Stiamo diventando più vecchi? Come valutare i fattori di rischio… (*)

L’evidente invecchiamento

L’art. 28 del d.lgs. 81/08 afferma che la valutazione dei rischi (VdR) deve riguardare anche quelli connessi all’età dei lavoratori, stante l’invecchiamento della popolazione di tutta l’Europa, ove il numero dei cittadini oltre i 60 anni aumenta di circa 2 milioni all’anno.

A quale età si diventa vecchi? La risposta è condizionata dalle caratteristiche del soggetto e dal suo ambito sociale; una definizione di “vecchio” è fortemente condizionata dalla percezione che si ha dell’aspettativa di vita e dal tenore di confort che è possibile ottenere e mantenere.

Col trascorrere del tempo in ogni persona, pur con differenze individuali, si verificano numerose trasformazioni: si riduce l’efficienza sul piano fisico; diminuiscono la massa e la forza muscolare; anche il sonno si modifica, non consentendo sempre un completo recupero psicofisico. Sul piano psicologico si tende a diventare più rigidi e conservatori, e si fa dunque più fatica ad accettare cambiamenti e adattarsi a nuove situazioni.

Conseguenze dell’invecchiamento

L’invecchiamento non è un fatto negativo in sé, ma come tutte le situazioni umane porta molti cambiamenti, sia positivi che negativi; ciò che fa la differenza è certamente il vissuto individuale, e la capacità o possibilità di trovare via via nuovi equilibri con la realtà circostante: dall’ambito familiare a quello sociale e a quello lavorativo.

In ambito occupazionale gli indicatori parlano di “lavoratori anziani” a partire dai 55 anni, ma sottolineano come alcune trasformazioni graduali inizino già nella fascia dai 40 ai 50 anni (lavoratori in invecchiamento): in particolare gli uomini risultano statisticamente a maggior rischio di contrarre patologie cardio-vascolari o da sindrome metabolica; le donne vivono un periodo di grandi modificazioni ormonali, con conseguenze quali l’osteoporosi o la riduzione progressiva del contenuto idrico, del volume e dell’elasticità del nucleo gelatinoso interposto tra le vertebre.

La valutazione dei rischi nella scuola

Nella Valutazione dei Rischi (VdR) nella scuola si deve fare pertanto attenzione ai pericoli esemplificati in tabella:

Settore:lavoro d’ufficio– sedentarietà- posture statiche/disergonomiche protratte- movimenti ripetitivi- monotonia e ripetitività- eventuali sollecitazioni dall’utenza (sportello)
Settore:educazione– posture statiche/disergonomiche protratte- utilizzo intenso degli apparati fonatorio e respiratorio- elevato carico psicologico ed emotivo
Settore:pulizie– pesante carico fisico di lavoro- posture statiche/disergonomiche protratte, movimentazione manuale di carichi- lavoro a turno, lavori in isolamento- utilizzo di agenti chimici fortemente irritanti o nocivi- rischi infortunistici rilevanti (scivolamenti, …)

La VdR attenta e consapevole anche della tipicità degli individui lavoratori, e del ruolo più adatto a loro, può contribuire a generare organizzazioni del lavoro più sane e funzionali. Le differenze rappresentano certamente un elemento difficile da gestire, ma anche una indubbia ricchezza, e quindi una risorsa positiva per ogni organizzazione del lavoro.

L’importanza della formazione

Uno strumento di prevenzione efficace è sicuramente l’autovalutazione del lavoratore, da favorire mediante la formazione; ecco dunque l’importanza degli incontri di aggiornamento (almeno 6 ore in un quinquennio) in tema di sicurezza, previsti dall’accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011 sulla formazione di lavoratori (almeno 8-12 ore), dirigenti e preposti, come prescritto dal d.lgs. 81/2008.

L’obbligo dell’aggiornamento si inquadra a pieno titolo nella dimensione della formazione continua nell’arco della vita lavorativa. Purtroppo, lo sappiamo, tutta questa materia può essere trattata su un piano formale (benedette carte!) o sostanziale (opportunità di partecipazione e coinvolgimento dei lavoratori con modalità e metodologie proprie dell’educazione degli adulti).

L’aggiornamento sostanziale richiesto “non deve avere carattere generale o mera riproduzione di argomenti e contenuti già proposti nei corsi base, ma deve trattare evoluzioni innovative, applicazioni pratiche collegate al contesto produttivo e ai rischi specifici del settore”. Si tratta ora di declinare la norma alla specificità dell’ambiente lavorativo e formativo chiamato “scuola”.

(*) La presente sintesi si ispira e riprende alcuni contenuti presenti nell’articolo di Giuseppina Paolantonio, pubblicato in ISL, IGIENE&SICUREZZA DEL LAVORO, rivista IPSOA, n. 10/2017, pagg. 380-385.