Bocciare, non bocciare…

Un dibattito che viene da lontano

Nelle ultime settimane si è sviluppato un forte dibattito pubblico sui temi della valutazione, in relazione all’approvazione dei decreti legislativi per l’attuazione della legge 107/2015. Uso dei voti, bocciature fin dalle elementari, effettive competenze linguistiche dei ragazzi, “media del 6”, certificazioni, esami di Stato… aspetti tecnici su cui gli stessi insegnanti hanno idee diverse, ma che sono rimbalzati prepotentemente sulle prime pagine dei giornali, non sempre in maniera documentata. È positivo che questioni che riguardano da vicino milioni di persone (studenti, famiglie, insegnanti) escano dai confini degli addetti ai lavori (e delle aule parlamentari in questi giorni) e diventino senso comune condiviso, ma anche buona cultura della valutazione.

È evidente che la società (e gli opinionisti che danno voce ad essa) è per soluzioni semplici (cosa c’è apparentemente di più chiaro di un voto in decimi, da 1 a 10, con tutte le sfumature possibili dei – ½ +) o per la deterrenza della “bocciatura” come sanzione al mancato impegno o allo scarso apprendimento (anche in prima elementare!, sembra che qualche Ministro abbia preteso nel Consiglio dei Ministri che ha approvato la prima stesura del decreto). In una società incerta sul suo futuro, con valori assai “liquidi”, con nuove generazioni sempre più difficili da decifrare, la scuola “seria” è vista come un baluardo indispensabile contro il lassismo, l’approssimazione, il pressapochismo. Ma, appunto, come dovrebbe essere una valutazione utile in una scuola seria?

C’è valutazione e valutazione…

Il dibattito ha visto, da un lato, pedagogisti e insegnanti proporre una radicale revisione dei sistemi di valutazione nella scuola di base (elementare e media), fino a giungere al superamento dell’uso dei voti in decimi e della bocciatura. Dall’altro, gli opinionisti sono sembrati preoccupati che criteri pro-attivi nella valutazione fossero indice di debolezza e di “buonismo”. Va messo in evidenza che è la stessa legge 107/2015, nei criteri ispiratori della delega (comma 181, lett. i), a richiamare la funzione formativa e di orientamento della valutazione nel primo ciclo. Il voto in decimi era stato ripristinato nella legge 169/2008 dal Ministro Gelmini, come segno di rigore nella valutazione e di semplificazione comunicativa verso i genitori. Tuttavia l’effetto dei voti sull’attività didattica non è stato positivo. L’apprendimento è stato misurato quasi quotidianamente con i voti sui compiti, sulle prove, per trarre poi le sintesi valutative attraverso operazioni aritmetiche di calcolo delle medie (operazione impropria sul piano docimologico), algoritmo enfatizzato dal ricorso alle tabulazioni del registro elettronico. Ma misurare non è valutare. Un conto è raccogliere informazioni su come gli apprendimenti stanno avvenendo (con la necessità di disporre di una pluralità di strumenti: esercizi, test, prove, compiti di realtà, osservazioni, autovalutazioni, per cogliere la qualità dei processi e delle competenze in fase di maturazione), un conto è formulare un giudizio valutativo.

I criteri di valutazione

Valutare, dunque, richiede di rendere espliciti i criteri che si adottano, che possono essere basati su soglie assolute (standard predefiniti), o sul posizionamento rispetto a fasce (come fanno OCSE e INVALSI), o sul riferimento alla progressione verso traguardi personali per ogni singolo allievo (criterio adottato se si intende personalizzare l’istruzione). Un criterio pedagogicamente fondato nella scuola di base dovrebbe mettere al centro il percorso di ogni singolo alunno, però commisurato ai traguardi attesi per tutti (quelli previsti dalle Indicazioni Nazionali), per valorizzare ogni progresso e stimolarne di ulteriori. La valutazione è formativa se incoraggia il miglioramento e non se classifica o gradua gli allievi, magari incentivando una competizione superficiale tra i ragazzi e le famiglie. Si perdono il valore dell’apprendimento, la curiosità per la scoperta e la conoscenza, il valore della collaborazione, il senso di fiducia nei propri mezzi, la soddisfazione del lavoro ben fatto. Il voto sembra impoverire questo valore aggiunto e non inviare un messaggio positivo.

Abbiamo parlato soprattutto di valutazione formativa, quella che accompagna, precede, segue l’azione didattica (così si esprimono le Indicazioni). Ma dobbiamo anche comunicare i punti di arrivo (che nella scuola di base sono sempre provvisori), e dunque ci serve anche una valutazione sommativa, di bilancio, che però non può condizionare tutta l’azione didattica. I ragazzi finiscono con lo studiare per il voto, anzi per la sufficienza, e dimenticano il piacere di apprendere.

Considerazioni simili potremmo esprimere anche a proposito della bocciatura.

