Alunni disabili e inclusione efficace

Le preoccupazioni della Corte dei Conti

Alla fine del mese di luglio, la Corte dei Conti[1] ha pubblicato la Relazione su “Gli interventi per la didattica a favore degli alunni con disabilità e bisogni educativi speciali”[2] relativi al quinquennio 2012-2017 con alcune considerazioni anche sull’anno scolastico 2017/2018.

Il quadro che emerge dalla Relazione della Corte è preoccupante. Molto negativo viene considerato soprattutto il rapporto tra le risorse impiegate e i risultati ottenuti in relazione all’inclusione scolastica. La Relazione individua i punti di maggiore criticità e li connette soprattutto al mancato coordinamento sia interno all’amministrazione scolastica, tra gli uffici centrali e periferici che dovrebbero sostenere il lavoro delle scuole, sia esterno, nel raccordo tra i soggetti che ruotano intorno al progetto di vita per il futuro cittadino con disabilità. In estrema sintesi emerge un sistema disorganizzato che spreca risorse.

Oltre il concetto di gravità: un diverso sistema di riconoscimento della disabilità

Il Decreto Legislativo n. 66/2017 che, su delega della Legge 107/2015, si occupa in particolare dell’inclusione scolastica dei minori con disabilità, prova a dare risposte a tale inefficacia intervenendo sulla governance del sistema e soprattutto sullo stesso concetto che coniuga disabilità e inclusione. Infatti il punto da cui si sviluppa il decreto è emblematico del nuovo approccio: la separazione tra l’accertamento della disabilità[3] e la elaborazione del Profilo di funzionamento secondo i criteri del modello ICF (Classificazione Internazionale della disabilità e della salute) da parte dell’Unità Multidisciplinare. Questo è un passaggio fondamentale, perché viene assunta a norma di legge un’indicazione dell’OMS e si definisce che non è la gravità della disabilità in sé a determinare le modalità, gli strumenti e le risorse per l’inclusione. Infatti l’approccio bio-psico-sociale consente di “vedere” il bambino e il ragazzo con le sue difficoltà ma soprattutto con le sue potenzialità e di pensare all’ambiente come a un facilitatore che possa mettere in relazione le caratteristiche del contesto e del soggetto, per dare informazioni e indicazioni, a partire dalle possibili soluzioni, per favorire lo sviluppo delle abilità residue in esperienze reali.

Come quantificare e assegnare le ore di sostegno

Questo approccio porta a riconsiderare in modo meno meccanico il nesso che attualmente esiste tra la gravità della disabilità e le ore di sostegno. Un ragazzo disabile in carrozzina ma che non ha problemi cognitivi, ha sicuramente una disabilità grave ma i suoi bisogni non sono di sostegno didatticoSaranno invece di adeguamento degli spazi fisici, di assistenza in alcuni momenti di cura, di adattamento di alcuni strumenti, di utilizzo di sussidi. È una scelta che può consentire una distribuzione più coerente dei docenti di sostegno in relazione alle esigenze educative e di istruzione. Esigenze che non sono uguali a parità di gravità della disabilità e sono differenti anche nei diversi momenti di crescita e di sviluppo.

Non basta l’approccio medico-legale

Con gli stessi criteri dovrebbero essere affrontate le notevoli differenze che esistono tra le modalità utilizzate dalle ASL dei diversi territori per certificare le stesse disabilità. Con il risultato che l’aumento esponenziale delle risorse non produce un parallelo aumento dei risultati in termini di inclusività e di garanzia reale e non formale dei diritti di cittadinanza, oltre a essere iniquo sia per il singolo studente che per la collettività.

La via individuata risponde all’osservazione della Corte dei Conti quando evidenzia che “La presenza di un legame tra disabilità e accertamento medico-legale non è in linea con quello espresso dalla Convenzione Onu e la certificazione del deficit continua ad essere un’attestazione di natura medica”. Per realizzare questa parte del decreto è però necessario che il Ministero della Salute emani al più presto le Linee Guida con i criteri, i contenuti e le modalità di redazione del Profilo di funzionamento secondo la classificazione ICF, oltre a quelle per la redazione della certificazione di disabilità secondo ICD[4] definiti dall’OMS.

Il coordinamento tra i diversi interventi

La Corte evidenzia la mancata sinergia tra i soggetti coinvolti: “La coesistenza sul tema di scuola, enti locali e servizi sanitari ha mostrato la farraginosità dell’impianto, la genericità delle intese e un’estrema frammentarietà degli interventi”. Anche su questo tema si trovano risposte nel Decreto Legislativo n.66/2017. Vengono infatti riconsiderate, in una logica sistemica, le indicazioni contenute in precedenti norme, in particolare nella L. 328/2000. Si ribadisce che il profilo di funzionamento elaborato dall’Unità multidisciplinare, a cui partecipa, oltre alla famiglia, anche un rappresentante dell’istituzione scolastica, è il punto di partenza per la costruzione del Progetto Individuale presso l’Ente Locale e per la definizione del PEI. Si riafferma quindi che il Progetto Educativo Individuale non può essere predisposto se non all’interno di una visione complessiva che considera il soggetto con disabilità in modo integrale. Il PEI è una parte integrante del Progetto individuale perché, appunto, si possano coordinare gli interventi in una logica unitaria, evitando sovrapposizioni, contraddizioni, mancanze tra le attività della scuola, le terapie, l’assistenza educativa a casa, i trasporti.

