luce un rischio culturale ed uno didattico, intimamente legati. Il rischio trasmissivo infatti si annida laddove le discipline vivono in forma frammentaria, ovvero al di qua della necessaria transizione dal loro assetto accademico a quello formativo. La trasmissione trattiene la disciplina potremmo dire nella comfort zone da cui è sorta, senza riuscire ad intercettare la complessità di cui invece è portatrice la realtà. Se le Indicazioni non ponessero le competenze quali orizzonti della didattica, quasi a rendere cogente l’assunzione della disciplina in termini di campo di esperienza, il processo di insegnamento e apprendimento potrebbe attestarsi – come purtroppo troppo frequentemente nella secondaria di primo e secondo grado si attesta – sulla riproposizione di repertori aridi di contenuti da ripetere.

Ambiente di apprendimento come laboratorio culturale

Proprio i caratteri dell’ambiente di apprendimento che le Indicazioni propongono dovrebbero esorcizzare il rischio della trasmissione. È nell’ambiente di apprendimento infatti che la postura di docenti e discenti appare come quella di un vero e proprio laboratorio culturale, in cui le discipline diventano occasione di problematizzazione, rielaborazione, discussione. È nell’ambiente di apprendimento operoso che le discipline depongono la loro pretesa enciclopedica e i contenuti disciplinari sono scelti in virtù della loro emblematicità formativa.

In questa prospettiva il curricolo diviene davvero un campo di scelte strategiche, sia in senso paradigmatico, ovvero afferente al “cosa” delle discipline bisogna fare oggetto di apprendimento, sia in senso sintagmatico, cioè riferibile alla disposizione nel tempo degli oggetti di apprendimento.

Il curricolo come luogo della mediazione didattica

Il curricolo, nelle Indicazioni Nazionali, è il luogo della mediazione didattica perché suggerisce ai docenti una prospettiva a ritroso, che indicando, con i profili in uscita, gli orizzonti finali, apre il campo alla strutturazione del percorso formativo in obiettivi e competenze. Questa mediazione didattica fa venir meno il famoso interrogativo che troppo spesso ancora circola nelle sale docenti: “dove sei arrivato?”.

La logica del curricolo contesta alla radice la logica dell’accumulo, come il testo delle Indicazioni ben rileva: “Il bisogno di conoscenze degli studenti non si soddisfa con il semplice accumulo di tante informazioni in vari campi, ma solo con il pieno dominio dei singoli ambiti disciplinari e, contemporaneamente, con l’elaborazione delle loro molteplici connessioni”.

Si potrebbe parafrasare questo passaggio dicendo che lo sviluppo di competenze è inversamente proporzionale alla quantità di contenuti “erogati”, ma sarebbe forse meglio dire alla incongruenza di questi contenuti con un profilo di cittadinanza attiva, quale le Indicazioni pongono a fondamento della progettazione curricolare.

Prescrittività e rischio dell’accumulo

Va riconosciuto in questa prospettiva che nella prescrittività e nella numerosità degli obiettivi posti quali “materiali” per lo sviluppo di competenze può annidarsi il rischio dell’accumulo. Per loro natura gli obiettivi, con la loro istanza di visibilità e misurabilità, seducono maggiormente l’immaginario e la prassi dei docenti, piuttosto che l’orizzonte delle competenze, forse avvertito in termini più vaghi e meno disponibili, ad esempio, ad una misurazione col voto in decimi. Ma questo è un problema di cultura professionale e di cultura valutativa, sul quale occorrerebbe aprire un altro fronte di analisi.

Un curricolo costruttivista

In conclusione, pare di poter dire che le Indicazioni Nazionali per il curricolo del primo ciclo, così come l’instancabile azione formativa di Giancarlo Cerini non ha mai mancato di evidenziare, delineano un orizzonte didattico di impronta palesemente costruttivista, che prende sul serio il vissuto esperienziale di bambine e bambini, ragazze e ragazzi, assumendolo in chiave culturale proprio con gli strumenti di cui dispone la scuola ovvero i saperi disciplinari. Sono proprio le competenze a tenere alta la guardia di fronte al rischio della trasmissione e del nozionismo. Assunte in chiave culturale e costruttiva, quale sapere agito e pensato in quanto agito, le competenze consentono alle discipline scolastiche di respirare a pieni polmoni e di essere restituite a quella unitarietà della vita da cui erano partite per costituirsi storicamente.