Bocciature, qualche dato…

La normativa vigente prevede la bocciatura in via eccezionale nella scuola primaria (Legge 517/1977), ma con l’obbligo di raggiungere la sufficienza in ogni disciplina (Legge 169/2008). Si tratta di una forzatura, certamente, che porta poi a non essere “sinceri” in sede di valutazione di fine anno. I dati più recenti ci dicono che i tassi di mancata promozione sono effettivamente ridotti al lumicino nella scuola italiana, sotto l’uno per cento nelle elementari.

Tab. 1 – Esiti degli scrutini della scuola primaria. A.s. 2015-16. Alunni non ammessi alla classe successiva. Valori in percentuale

Classe 1^ Classe 2^ Classe 3^ Classe 4^ Classe 5
Statale 0,9 0,4 0,3 0,2 0,3
Non statale 0,5 0,3 0,2 0,1 0,3
Totale 0,9 0,4 0,3 0,2 0,3
Fonte: Relazione tecnica allegata all’Atto 384 del 16-1-2017 (Schema di decreto legislativo in materia di valutazione).

Il dato relativo alla scuola media è più consistente, ma resta attorno al 3 per cento nella scuola secondaria di I grado. Ci sono però importanti differenze da regione a regione, non necessariamente lungo l’asse Nord-Sud.

Tab. 2 – Esiti degli scrutini finali. Scuola secondaria I grado. A.s. 2015-16. Valori in percentuale

Classe 1^ Classe 2^ Classe 3^
Statale 3,4 2,9 2,4
Non statale 0,7 0,8 1,0
Totale 3,3 2,8 2,4
Fonte: Relazione tecnica allegata all’Atto 384 del 16-1-2017 (Schema di decreto legislativo in materia di valutazione). Da altra fonte MIUR si apprende che il 99,8% degli ammessi ha superato l’esame di Stato conclusivo del primo ciclo.

Dunque molto rumore per nulla? Perché appassionarsi ad una questione che sembra ridursi a pochi punti in percentuale? Il fenomeno della mancata promozione è molto più consistente nella scuola secondaria di II grado, dove supera il 10% e colpisce in modi molto diversi i vari indirizzi di studio. Sembra un dato naturale e ineluttabile: gli allievi degli istituti professionali vengono fermati in misura 4 volte superiore a quelli dei licei. Può dipendere dai deboli effetti dell’orientamento scolastico (in prevalenza decidono le famiglie), ma anche dal mancato ri-orientamento in ingresso (passerelle, crediti, sistemi integrati con la formazione). Sta di fatto che i tassi di insuccesso negli istituti tecnici e professionali ne offuscano l’immagine e l’appetibilità. Ci si attende qualche novità dalla riforma dell’istruzione professionale, tra i decreti legislativi all’esame del Parlamento.

Tab. 3 – Percentuale di ammessi e non ammessi nelle scuole secondarie di II grado. A.s. 2015-16. Valori in percentuale

Ammessi Giudizio sospeso Non ammessi
Licei 76,1 19,6 4,3
Tecnici 62,9 27,3 9,8
Professionali 62,2 25,4 12,4
Totale 69,1 23,2 7,7
Fonte: Elaborazione su dati MIUR. I dati visti in una logica verticale segnalano che nelle prime classi i non ammessi sono il 12,3%, nelle seconde il 6,8%, nelle terze il 6,2%, nelle quarte il 4,4% (dati complessivi di tutti gli indirizzi). Il tasso di bocciatura aumenta in quanto circa il 10% dei giudizi sospesi resta negativo.

I tassi di non ammissione alla classe successiva sono uno degli indicatori del successo scolastico ed oggi rientrano tra i dati che ogni scuola ha a disposizione mentre compila il RAV (Rapporto di Autovalutazione). Molte scuole hanno inserito questa priorità tra gli obiettivi strategici dei Piani di Miglioramento.

Quando l’apprendimento è “fragile”

Va anche segnalato che oggi ci sono informazioni messe a disposizione da INVALSI che ci forniscono ulteriori elementi di analisi dei livelli di apprendimento degli allievi. Sono i risultati delle prove standardizzate di apprendimento cui annualmente vengono sottoposti gli allievi delle classi seconde e quinte primarie e terze secondarie di I grado in sede di esame di Stato (dal 2017-18 probabilmente durante l’anno e non nel corso dell’esame). Uno degli obiettivi delle prove è proprio quello di fornire dati affidabili per l’analisi dell’andamento degli allievi in alcune competenze fondamentali relative alla comprensione di testi scritti e alla capacità di affrontare quesiti matematici (non semplici esercizi).

Tab. 4 – Distribuzione dei risultati degli allievi del primo ciclo nelle prove standardizzate Invalsi. A.s. 2015-16. Valori in percentuale

Classe Allievi collocati al Livello I

Italiano

Allievi collocati al livello I

Matematica

2^ primaria 35 27
5^ primaria 21 21
3^ sec. di I grado 22 25
Fonte: Relazione tecnica allegata all’Atto 384 del 16-1-2017 (Schema di decreto legislativo in materia di valutazione). I dati della scuola secondaria di I grado sono riferiti all’a.s. 2014-15.

