Dopo il contratto: e se la formazione fosse prima di tutto un diritto?

Le aspettative contrattuali

L’ipotesi contrattuale tanto attesa e da poco siglata sembra sferrare un colpo di spugna al comma 124 dell’art. 1 della legge 107/2015 che, superando le incertezze espressive, aveva coraggiosamente imboccato la strada inequivocabile della formazione in servizio “obbligatoria, permanente e strutturale”. Non c’è traccia di obbligatorietà nel testo firmato il 19 aprile. Non c’è traccia della parola “formazione”. Tanto è bastato per porre in quarantena proposte in cantiere, o rimandare sine die l’attuazione di delibere collegiali che, interpretando al meglio il diritto-dovere alla formazione dei docenti, erano riuscite ad imboccare la strada della crescita professionale comunitaria.

Sembra.

Ciò che sembra, non sempre è

Una lettura attenta e coscienziosa non può limitarsi a evidenziare “ciò che non è scritto”. Più utile e costruttiva è una lettura in controluce dei dispositivi normativi che, presentati asciutti e freddi, finiscono per far perdere valenza al sostrato pedagogico e culturale che non può non essere presente in tutto ciò che regolamenta il mondo della scuola, e il profilo professionale di chi dà forza e gambe al servizio. Senza dimenticare altresì che la gerarchia delle fonti normative pone il contratto collettivo, per di più ancora nello stato ipotetico, in una condizione di subordinazione tale da non poter comunque derogare alla legge primaria.

Proviamo ad umanizzare la norma

Se “la scuola è una comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale” (art. 24, comma 1 dell’ipotesi contrattuale) , allora non può che essere un ambiente relazionale attivo, in divenire, che scruta il contesto sociale di riferimento e si interroga su possibili ipotesi progettuali funzionali alla realizzazione di un progetto-scuola significativo, che pone finalità a lungo termine e obiettivi fattibili per fare di ogni contesto scolastico un centro di aggregazione e di crescita culturale, per proiettare il microcosmo-educativo nel macro-cosmo sociale; che ripensa al proprio operato per porre correttivi a scelte metodologiche anacronistiche che non riescono a “tenere dentro” tutti; che sperimenta e documenta buone pratiche da mettere a disposizione; che pone la progettazione educativa e didattica… al centro dell’azione della comunità educante (art. 24, comma 3).

La comunità educante protagonista

La progettazione educativa e didattica, che è al centro dell’azione della comunità educante, è definita con il piano triennale dell’offerta formativa, elaborato dal Collegio dei docenti (art. 24, comma 3). È esplicito il richiamo all’ articolo 3, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, e quindi al Regolamento di attuazione dell’autonomia scolastica, che sottolinea in più commi il protagonismo del collegio dei docenti, la professionalità di docenti “ricercatori” che sperimentano modelli di insegnamento-apprendimento significativi tenendo conto delle peculiarità del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali, e curano tra l’altro la formazione e l’aggiornamento culturale e professionale … (art. 6, comma 1 lett. b, dpr. 275/1999).

Il docente professionista

È un richiamo incisivo alla scuola come sistema integrato che deve far leva sull’utilizzo integrale delle professionalità in servizio (art. 24, comma 3 del contratto) , ossia su quei docenti che per essere tali (professionali) non possono adagiarsi alla logica impiegatizia dell’orario di servizio tout-court, forti di un concorso vinto in un tempo che fu e che è già tramontato perché in divenire, ma sono sollecitati a rincorrere le interferenze comunicative per dominarle, a conoscere i fenomeni sociologici che vedono protagonisti adolescenti “fluidi” per guidare gli studenti verso l’acquisizione di coordinate cognitive intelligenti, che devono intercettare e sollecitare motivazioni più o meno esplicite per indirizzarle verso slanci emozionali che producano conoscenza e competenza insieme.

È la logica della scuola-sistema, che delinea una propria identità valoriale e assume impegni con interlocutori attivi e passivi del progetto educativo, che mette in campo risorse umane e materiali che concorrono alla realizzazione del piano triennale dell’offerta formativa tramite attività individuali e collegiali: di insegnamento; di potenziamento; di sostegno; di progettazione; di ricerca; di coordinamento didattico e organizzativo (art. 26, comma 1).

Dare forma alle conoscenze

A delineare in modo inequivocabile il dna del docente-professionista della scuola di oggi è l’art. 27 dell’ipotesi contrattuale, che sembra porre il “cappello” sul profilo professionale dei docenti, costituito da competenze disciplinari, informatiche, linguistiche, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali, di orientamento e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano col maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio e di sistematizzazione della pratica didattica.

Studio, ricerca, organizzazione cognitiva, documentazione: attività coinvolgenti funzionali a sedimentare competenze trasversali, che presuppongono conoscenze consolidate da declinare in metodologie didattiche innovative, che sappiano sollecitare curiositas e meraviglia negli studenti; stimolo alla crescita della persona, che attraverso tali attività “dà forma” a ciò che sa (fa formazione) e adegua le conoscenze acquisite alle esigenze contingenti (si aggiorna).

La formazione in servizio come diritto

Espressioni come “formazione” e “aggiornamento”, percepite come ostiche se evocative di impegni aggiuntivi, di imposizioni datoriali, di vincolo contrattuale, andrebbero riscoperte sotto una luce nuova e reinterpretate in chiave di diritto professionalizzante (con risorse economiche adeguate, tempi distesi da programmare, prospettive di riconoscimento qualificante).

Questa scelta, culturale e professionale in primo luogo, potrebbe servire a dare linfa nuova alla considerazione di sé che ogni docente dovrebbe riscoprire in se stesso, prima ancora che ricercare in un qualunque comma che è sempre frutto di equilibrismi politici e finanziari.

Non si tratta di riproporre l’espressione ambivalente del diritto-dovere, che, per quanto completa nel contemperare l’equilibrio tra essere e dover essere, ha lasciato aperto il dibattito rimandando al personale impegno più morale che professionale. Si tratta piuttosto di andare dritto al cuore e alla mente di chi ogni giorno, nel prendersi cura, con il cuore e con la mente, del variegato mondo degli studenti, “lascerà il segno” attraverso quell’arte nobile che è in-segnare.