Il rilancio dell’autonomia scolastica

In principio fu la “Bassanini”

Com’è noto, la legge 107/2015, “per affermare il ruolo centrale della scuola nella società della conoscenza e innalzare i livelli di istruzione e le competenze delle studentesse e degli studenti”, ha inteso dare “piena attuazione all’autonomia delle istituzioni scolastiche”. A tal fine, con il comma 14, riscrive profondamente l’articolo 3 del Regolamento, di cui al DPR 275/99. Si tratta di quell’articolo che introduceva il Piano dell’Offerta Formativa, sostituendolo al Progetto di Istituto, di cui alla Carta dei servizi scolastici, varata nel lontano 1995, in pieno clima di riorganizzazione dell’intera amministrazione pubblica.

Erano gli anni in cui con una serie di provvedimenti si passava – e non senza difficoltà – da uno Stato fortemente centralizzato, ereditato da almeno cento anni di storia patria, a uno Stato fondato, invece, sulle autonomie, quelle autonomie che ritornano spesso nella Carta costituzionale del 1947, ma che non ebbero mai una rapida attuazione per i motivi che tutti conosciamo: la faticosa uscita da una guerra, l’eredità di uno Stato fortemente accentratore e, soprattutto, il peso del ventennio della dittatura fascista.

La vicenda storica di quegli anni la conosciamo: si tratta della legge delega 59/97, altrimenti detta “legge Bassanini”, e in particolare di quell’articolo 21 che riguardava, appunto, il riassetto dell’intera organizzazione scolastica. In esso, tra l’altro, si diceva: “Ai fini della realizzazione della autonomia delle istituzioni scolastiche, le funzioni dell’Amministrazione centrale e periferica della pubblica istruzione in materia di gestione del servizio di istruzione, fermi restando i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio nonché gli elementi comuni all’intero sistema scolastico pubblico in materia di gestione e programmazione definiti dallo Stato, sono progressivamente attribuite alle istituzioni scolastiche”.

Le autonomie in Costituzione

Alla legge seguirono, nel 1999, il Regolamento attuativo dell’autonomia (il DPR 275/99) e, nel 2001, quelle modifiche all’intero Titolo V della Costituzione (legge Cost. 3), con cui vennero riscritti ex novo i rapporti tra Stato e Regioni e ripartiti i rispettivi poteri. Per quanto concerne l’istruzione statale e la formazione professionale regionale, allo Stato vennero attribuite la legislazione esclusiva sia in materia di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” sia in materia di “norme generali sull’istruzione”.

Il che ribadì – e ribadisce – che le finalità e gli obiettivi generali dell’intero “Sistema nazionale di istruzione e formazione” (è la definizione che ritroviamo nella legge 107/2015 e che corregge quella di “Sistema educativo di istruzione e formazione”, di cui sia alla legge 30/2000, riforma Berlinguer, in seguito abrogata, che alla legge 53/2003, riforma Moratti) sono di competenza dello Stato.

Un bilancio critico dell’autonomia

Ora dobbiamo chiederci: a distanza di quasi vent’anni dal varo dell’autonomia scolastica, in ogni istituzione scolastica autonoma tutto ciò che è previsto dagli articoli clou del DPR 275/99 è stato veramente realizzato? Indubbiamente no, salvo particolari nonché significative situazioni. In effetti, le singole istituzioni hanno incontrato notevoli difficoltà soprattutto per quanto concerne ciò che è indicato dagli articoli 4, 5 e 6 del citato DPR: l’autonomia didattica; l’autonomia organizzativa; l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo. Le ragioni sono tante e sarebbe difficile ripercorrerle in questo breve scritto; una ragione di fondo, comunque, va ricercata nella difficoltà – o, se si vuole, nella problematicità – che nasce tra la presenza di norme, pur sempre rigide che l’amministrazione non ha di fatto, e di diritto, modificato e, nel contempo, l’invito a superarle. In effetti, sembra che l’espressione di Berlinguer “ciò che non è vietato è lecito” non abbia avuto molto successo: spesso l’intreccio delle norme è tale che rende difficile una scelta, della quale poi il dirigente scolastico deve pur sempre rispondere.

Le rigidita’ dell’organizzazione scolastica

In effetti, l’attuazione dell’autonomia da parte delle istituzioni scolastiche non ha carattere assoluto, in quanto queste non sono autonome tout court, ma (è l’incipit del DPR) “sono espressioni di autonomia funzionale”. E, di fatto e di diritto, “funzionale” alla realizzazione delle finalità e degli obiettivi del Sistema educativo nazionale di Istruzione. In tal modo, da un lato si offre una grande apertura, dall’altro si raccomanda che tale apertura ha precisi limiti.