L’analisi di questi dati ci rivela che la fascia più debole degli allievi, quella che si colloca nel primo “gradino inferiore” della distribuzione dei risultati, supera il 20% e rappresenta (con una certa approssimazione) la parte più debole della popolazione scolastica, quella che avrebbe bisogno di interventi di supporto e compensativi, ben al di là della “bocciatura” (di cui abbiamo comunque visto la bassa incidenza) o di una benevola attribuzione di sufficienza (resa necessaria dal dispositivo della legge 169/2008) quando si voglia ammettere l’allievo alla classe successiva. È questo meccanismo che ora si vorrebbe modificare rimettendo la responsabilità della promozione alla valutazione “complessiva” del consiglio di classe o del team docente.

Ci sono alternative alla bocciatura?

Nella relazione allegata all’Atto n. 381, schema di decreto legislativo sulla valutazione degli allievi, si compie un esercizio “pedagogico” per segnalare ai decisori politici come si potrebbe intervenire in caso di livelli insufficienti di apprendimento. Tenendo d’occhio i conti dello Stato, perché questo oggi è uno dei parametri delle scelte politiche, l’ipotesi è di fornire ad ogni allievo collocato nella fascia 1 delle prove Invalsi, almeno 20 ore di “recupero” da affidarsi ai docenti dell’organico di potenziamento che, comunque, oggi sono a disposizione della scuola, e dunque a costo zero. Il ragionamento non fa una piega, se si vuole rassicurare un occhiuto Ministero dell’Economia, ma dovrebbe essere molto più “arioso” dal punto di vista educativo. Per far fronte alle criticità negli apprendimenti non bastano  i corsi di recupero (di cui c’è presenza strutturale nella scuola secondaria di II grado, anche in connessione con il meccanismo della sospensione del giudizio), perché la scuola dovrebbe mettere in atto molteplici strategie:

  • caratterizzare ogni classe come un ambiente di apprendimento;
  • adattare l’insegnamento alle caratteristiche degli allievi;
  • personalizzare i percorsi rivolti agli allievi;
  • offrire più tempo e interventi compensativi a chi è in difficoltà;
  • modificare l’organizzazione scolastica offrendo maggiori spazi di flessibilità per le scelte opzionali degli allievi (oggi quasi inesistenti).

Garantire pari opportunità educative agli allievi, impegnarsi per il loro successo formativo, rimuovere i condizionamenti sociali e culturali, sono scelte che richiedono interventi che vanno oltre il “rito” dei corsi di recupero o il viso arcigno della bocciatura, ma ci interrogano sulla efficacia del nostro progetto educativo e sul “senso” che dobbiamo dare ad una valutazione che assume un prevalente valore formativo.

Cosa succederà con il nuovo decreto?

Nelle prossime settimane le Camere esprimeranno il loro parere sugli otto schemi di decreti legislativi sottoposti alla loro attenzione (hanno tempo fino al 16 marzo), poi il Governo dovrà decidere come e se accogliere le modifiche ai testi che certamente saranno suggerite dal Parlamento. Il premier Gentiloni espresse a suo tempo una disponibilità ed un’apertura in tal senso. I decreti non sono blindati; più difficile però condividere le soluzioni, di fronte ad idee così contrastanti.

Si tratta di una materia di elevato valore tecnico, dunque non sembra opportuno che in una legge si arrivi fino a dettagliare i modelli di pagelle o di schede di valutazione, o la successione delle prove d’esame (le date no?). Una materia come il voto, che nel nostro Paese ha visto in 40 anni succedersi diverse formule – il voto, la scheda narrativa, le lettere alfabetiche, gli aggettivi, ancora il voto – richiede un esame più ponderato nelle opportune sedi tecniche (le scuole, la ricerca, i genitori), e non è conveniente scrivere soluzioni minute nelle leggi (questo fu fatto con la legge 169 nel 2008). Si parla di delegificare, semplificare, intervenire con leggerezza e flessibilità. Dunque sarebbe di tutta convenienza limitarsi a scrivere nel decreto che la valutazione deve rispondere a criteri di semplicità, di comunicabilità, di apprezzamento dei progressi e dei livelli di apprendimento degli allievi, di conoscenza degli aspetti critici, demandando ad un decreto ministeriale il confezionamento dei modelli operativi. Ancora meglio, ascoltando il mondo della scuola (insegnanti e genitori).

E per la bocciatura? La questione è sfuggita di mano, ha assunto un valore simbolico, ma abbiamo visto come i suoi effetti pratici siano nulli, anzi controproducenti: i veri problemi stanno altrove. Ci possono essere casi eccezionali, si dice. Bene, allora si prescriva che la boccatura nel primo ciclo (elementari e medie) è prevista solo in via eccezionale, previo parere conforme dell’intero consiglio di classe o del team docente. E si indichino anche le alternative possibili, i percorsi di supporto e di recupero per quegli allievi che più hanno bisogno di una scuola “amica”.