Ho un bullo a scuola, anzi due, forse addirittura tre

La casistica

 1.  «Preside, venga a vedere cosa è successo!!!»

Maria Elena era lì elegantissima e disinvolta con la faccia corrucciata, mi intravede ed abbassa la testa. È sull’uscio dell’aula, la guardo senza parlare e lentamente entro in classe con la serietà che deve contraddistinguere chi in questi momenti e non solo rappresenta lo Stato e la Repubblica Italiana.

«Ragazzi in piedi c’è il Preside!».

Mirko si alza subito, Salvatore, al solito, è più pigro, Valentina ha difficoltà a capire il momento, Serena mi guarda cercando di richiamare l’attenzione sul fatto che ci conosciamo dalla scuola primaria, anzi dall’infanzia.

«Ragazzi seduti»

Maria Elena rientra richiamata dalla professoressa.

Ragazzi dite al Preside cosa è successo!!! Silenzio…

Io guardo Maria Elena.

«Preside, scusate, è tutta colpa mia, sono fatta strana, sono così… Volevo fare uno scherzo, mi scocciavo di sentire la lezione, ho preso un foglio e l’ho acceso con l’accendino, siccome bruciava l’ho lanciato in aria…»

Salvatore ride, Antonio e Gennaro mi guardano aspettando una reazione, le ragazze a bassa voce parlano tra loro.

«E quindi, Maria Elena… ?» le chiedo.

«Lo so, Preside: mi sono giocata il viaggio d’istruzione di fine anno».

 2.  «Scusate, Preside, forse è meglio che andate giù a vedere…».

Palloni che girano sul pavimento, bambini seduti per terra sotto una delle pareti della palestra. Giulia mi guarda con preoccupazione; alcuni bambini restano a metà strada tra i palloni e la parete dove i compagni stanno chiusi. Vicino all’uscita di evacuazione c’è Andrea che strilla, poi mi vede e rivolge gli occhi all’esterno ed abbassa anche la voce. La maestra, visibilmente emozionata, tenta di darsi un contegno…

«Ha dato uno schiaffo alla maestra, ha dato uno schiaffo alla maestra!!!», Ciro riferisce la sua sintesi dell’accaduto…

La maestra, frustrata nella sua dignità, mi chiede di riceverla nell’immediato pomeriggio alla fine del suo impegno in classe; mi accenna: «Non so che fare, Andrea è abituato a casa ad usare violenza…».

 3.  «Preside, le ho girato la mail di un genitore che ha bisogno di parlarle: sembra una cosa importante…».

“Gentile Preside, siamo i genitori di Scognamiglio Daniele… sappiamo che abbiamo fatto degli errori gravi anche nei confronti della scuola e delle professoresse, ma stiamo in grande disagio… Abbiamo fatto sicuramente male quando le professoresse ci avevano chiesto la collaborazione quando nostro figlio dava fastidio in classe, insultava i compagni, arrivava tardi e chiedeva spesso di uscire prima della fine delle lezioni… Ora siamo in grande difficoltà, nostro figlio non ci ascolta ed ogni mattina non sappiamo se veramente verrà a scuola o si presenterà quando vuole… Le chiediamo un colloquio e tutto l’aiuto possibile da parte della scuola… Inoltre vorremmo… firmato dott. Scognamiglio e dott.ssa Beltrami genitori di Scognamiglio Daniele”.

(i FATTI raccontati sono desunti dall’esperienza di DIRIGENTI SCOLASTICI, i nomi sono di fantasia)

La psicopedagogia

La scuola è diventata, tra le altre cose, luogo di risonanza delle contraddizioni educative di una o due generazioni di genitori (i nati degli anni Settanta e i nati dei primi anni Ottanta), che hanno in buona parte perso fiducia nei loro mezzi educativi, forse perché dietro spesso ci sono nonni che hanno ceduto loro stessi al mandato fisiologico e psicologico dell’educazione come trasmissione esemplare di regole, modalità comunicative, stili di comportamento.

Quello che Neil Postman (“La scomparsa dell’infanzia”) ipotizzava all’inizio degli anni Ottanta come pericolo della società americana oggi è un’evidenza in gran parte del mondo occidentale: la creazione del “bambino adulto” e parallelamente dell’“adulto bambino”.

In sintesi dobbiamo ammettere e rilevare come sempre più spesso appaia troppo bassa la distanza tra chi educa (tracciando una o più strade da seguire) e chi deve essere educato. A volte sembra che non sia più possibile educare o, peggio, siano venute meno le ragioni stesse dell’educazione. Sarebbe un discorso lungo, ma certamente dobbiamo rilevare una profonda ed estesa crisi di identità genitoriale, modellata, pur nelle differenze generazionali, da una sicura capacità di orientare lo sviluppo delle generazioni successive (figli, nipoti…). L’irragionevole difesa delle devianze, delle violenze, del bullismo di figli e nipoti da parte degli adulti (pur nell’implicita ammissione di colpa), non è altro che la difesa della propria incapacità educativa o, peggio, della propria incapacità di essere semplicemente “adulti”.

La giurisprudenza

I casi più gravi creano spesso l’interrogativo di cosa può fare la scuola e cosa deve eventualmente segnalare.

La scuola – sembra ormai evidente – non può occuparsi di tutto nelle personalità individuali e giuridiche (il Dirigente, i docenti, i collaboratori scolastici).

La scuola, ed in qualche caso la sanità, sono gli unici settori che utilizzano prevalentemente “l’umanità” come categoria dell’approccio ai problemi. Questo non sempre è un bene.

Gli aspetti giuridici, che fanno ricadere colpe anche ingiuste sugli operatori della scuola, devono poter schermare il lavoro di madri e padri di famiglia dalle oggettive responsabilità di altri adulti che scientemente hanno deciso di essere genitori.

Ecco perché torna utile sapere che la “culpa in educando” (riferita ai genitori) è una colpa e quindi un reato.

Interessante il riferimento giuridico qui sotto riportato:

Culpa in educando come reato [Sentenza Cassazione 21 settembre 2000, n. 12501 ripresa ad esempio in Cassazione civile, sez. III, sentenza 20.04.2007 n° 9509 – Figli e responsabilità dei genitori, obbligo di educazione e vigilanza].

Da quella sentenza ho preso uno stralcio estremamente interessante e significativo:

«In ordine alla colpa del genitore X, la Corte giudicava la prova testimoniale dallo stesso articolata inidonea a superare la presunzione posta dall’art. 2048 c.c., perché non dimostrava che il genitore aveva esercitato “una pregnante vigilanza sui risultati dell’educazione”, mentre il comportamento del minore in occasione del sinistro, “seppure certamente non sintomatico di un’inclinazione alla violenza” (perché “ispirato da un intento scherzoso”), rivelava “un’immatura sconsideratezza e una non ancora acquisita coscienza della irrilevanza delle intenzioni sui risultati di un gesto comunque oggettivamente violento”.»

Una brevissima conclusione

Il bullismo, ovvero gli atti intenzionali di ragazzi minori (in alcuni casi anche maggiorenni) che ledono ed offendono la persona fisica e psicologica di altri, non può essere affrontato soltanto dalla scuola. Non è altresì ipotizzabile un atteggiamento di commento di tipo giustificazionista che non porti a precise responsabilità e, ove previsto, alle giuste e proporzionate sanzioni. Altresì non è accettabile, da parte dei genitori così come degli operatori scolastici, un approccio superficiale o semplicista.