Il che, in effetti, non ha incoraggiato le istituzioni scolastiche ad avviarsi sulla strada dell’autonomia. Inoltre, alcune indicazioni operative rischiano di configgere con le norme vigenti. Alcuni esempi: è difficile attuare un’“articolazione modulare del monte ore annuale di ciascuna disciplina o attività” a fronte della rigidità del monte ore annuale dei docenti e delle discipline di insegnamento per classe; per non dire poi della rigidità degli orari (il tempo scuola scandito dal suono della campanella è eguale per tutti) e delle classi di età; o della difficoltà di aggregare discipline in aree e ambiti disciplinari, quando poi le lezioni e i voti sono pur sempre disciplinari. Ciò, tuttavia, non significa affatto che in molte realtà l’autonomia non abbia dato i frutti desiderati, ma, ovviamente, a livello nazionale quanto indicato dai citati articoli 4, 5 e 6 è stato largamente evaso.

Una riforma sul solco della continuità

Era ovvio, quindi, che, se l’autonomia delle singole istituzioni scolastiche deve costituire la chiave del rinnovamento, quello che conduca realmente a quel “successo formativo” che, stando all’articolo 1, comma 2 del DPR 275/1999, dovrebbe essere “garantito” a tutti gli alunni, non possiamo davvero dire che, a distanza di un quindicennio, questo atteso e auspicato rinnovamento si sia realizzato.

Era, quindi, atteso e auspicabile un provvedimento che permettesse di superare il difficile impasse in cui l’intero nostro sistema scolastico si è cacciato! O è stato cacciato? È difficile a dirsi! Resta comunque il fatto che, a distanza di quasi un ventennio, quel DPR che doveva sancire una svolta radicale nella conduzione delle istituzioni scolastiche rese autonome e un netto miglioramento dei processi di apprendimento dei nostri studenti – tra l’altro, a tutt’oggi ancora in coda al tutte le classifiche europee – è stato rimesso in discussione.

Con la legge 107/2015 si è inteso, quindi, “dare piena attuazione all’autonomia delle istituzioni scolastiche” e, con la riscrittura del citato articolo 3 del DPR 275/99, si vorrebbe dar vita a un’organizzazione diversa delle nostre istituzioni scolastiche.

Il potenziamento dell’autonomia

Per quanto concerne il potenziamento dell’autonomia, fattori portanti dell’innovazione – anche se per certi versi discutibili e che tanta preoccupazione hanno suscitato in molti operatori scolastici – sono i seguenti:

a) il piano triennale dell’offerta formativa (se ne tratta in ben sei commi, dal 12 al 17), rivedibile annualmente, al fine di dare un respiro temporale più lungo alle scuole per maturare un’offerta più meditata e mirata nonché più legata alle istanze del territorio (culturali e professionalizzanti in primo luogo);

b) il potenziamento dell’offerta formativa sia in termini di personale insegnante, che di contenuti e orari di studio;

c) responsabilizzazione del dirigente scolastico per quanto riguarda “gli indirizzi per le attività della scuola e le scelte di gestione e di amministrazione”;

d) responsabilizzazione del dirigente scolastico per quanto riguarda l’individuazione del personale da assegnare ai posti dell’organico dell’autonomia (comma 18 e commi dal 79 all’83).

Le innovazioni della legge 107, comunque, non si limitano a quanto fin qui scritto! Ve ne sono altre, e numerose, che, com’è noto, hanno suscitato più critiche che consensi. Ormai, però, les jeux sont faits ed oggi siamo alle prese con i 212 commi della legge (alcuni, però, in via di disapplicazione) e con i decreti applicativi di aprile 2017 (alcuni in fase di riscrittura). E’ poi stato emanato il decreto interministeriale che ha riscritto il regolamento di contabilità delle istituzioni scolastiche.

Gli ordinamenti restano invariati

In effetti, la legge 107/2015 non mette in discussione gli attuali ordinamenti per gradi e ordini, del nostro sistema di istruzione. Com’è noto, erano in molti ad attendersi che il ciclo obbligatorio di istruzione decennale non si svolgesse più lungo i tre tradizionali “spezzoni scolastici” – eredità di leggi diverse che si sono avvicendate nei decenni – tra loro scarsamente dialoganti, la scuola primaria, la scuola media e il primo biennio del secondo ciclo.

Altri si attendevano che l’esame finale di Stato terminasse a 18 anni età – un auspicio che viene da lontano – con quella certificazione delle competenze culturali e di cittadinanza che i nostri giovani attendono e che l’Europa stessa ci chiede da tempo. Altri ancora attendevano che i tre ordini di sempre del secondo ciclo di istruzione venissero “riordinati” al fine di superare definitivamente l’ancestrale prosopopea che caratterizza i licei e dare ai professionali quella dignità che oggi, con il progressivo superamento del lavoro manuale, dovrebbe caratterizzare l’istruzione tecnica e quella professionale. Iniziative che andassero in tale direzione avrebbero veramente sconvolto una tradizione dura a morire e avrebbero provocato una rottura con una tradizione che con il varo della legge 107, sembra invece consolidarsi.