Studenti, insegnanti, genitori: se si rompe il patto

Oltre la cronaca nera

Le cronache raccontano quasi ogni giorno episodi di violenza scolastica. Da studenti a docenti, da genitori a docenti. La scuola si sente sotto assedio. Mai come in questo periodo la questione dei rapporti tra scuola e famiglia assume contorni inquietanti e gli opinionisti si alternano nell’analisi di un problema che certamente viene da lontano e, forse, solo in questo tempo approda ad esiti allarmanti.

Prendere in esame il singolo episodio serve a poco. Si tratta comunque di confini violati e di relazioni educative adulterate, che negli episodi di cronaca trovano la loro punta dell’iceberg. In realtà andrebbe preso in considerazione tutto il complesso delle variabili che gravitano attorno al problema scuola, considerando l’istituzione scolastica come un sottosistema dell’istituzione tout court.

Clienti o cittadini?

Fino a cinquant’anni fa l’istituzione non era tenuta a “dialogare” con la famiglia. Poi abbiamo assistito a due passaggi epocali. Negli anni Settanta del secolo scorso la democrazia entrò nella scuola, e con la democrazia si introdusse una nuova visione dei rapporti tra insegnanti e genitori. I genitori sono diventati membri dei Consigli di Istituto e dei Consigli di Classe, e per la verità non pare che da questa presenza i processi educativi abbiano tratto chissà quale giovamento, e non solo per responsabilità dei genitori. Negli anni Novanta una più forte enfasi sulla trasparenza dei servizi ed una certa concezione della scuola quale ente erogatore di servizi volti alla soddisfazione del “cliente” ha accentuato l’attitudine valutativa delle famiglie nei riguardi dell’istituzione scolastica.

Adolescenti e insegnanti: immagini positive da ricostruire

Ma non c’è solo questo. A questo si devono aggiungere due fattori che, agendo in modo congiunto, vanno a collocarsi nel quadro sopra delineato.

Il primo riguarda le famiglie. Lo studioso Gustavo Pietropolli Charmet, in un fortunato saggio (“Fragile e spavaldo. Ritratto dell’adolescente di oggi”), ha spiegato la transizione dei nostri ragazzi da Edipo a Narciso. Dalla trasgressione alla seduzione. Sembra che i genitori vivano un perenne senso di colpa che li induce ad evitare qualsiasi frustrazione ai figli. Lo stesso conflitto domestico sembra cedere il passo alla trattativa, e probabilmente uno degli elementi portanti della trattativa è la difesa del figlio dal potenziale minaccioso della scuola. Da qui la famosa immagine del genitore-avvocato. Contestualmente – ed è il secondo fattore –  l’immagine dei docenti ha perso sempre più terreno. Le politiche scolastiche degli ultimi vent’anni hanno accentuato il discredito del corpo docente, sottopagato e sottoposto all’accusa di fannullonismo che non raramente circola nelle discussioni salottiere sui famosi, quanto inesistenti, “tre mesi di vacanze”.

Scuola e famiglia: un dialogo istituzionale

Ma la questione del rapporto tra scuola e famiglia è anche emblema del rapporto tra cittadini e istituzioni. Agli occhi delle persone la scuola è ancora un’istituzione, e lo sguardo rivolto all’istituzione scuola non può non risentire dello sguardo rivolto ad ogni altra istituzione. Quale rapporto hanno i cittadini italiani con le loro istituzioni? E cosa fanno le istituzioni perché questo rapporto sia improntato a rispetto e fiducia? Se un insegnante fa un rimprovero, quale valore ha questo rimprovero per ragazzini che in casa respirano quotidianamente la radicale sfiducia nelle istituzioni? Nessun valore, palesemente.  È soltanto un disvalore, un oltraggio da portare a casa come una vessazione indebita. Che scatena le ire di genitori per i quali tutto quel che ha sapore di istituzione fa venire il voltastomaco.

Quel che accade nel nostro tempo, pertanto, non è privo di spiegazioni. Paradossalmente non sorprende più di tanto. È il portato di un’evoluzione storica e sociale che riguarda la scuola non più della sanità o di altri settori della presenza pubblica nel tessuto sociale. È il concetto stesso di “pubblico ufficiale” che sembra ormai opacizzarsi di fronte alla rivendicazione del diritto di avere quel che si desidera. Le istituzioni non esistono più nell’immaginario sociale. Esiste soltanto la giungla degli interessi individuali, non importa se sostenuti con le botte o con gli avvocati.

Ognuno deve fare la “sua parte”

Per questo la ricerca dei “colpevoli” non porta lontano. Comprendere chi sia il colpevole quando un genitore aggredisce il docente, o quando lo studente mortifica il docente, è facilissimo. Basta denunciare e sanzionare. Il punto è che per risalire la china occorre allargare il campo e tentare di rimuovere gradualmente le ragioni profonde della deriva. E per far questo occorre chiamare in causa tutti gli attori del sistema, evitando al contempo di rubricare alcuno quale vittima innocente.

I decisori politici non possono deplorare gli eventi criminosi e gestire la scuola in base agli umori delle famiglie. Scontiamo anni di politica scolastica populista, centrata più sul gradimento dell’opinione pubblica (vedi la triste vicenda del voto nel primo ciclo) che sul coinvolgimento degli operatori del settore.

Le famiglie non possono pensare che i figli possano crescere al riparo di qualsiasi frustrazione. Se la scuola dovesse essere fonte di frustrazione, l’unica via percorribile resta quella del dialogo. Che serve per comprendere quel che succede attingendo da tutte le campane coinvolte. Senza pregiudiziali.

Sui docenti, in questa fase, sembra politicamente corretto non dire nulla, perché i media li hanno eletti a vittime sacrificali e non c’è chi non sia disposto a spendere una parola di solidarietà per loro. Ma per quanto impopolare possa sembrare, va detto che anche i docenti possono fare la loro parte. Che qui appare più ampia non perché essi abbiano le responsabilità maggiori, ma perché si ritiene che abbiano, tra tutti gli attori, più ampio spessore culturale e pedagogico e più capacità di sguardo sul problema.

Il compito educativo degli insegnanti

Gli insegnanti devono ricordare che proprio lo scalpore suscitato dagli episodi di queste settimane ne segnala l’eccezionalità e, paradossalmente, l’incapacità di demolire la tenuta istituzionale che le nostre scuole riescono ancora ad esprimere. I docenti aggrediti, per quanto strano e beffardo possa sembrare, sono stati ritenuti rappresentanti di un’istituzione che si chiama “scuola”, e che appare ancora capace di parlare di regole e di farle rispettare. E quindi di rischiare. Quindi no al vittimismo che non aiuta nessuno. Ma anche il loro linguaggio e le loro prassi valutative possono evolvere in positivo. Non per evitare del tutto la punta dell’iceberg, che probabilmente ci sarebbe comunque (e magari nel passato non è stata enfatizzata come avviene in questi giorni), ma per fare una buona manutenzione dell’iceberg stesso. A fronte di genitori e studenti che si rendono protagonisti di violenze e intemperanze, va infatti riconosciuta la presenza silenziosa e rispettosa di tantissimi genitori che cercano di collaborare e di capirci di più di quel che succede a scuola. Fa sempre più notizia un aereo che cade rispetto ai tanti che arrivano a destinazione. Sarebbe ingeneroso non riconoscerlo.