Professionalità docente e formazione: quali standard?

Dimensioni della professionalità e standard

Sono cinque – cultura, didattica, organizzazione, istituzione/comunità, cura della propria professionalità – le dimensioni della professionalità docente nella rilettura che ne fa il documento del Miur “Sviluppo professionale e qualità della formazione in servizio”, pubblicato sul sito del Ministero il 16 aprile. E sono dodici gli standard che  definiscono e  descrivono  le “competenze attese”. Quello, insomma, che deve sapere e saper fare ogni insegnante, qualsiasi sia il contesto in cui opera. Non è, volutamente, un testo esauriente. Anche se l’impianto è convincente e i contenuti si fondano su solide  elaborazioni svolte in Italia e in altri paesi, mancano ancora le declinazioni per tipologia di scuola, età degli allievi (dai 3 anni ai 19 le differenze sono tante, anche in termini di “insegnabilità” dei saperi), aree disciplinari, profili, funzioni  e numerose altre specificazioni tutt’altro che secondarie.

Un documento in progress, da mettere alla prova

Mancano ancora, nel documento, i descrittori di possibili evoluzioni o graduazioni degli standard, che pure bisognerebbe  prima o poi arrivare a definire. Se le competenze attese sono quelle che si devono possedere (e dimostrare) “in ingresso”, è poi con l’esperienza, la formazione, la ricerca educativa e didattica, le responsabilità e i ruoli che  si possono assumere via via nella scuola, che anche gli insegnanti, come altre figure professionali, crescono in padronanza, autonomia, creatività, capacità di accompagnare, supportare (e formare) il lavoro di altri.

Ciò che manca, del resto, si spiega con l’intenzione stessa del documento, che si propone come testo-base di una riflessione approfondita, anzi di una vera e propria sperimentazione “sul campo”. Infatti si dovranno:

  • verificare l’appropriatezza delle definizioni e dei descrittori, in sé e rispetto ai diversi contesti educativi;
  • costruire strumenti per osservare/accompagnare/documentare le caratteristiche e le modalità d’uso delle competenze professionali;
  • ipotizzare forme di certificazione/riconoscimento delle competenze acquisite nell’esperienza didattica, organizzativa, formativa.

Ricostruire l’identità professionale del docente

Siamo, dunque, in presenza di una proposta aperta, che avvia un processo di ricostruzione, prima di tutto soggettiva, dell’identità professionale. Ce n’è bisogno, dentro la scuola e fuori. Ma si riuscirà ad avviarlo con l’urgenza, l’impegno, l’intelligenza  che merita? Si saprà sostenerlo in modo propositivo e costruttivo? Si sarà abbastanza lungimiranti e pazienti (nell’amministrazione scolastica, e più in generale nel vasto mondo che si occupa di educazione) da affidarne l’esito innanzitutto ad una verifica puntuale e nei contesti  concreti, dalla scuola dell’infanzia alla secondaria superiore ?

Che oggi sia indispensabile una ridefinizione della professionalità docente non dovrebbe essere in discussione. Le definizioni al momento disponibili, dal CCNL ai testi normativi e regolamentari, non danno conto della complessità, delle responsabilità, delle trasformazioni del lavoro docente a fronte di uno scenario in evoluzione.

Un profilo che riconosca i cambiamenti già in atto

Questo silenzio contribuisce, di fatto, al permanere di un’immagine opaca e stereotipata, quando non avvolta da pregiudizi, che ostacola ogni prospettiva di rivalorizzazione sociale ed economica della professione, ogni possibilità di riconoscimento formale delle competenze acquisite con l’esperienza, la formazione, i ruoli assunti, ogni strategia volta a costruire carriere basate non sulla sola anzianità di servizio.  Non si tratta, dunque, di opzioni politiche o di astratti quadri teorici, ma piuttosto della presa d’atto, per di più assai tardiva, della necessità di adeguare le definizioni formali ad innovazioni già introdotte, a processi già in corso, a trasformazioni già evidenti. Il documento si riferisce ai campi delle competenze culturali di base e trasversali, dei bisogni nuovi della popolazione scolastica, delle innovazioni ordinamentali.

Domande impegnative, ma necessarie, per valorizzare la professionalità

Non a caso il documento  trae origine dalla ridefinizione  della formazione continua come “permanente, strutturale, obbligatoria”, dal piano nazionale di formazione, dalla revisione della formazione iniziale e del reclutamento. Dove si possono ancorare le  attività formative, se non sono esplicitate, e ben descritte in tutti i loro elementi costitutivi, le competenze “attese” necessarie a ogni insegnante, dovunque  e in qualunque campo disciplinare operi? Come è possibile, se gli insegnanti non hanno riferimenti sicuri per sapere con certezza di che cosa hanno bisogno per lavorare meglio, disporre di una domanda di formazione consapevole e ritagliare su questa (e non, come spesso succede, su ipotesi non verificate) l’attività formativa? E ancora: come si può rendere attrattiva, convinta, continuativa, universale,  quella “cura della propria professionalità” – una delle cinque dimensioni del profilo – se non ci si attrezza culturalmente e tecnicamente per riconoscerla, certificarla, valorizzarla (non solo in termini quantitativi, ma per l’impatto concreto che può avere sulla qualità professionale e sui risultati)? L’obbligatorietà  può fin troppo facilmente tradursi in adempimento, un rischio notoriamente sempre presente.

Un approccio proattivo agli standard

Qualche perplessità, in verità, può suscitarla l’uso del termine “standard”, in cui c’è chi vede l’intenzione o il rischio di omologazione e di appiattimento professionale. Se ne potrebbero forse trovare di più appropriati o di meno esposti al fraintendimento. Ma in ogni suo argomento il documento si schiera da tutt’altra parte, assumendo esplicitamente un approccio proattivo. Gli standard sono punto di riferimento per una formazione iniziale e continua, capace di sviluppare tutte le competenze costitutive del profilo, per l’autovalutazione degli insegnanti, per sollecitare processi di miglioramento. Sono riferimenti necessari per lo sviluppo professionale, come è nel titolo del documento, di cui fa sempre parte l’acquisizione di stili didattici personali, originali, creativi. Non sono certo questi i problemi più importanti di cui preoccuparsi.