Cultura della prevenzione = educazione consapevole

La prevenzione chiede un’educazione consapevole

Ogni rilettura della definizione di prevenzione contenuta nel d.lgs. 81/2008 (art. 3, lett. n) evidenzia la difficoltà di racchiudere in pochi termini concetti densi e obiettivi non facilmente raggiungibili. «Prevenzione»: il complesso delle disposizioni o misure necessarie, anche secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali, nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno.

In essa è implicito il riferimento alla definizione di formazione (lett. aa) del medesimo art. 3), espressa in termini di grande interesse (cfr. processo educativo, conoscenze, competenze) per il mondo scolastico. «Formazione»: processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori, ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale, conoscenze e procedure utili all’acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda, e all’identificazione, riduzione e gestione dei rischi.

Fare prevenzione a tutto campo

La lettura estiva di due riviste mi ha spinto a condividere i contenuti di altrettanti articoli con i lettori di Scuola7. Essi fanno riferimento ad un processo educativo consapevole e molto impegnativo su tematiche di grande attualità: il rispetto dell’integrità dell’ambiente esterno, fisico e umano.

Si può obiettare: siamo alle solite, si scarica sulla scuola ogni sorta di problema sociale che si presenta nella complessa realtà esistenziale degli studenti! Ma d’altro canto la didattica delle singole discipline può essere asettica di fronte alla realtà dei giovani in formazione? E se non lo fa la scuola… con l’indispensabile intesa con le famiglie…? Resto fermo nel convincimento che lo specifico della scuola sia la formazione alla cultura della sicurezza e della prevenzione, attuato in un ambiente garantito sicuro da altre competenze.

A lezione di sentimenti

L’articolo de L’Espresso[1] segnala un’iniziativa avviata nel prossimo anno scolastico in ordine alla prevenzione della violenza di genere: gli studenti del quarto e quinto anno delle superiori del Piemonte saranno coinvolti in un’ora settimanale di educazione sentimentale, novità assoluta nel panorama scolastico italiano, fortemente voluta dal Consiglio Regionale piemontese (Consigliere Gabriele Molinari) e dall’Associazione “Filosofia in Movimento” (prof. Paolo Ercolani, docente di filosofia dell’educazione all’Università di Urbino).

Il progetto intende dar seguito all’applicazione della Convenzione di Istanbul del 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne. Con la convenzione si chiedeva agli Stati di introdurre l’educazione all’affettività nelle scuole: è stata applicata in tutta Europa, eccetto che in Grecia e in Italia. Adesso però le regioni stanno provando a colmare il vuoto lasciato dal Parlamento: si parte dal prossimo anno nelle scuole piemontesi; Marche, Toscana, Emilia-Romagna e Lazio hanno chiesto informazioni sul progetto e potrebbero accodarsi.

Il progetto sarà composto da una serie di lezioni sulla storia e la filosofia del rapporto tra il mondo maschile e femminile, tenute dal prof. Ercolani, e lezioni in cui la psicologa Giuliana Mieli fornirà ai ragazzi strumenti conoscitivi e sentimentali per avere delle relazioni sane e libere da pregiudizi, e diventare adulti in grado di vivere un’affettività equilibrata.

Educare al rispetto tra i sessi

Guai però a confondere l’educazione sentimentale con l’educazione sessuale. “L’educazione sessuale è ormai anacronistica, nonostante si discuta da quarant’anni sul suo inserimento nell’offerta formativa: i ragazzi ormai sono quasi più esperti di noi sulla meccanica del sesso”, dice Ercolani. Le grandi resistenze che hanno ostacolato l’educazione sessuale nelle scuole non sono però meno forti per quanto riguarda l’educazione ai sentimenti: “molti genitori sono spaventati dall’idea che i loro figli possano affrontare in classe un argomento che mina alcune convinzioni tradizionali”, spiega Ercolani.

Si parlerà molto anche di social network, strumenti di cui gli adolescenti fanno larghissimo uso ma che non aiutano ad avere rapporti affettivi profondi, ben diversi dai rapporti fugaci come quelli che si intrattengono con le chat.

Si vuole spiegare ai giovani i cambiamenti nelle relazioni tra i sessi, superare culturalmente ogni tipo di violenza di genere, sfatare i pregiudizi sempre esistiti sull’inferiorità della donna, educare al rispetto reciproco.

Aiutare a superare le tante fragilità

Nell’articolo di Rocca[2] un docente riflette sul senso di inadeguatezza che attanaglia una percentuale significativa dei giovanissimi contemporanei. Il pensare di non farcela da soli (con l’ausilio della propria volontà e della propria ragione, e non con quello offerto da prodotti chimici), “il ritenere di stare attraversando un’esperienza limite o marginale, quando invece si deve solo affrontre la sfida di una verifica complessa o dell’esame di Stato, dovrebbe stanare noi adulti dai nostri mugugni e portarci a considerare che forse non abbiamo irrobustito abbastanza i nostri ragazzi per confrontarsi con la bufera dll’esistenza”.

Trattasi di riflessioni che danno valore e sostegno al progetto piemontese: “Ciò che ci dovrebbe più colpire, e che noi adulti stiamo dimenticando di insegnare ai giovani, è l’esistenza di un personale limite emotivo che racchiude la sfera più intima… Se molti ragazzi, oggi, non sanno gestire lo stress, e lo devono esorcizzare ricorrendo anche, nei casi più estremi, a sostanze di rinforzo, lo si deve anche ad una certa mortificazione del senso del pudore, inteso come la dimensione del privato in cui poter riflettere e arginare le frustrazioni senza esibirle”.

L’autore conclude: “Cerco di aiutare i miei studenti a comprendere che la soglia del dolore, fisico o psichico, ci insegna a rispettare la vita e non ci autorizza a dribblare i problemi, aggirandoli con mezzucci. Cerco di far capire loro che non ci sarà mai un momento di quiete assoluta, e che il sentirsi inadeguati ci rende molto più sani di quanto non faccia il sentirsi continuamente adeguati. Cerco, appunto, con loro, e non contro di loro”.

—-

[1] Federico Marconi, A lezione di sentimenti, in «L’Espresso», 5 agosto 2018, pagg. 62-63.

[2] Marco Gallizioli, La sfida delle emozioni, in «Rocca», 15 giugno 2018, pagg. 35-37.