Dal profilo di funzionamento al progetto individuale (poi il PEI)

L’obiettivo è una progettazione che connetta gli interventi in modo sinergico e li renda più fruttuosi perché decisi e costruiti insieme da tutti gli attori che lavorano sul caso. Su questo, in fase di stesura e di discussione della delega, si era pensato di riprendere un’altra intuizione della L. 328/2000, quella del Punto Unico di Accesso (PUA). In questo caso il PUAD (Punto Unico di Accesso per la Disabilità), sarebbe stato il luogo per coordinare le azioni dei diversi soggetti[5]. Proposta bocciata sia per la necessità di prevedere specifiche coperture, ma soprattutto per un evidente problema di eccesso di delega. Infatti la decretazione delegata avrebbe coinvolto competenze molto diversificate, sia a livello di ministeri, che di Conferenza Unificata, oltre che direttamente prerogative sia delle Regioni che degli enti locali stessi.

Il Piano d’Inclusione: una progettazione strategica

Ma se non è stato possibile intervenire direttamente sul piano organizzativo, un uso virtuoso delle risorse e non per compartimenti che non dialogano tra loro, è stato in parte precisato nel nuovo disegno della governance, in particolare nei gruppi di lavoro che si occupano di progettare e realizzare il Piano d’Inclusione. Innanzitutto il Piano di Inclusione è inserito nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa ed è il luogo nel quale vengono definite le azioni che il PTOF stesso prefigura. È elaborato dal Gruppo di Lavoro per l’Inclusione della scuola, composto dai rappresentanti dei docenti e dei genitori (anche degli studenti nelle scuole secondarie di secondo grado) e presieduto dal dirigente scolastico. È in quest’ambito che vengono definite anche le modalità di utilizzo delle risorse, non solo quelle interne alla scuola. Ed è ancora il Piano per l’Inclusione che diviene lo strumento per la richiesta delle risorse per il sostegno al Gruppo per l’Inclusione Territoriale (GIT). Anche questa è una risposta alla dispersione delle risorse e soprattutto alle iniquità che spesso esistono anche tra scuole dello stesso territorio, ma con supporti diversi da parte di enti locali con politiche differenti.

Competenze che si integrano: una nuova idea di contitolarità

La mancata continuità è affrontata all’art. 14 del D.lgs. 66/2017, laddove si ribadisce che sono il progetto stesso della scuola e tutti coloro che vi operano ad essere responsabili dei processi attivati, attraverso la continuità delle azioni e non solo con la presenza dello stesso docente di sostegno. Si interviene in particolare su due punti:

– sui docenti a tempo determinato, ai quali è possibile proporre una proroga del contratto, per evitare i caroselli che spesso avvengono a inizio anno scolastico per i ritardi negli aggiornamenti delle graduatorie[6],

– coinvolgendo l’intero organico: infatti i commi 5 e 79 dell’art. 1 della Legge 107/15 consentono al dirigente scolastico di proporre ai docenti che appartengono all’organico dell’autonomia e sono specializzati sul sostegno, anche se sono assegnati su posto comune, di essere assegnati anche su ore di sostegno. Questa scelta consentirebbe di evitare di utilizzare personale senza titolo sul sostegno e dare ancora più senso all’idea che l’inclusione non è una questione che possa essere delegata al docente di sostegno.

Decidere sulla base di dati affidabili

La mancanza di informazioni ispirate all’evidenza statistica dei dati, perché senza dati attendibili e da analizzare diventa difficile la pianificazione delle risorse per l’integrazione a livello centrale, è “un’incapacità previsionale dell’amministrazione”. Anche in questo caso vi è stata un’inversione di tendenza con il DM 162/2016 che ha istituito un’Anagrafe specifico per la raccolta dei dati relativi alla disabilità. Di fatto non ha ancora prodotto risultati in quanto le scuole hanno tempo fino a dicembre 2018 per popolare il database.

Certamente le soluzioni delle problematiche evidenziate dalla Relazione della Corte dei Conti non sono risolvibili dal solo Decreto Legislativo 66/2017, ma certamente la sua attuazione va nella direzione che la Corte stessa ha indicato, per rispondere alle richieste dei bambini e dei ragazzi con disabilità e delle loro famiglie.

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[1] Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato – Deliberazione 16 luglio 2018 – Relatore Cons. Leonardo Venturini

[2] http://www.cortecoin monti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/sez_centrale_controllo_amm_stato/2018/delibera_13_2018.pdf

[3] Effettuato da una commissione che, oltre al medico legale, prevede tra i suoi componenti due medici specialisti, scelti tra un pediatra, un neuropsichiatra infantile o uno specializzato nella patologia del soggetto in età evolutiva (art. 5 – comma 2 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66

[4] Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati

[5] È stata anche ipotizzata la concretizzazione dell’idea del case manager

[6] Per rendere attuativo il comma 3 dell’art. 14 del decreto legislativo è necessaria una modifica del Regolamento delle supplenze (DM 131/2007). Il DM è stato inviato al CSPI per il parere che si è espresso nel settembre 2017 in modo fortemente critico