L’istruzione professionale: banco di prova dell’alternanza

Il professionale, una scuola “cerniera”

Con il recente D.Lgs. 61/2017, gli istituti professionali cambiano pelle. Una riforma tanto attesa quanto necessaria che, in alcuni passaggi, avrebbe potuto essere più coraggiosa e risolutiva. Non per questo essa manca di mordente e di novità interessanti. In particolare, si nota la rafforzata funzione dell’alternanza scuola-lavoro, intesa esplicitamente come metodologia che favorisce la costruzione di competenze generali e di settore, ma anche idea forte che ispira e sorregge l’intero impianto.

I percorsi di istruzione professionale, infatti, sono destinati a svolgere una “funzione di cerniera” tra i sistemi di istruzione, formazione e lavoro, e in tale finalità istituzionale potrà essere rinvenuta una delle loro specificità che, negli ultimi decenni, ha patito molteplici affanni. Non ultime, la sovrapposizione di alcuni indirizzi con quelli degli istituti tecnici, la perdita progressiva di identità, causa la frammentazione e la eccessiva presenza di opzioni e curvature (specie nell’articolazione Industria), la scarsa coerenza dei percorsi, anche in termini di curricolo obbligatorio, difficilmente modificabile senza rischiare di stravolgerlo.  

L’alternanza per far incontrare saperi e vita reale

Ponendosi ambiziosamente come scuola che vuole diventare un poderoso raccordo istituzionale, per riconnettere i saperi insegnati in contesto formale con quelli sottesi alla tecnologia, all’erogazione di servizi, alla tutela dei prodotti e delle tradizioni del Made in Italy, la nuova istruzione professionale deve necessariamente dotarsi di un altrettanto vigoroso modello di alternanza scuola-lavoro, che superi e rimodelli le esperienze poco convincenti e rafforzi le buone e significative pratiche che, fortunatamente, non sono del tutto mancate.

L’alternanza scuola-lavoro ribalta il modello di sviluppo della persona fondato esclusivamente sulle conoscenze, superando la logica della scuola come unico luogo significativo dell’apprendimento formale e affidando, in maniera importante sul piano quantitativo e qualitativo, una notevole parte di apprendimenti e di costruzione delle competenze all’area dell’impresa e, quindi, alla vita reale nella società civile.

In queste ultime dimensioni i discenti devono mettere in campo tutte le proprie qualità per raggiungere i risultati concreti che, specialmente nelle aziende, occorrerebbe assicurare come rendimento lavorativo se si lavorasse realmente; peraltro, nel caso della vita reale, tali qualità sorreggono anche l’esercizio della cittadinanza attiva. Questa funzione complessa che mobilita tutte le risorse, in termini di conoscenze, abilità e attitudini personali, per risolvere compiti, problemi oppure specifiche richieste del contesto in cui si opera, è generalmente definita competenza.

La “vera” scuola delle competenze

Così intesa, la nozione di competenza si colloca come processo di acquisizione continuo che si sedimenta nella persona in risposta a sempre nuove e mutevoli richieste dell’ambito sociale e operativo. La riforma dei nuovi professionali, nell’intendere correttamente la competenza come caratteristica peculiare della persona, adotta modelli organizzativi ed assetti didattici che mirano alla personalizzazione dell’apprendimento, puntando verso l’indispensabile connessione tra i saperi della scuola, delle persone che la frequentano e dei variegati contesti nei quali operano.

La personalizzazione dell’apprendimento, che nel biennio può avvalersi di una quota curricolare fino al 12,5% (264 h), vira, a livello didattico, verso un modello di istruzione professionale che, data la multiforme e cangiante realtà produttiva, tecnologica, commerciale, creativa e multimediale, non può fare a meno di valorizzare ulteriormente il discente e la sua unica ed irripetibile dotazione di idee, conoscenze, abilità ed attitudini. Gli istituti professionali  “apparato”, nei quali erano quasi relegate intere schiere di giovani, più intenti al sapere da cogliere e sedimentare attraverso “il fare e le mani” e per questo considerati quasi una sorta di “truppa minore” nel sistema scolastico italiano, tentano oggi un rilancio possibile che, dirigendo quasi esclusivamente sulla costruzione delle competenze dei giovani, non può fare a meno di tenere in costante connessione i modelli di apprendimento formali con quelli da sempre testati e sperimentati nelle realtà lavorative e sociali.

Superare le criticità dell’alternanza

Le problematiche per affermare un diverso modello di apprendimento sono state già ampiamente collaudate nelle prime due annualità di applicazione della L. 107/15, che hanno consentito un primo approccio all’alternanza nei licei (200 h) ed un rafforzamento (400 h) negli istituti tecnici oltreché nei professionali dell’ordinamento vigente.

Per favorire il rilancio e, si spera, la rinascita dei nuovi istituti professionali, anche mediante l’utilizzo robusto, a partire dalla seconda classe del biennio, della metodologia dell’alternanza scuola-lavoro (ASL), è però indispensabile tenere presenti alcune criticità che vanno affrontate e risolte in fretta ed efficacemente:

  • evitare di affidarsi a “professionisti” dell’alternanza. Molte agenzie, velocemente riconvertite, offrono, a titolo oneroso, percorsi “posticci” di ASL realizzati “a pacchetto”, talvolta presso le stesse scuole che li commissionano, senza che gli studenti mettano piede in un’azienda;
  • alcune scuole faticano a intessere reti ed alleanze sui territori per i più svariati motivi: mancano aziende disponibili oppure esse non hanno interesse a realizzare convenzioni di ASL; esistono aziende che reclamano un corrispettivo economico alle loro “prestazioni”, in termini di pagamento orario al tutor aziendale; ci sono aziende dove traspare una disponibilità ad ospitare percorsi di ASL che suppone erroneamente l’utilizzo di manodopera a costo zero benché non qualificata;
  • gli Enti e le Associazioni non sempre condividono l’idea di doversi riconnettere con la scuola, vanificando così il mandato costituzionale che impegna l’intera società civile alla crescita ed allo sviluppo della nazione. 

Un sostegno alle aziende accoglienti

L’alternanza scuola-lavoro, pur restando una metodologia didattica di efficacia indiscussa, beneficerebbe enormemente di un sistema di incentivi alle aziende ospitanti che mettono a disposizione il loro know-how, sottoscrivendo la Convenzione con la scuola proponente ed il Patto Formativo con i singoli studenti.

Quanto finora fatto in questa direzione è stato molto poco, e non sempre ha risposto ai bisogni delle scuole e delle imprese. Il rischio di penalizzare ancora una volta gli studenti delle aree depresse, dove le aziende sono poche e messe male, rimane più che reale.

Occorre, quindi, sostenere gli imprenditori che si attivano per dare risposte adeguate e convincenti ai bisogni di apprendimento dei giovani sorreggendo, soprattutto, gli istituti professionali, che finora sono l’anello debole dell’istruzione secondaria di II grado.