La didattica e gli ambienti di apprendimento per il successo formativo

Tra pedagogia e organizzazione

Il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, Dipartimento per il sistema di istruzione e formazione, con  nota 1143 del 17 maggio 2018, ha promosso una riflessione sul tema dell’inclusione in un’accezione ampia di successo formativo per ciascuno studente.

Alcuni punti chiave sono stati individuati da Rondanini (“Una circolare pedagogica”, Scuola7 n. 90), che ha sottolineato alcuni aspetti chiave fra cui l’inclusione come processo, la comunità come sistema curante, la classe come gruppo e l’impegno collaborativo del team docente.

Certamente da sottolineare la valenza didattica e pedagogica della nota, senza sottostimarne il valore organizzativo e tecnico.

La nota Miur evidenzia la connessione fra diritto all’istruzione e all’educazione come dovere e responsabilità per la cittadinanza attiva; spesso infatti si parla di diritti, ma questi vanno accompagnati ad un’accurata riflessione sui doveri, da non dare per scontata e perlopiù legata ad un’accezione negativa del tema – dovere come fatica e diritto come piacere – in un binomio fuorviante.

La nota del Miur evidenzia alcuni punti chiave, che nel seguito si sintetizzano.

Un’autonomia dal volto umano

Viene ripreso il tema dell’“autonomia scolastica”, dal Regolamento istitutivo (D.P.R. n. 275 del 8.3.1999) alla recente Legge 107/2015 e decreti legislativi attuativi. L’autonomia in fase iniziale ha faticato a decollare e ad essere riconosciuta e agita; ora appare più solida e strettamente legata alla capacità negoziale e di intraprendenza sul territorio dei dirigenti scolastici.

Si sollecita la capacità di armonizzare i vari dispositivi previsti dalla norma, sempre più interconnessi ma non privi di onerosità, dal Piano dell’Offerta Formativa, ora a cadenza triennale, al rapporto di autovalutazione, al piano di miglioramento… La nota ben evidenzia che “quando allo strumento si attribuisce un valore tale da identificarlo quasi con il fine, si rischia di assistere a una scuola che tende a categorizzare e modellizzare…”.  Si opera quindi un richiamo forte e definito alla centralità della persona, e a non interpretare in modo rigido e giustapposto i vari documenti, ma a declinarli nel “contesto di riferimento”.

La comunità educante

Si rilancia il principio dell’unitarietà della comunità educante, che superi la logica di frammentazione, talora sostenuta anche da una cattiva interpretazione del concetto di “personalizzazione”, come sovrapposizione di piani didattici personalizzati, redatti e formalizzati, ma poco coesi con la vita di una classe nel senso pieno del termine, e difficilmente conciliabili con l’esigenza di creare una comunità. Come noto, la classe si sostanzia, da aggregato di individui a gruppo vero e proprio, nel tempo e nella condivisione di obiettivi e regole comuni dello stare insieme; richiede quindi tempo, co-costruzione e superamento di logiche individualiste per dispiegarsi e realizzarsi.

Documentazione e rendicontazione sociale

La partecipazione scolastica, croce e delizia delle nostre scuole, si esplicita per i docenti attraverso gli organi collegiali, nella definizione della documentazione di progetto (unità di apprendimento, verbali, delibere, relazioni…), che deve superare la dicotomia fra “agito e dichiarato” cui talora si assiste, attraverso una ripresa chiara e decisa della documentazione per gli altri e non per se stessi, o ancora peggio a fini “burocratici”, come spesso si sente dichiarare. Le “carte” non sono burocrazia nel senso negativo del termine, ma costituiscono il presupposto di scambio e reciprocità fra più persone che operano in uno stesso contesto.

Documentare, scrivere con chiarezza cosa, quando, come si realizza il processo didattico, in modo da renderlo trasparente a noi stessi e ai colleghi, è azione necessaria e fondamentale dell’agire didattico; diversamente la “carta” resta un portato individuale scarsamente generalizzabile e replicabile, che diviene documento condiviso se inteso con un’accezione di ampio respiro, volto alla condivisione e alla crescita professionale. Questo anche per realizzare quella continuità educativo-didattica, fondamento del curricolo verticale, richiamato in nota, e dell’impianto, sempre più diffuso e prevalente nelle scuole italiane, dell’istituto comprensivo.

Unitarietà e non categorizzazione

La diffusione di molteplici documenti, linee di indirizzo, intese etc., volti ad approfondire specifici bisogni di ciascun alunno, declinati per particolarità, ancorché azione necessaria per implementare la conoscenza e per meglio rispondere a bisogni molteplici e peculiari (alunni adottati, stranieri, in affido, in situazione di povertà, vittime di violenza etc.), conduce talvolta al disorientamento del docente, che in classe non può e non deve operare per compartimenti stagni, ma deve mantenere un’unitarietà di senso e di funzionamento, legata alla classe. Certo la classe non può essere “mitizzata” come un tutt’unico unitario e uniforme, ma si presenta assai variegata e complessa, con stratificazioni di bisogni. Parliamo di quei bisogni educativi speciali che hanno mosso le carte in tavola nella scuola italiana, a volte con derive ed eccessi di nomenclature e irrigidimenti procedurali, cui la scuola è chiamata a rispondere in termini didattici.

La centralità della didattica

Il recupero della didattica consente di parlare, conoscere, diffondere la pedagogia, di intervenire su come si sta e come si fa scuola, con quali strumenti, tecniche, metodologie, attraverso ambienti di apprendimento innovativi centrati sugli studenti. Gli allievi vanno compresi uno ad uno, con uno sguardo alla personalizzazione e uno sguardo alla comunità educante, in un mix sapiente e composito dell’uno e dell’altro.

Andare oltre le certificazioni e i PDP

La nota del Miur suggerisce di andare “oltre le etichette, senza la necessità di avere alcuna classificazione ‘con BES’ o di redigere Piani Didattici Personalizzati per riconoscere e valorizzare le diverse normalità”. Si è infatti assistito a un proliferare di “certificazioni BES” (?) anche dall’ambito sanitario, che non hanno alcuna significatività poiché l’individuazione di un bisogno educativo speciale è in capo alla scuola, e non abbisogna necessariamente di un supporto di documentazione clinica, essendo perlopiù caratterizzato da transitorietà e dalla necessità di una scuola ad alto tasso di didattica innovativa. La nota Miur libera dall’equivoco che personalizzare voglia dire stilare Piani didattici personalizzati per ciascuno, in una giungla di carte che talvolta non danno conto dell’effettiva complessità dell’agito quotidiano.

Prossima scadenza: il rinnovo del PTOF

Il richiamo ultimo dell’Amministrazione centrale è volto a sottolineare come, nell’occasione del rinnovo del Piano triennale dell’offerta formativa, le scuole possano avviare una riflessione sull’evoluzione della norma e sull’organizzazione scolastica, per promuovere la ricerca e la sperimentazione didattica in chiave di ambienti di apprendimento.

La sfida quindi si riporta a scuola con competenza professionale didattica, centrata sul know how dei docenti e sulla necessità di una visione olistica.