Reclutamento e formazione docenti: “Addio FIT? Forse…”

Come dovrebbe essere la formazione iniziale e tirocinio (FIT) dei docenti?

Nella manovra finanziaria prevista dalla Legge di Bilancio per il 2019, ancora in discussione in Parlamento, quindi ancora modificabile, si interviene profondamente sul Decreto legislativo n. 59/2017, che riformava il sistema di formazione iniziale e di reclutamento dei docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado[1].

Il FIT (Formazione Iniziale e Tirocinio) definito nel D.lgs. 59/17 prevedeva, dopo il concorso di accesso riservato ai laureati con il requisito dei 24 CFU di carattere pedagogico-didattico-psicologico, un percorso triennale costituito da un anno di specializzazione, un secondo anno caratterizzato da un tirocinio diretto a scuola, insieme alla prosecuzione della riflessione universitaria, e un terzo anno in classe, di fatto già un primo inserimento nella funzione docente, anche se non a tempo indeterminato. Una formazione tecnico-pratica molto vicina all’apprendistato, valutata ogni anno da una commissione mista università-scuola che, oltre a una possibile verifica in itinere dell’attitudine dello specializzando, intendeva garantire una professionalità alta, sia da un punto di vista delle conoscenze che della loro messa in pratica in aula, sotto la supervisione di tutor. Un percorso di specializzazione gratuito per i vincitori del concorso, con una borsa di circa 500 euro per i due primi anni. Gli specializzandi, inoltre, avrebbero potuto anche fare supplenze, retribuite a parte, nel secondo anno, mentre nel terzo la retribuzione sarebbe stata quella “normale” prevista per i docenti neo-assunti.

Basterà il solo concorso

La modifica del D.lgs. 59/17 contenuta nella Legge di Bilancio cancella questo impianto e propone un percorso annuale di formazione e prova, dopo un concorso regionale[2] rivolto ai laureati con i 24 CFU. Al termine del percorso annuale è prevista una valutazione finale per verificare la padronanza degli standard professionali da parte dei docenti. Quindi sembra di capire che si diventa insegnanti “sul campo” e, oltre al possesso dei contenuti e dei saperi delle discipline, non è prevista una formazione specifica e aggiuntiva nell’ambito pedagogico-didattico. L’obiezione è antica: essere competenti in matematica, italiano, diritto o arte, non significa saper insegnare matematica, italiano, diritto o storia. E certamente non bastano i 24 CFU previsti come requisito per il concorso[3] a colmare questa lacuna, perché si tratta comunque di un percorso tutto accademico, senza alcun tirocinio indiretto o diretto: non si prova, prima di diventare insegnanti a tutti gli effetti, a “mettere le mani in pasta” in uno spazio protetto di riflessione e formazione.

Anche sulla formazione iniziale dei docenti di sostegno vi è un notevole alleggerimento: chi ha la specializzazione sul sostegno, dopo la laurea (qualsiasi laurea) con i 24 CFU, può partecipare a un concorso su posto di sostegno che prevede una sola prova scritta (per il concorso su posto comune sono previste due prove scritte) e una orale.

La modifica comporta il risparmio di alcuni milioni di euro, che vengono in parte assegnati per il miglioramento dei saldi di finanza pubblica.

Il totem delle graduatorie

L’abbreviazione del percorso, con il conseguente ingresso di docenti più giovani, è una delle motivazioni che vengono utilizzate per sostenere tale modifica. Si può obiettare che l’accesso di docenti non più giovani è stata una costante finora, nonostante appunto un percorso di specializzazione di un anno. Infatti il meccanismo che il D.lgs. 59/2017 intaccava era la separazione del momento iniziale della specializzazione da quello successivo del reclutamento. Unificare i due momenti, garantendo tempi certi e ciclici per i concorsi di accesso al FIT, significa far accedere al percorso formativo quel personale necessario a coprire i posti liberi, senza impiantare e incrementare graduatorie, veri totem inviolabili del nostro sistema di reclutamento. È un sistema che lascia le persone nell’incertezza e nella precarietà per molti anni, e che quindi non abbrevia il percorso, ma lo dilata in un non-tempo e non-luogo in cui capita di perdere la motivazione e il senso della scelta, se si tratta di scelta consapevole.

Non si diventa insegnanti per caso

Spesso però si fa il concorso anche se non si è “portati” per l’insegnamento, perché “non si sa mai” che possa diventare una scappatoia per trovare lavoro: si diventa, e finora è accaduto in troppi casi, “insegnanti per caso”. Questo ha un’inevitabile ricaduta anche sulle retribuzioni e sul riconoscimento sociale. Il rischio è che, con il sistema che si prospettando, questa modalità riprenda quota: se basta essere laureati e avere 24 CFU per entrare, perché non provarci?

Diciamo da tempo che i migliori laureati dovrebbero diventare insegnanti perché è innegabile che la qualità della scuola e gli esiti degli studenti passino inevitabilmente da docenti bravi, preparati non solo sui contenuti disciplinari, ma su come far appassionare le ragazze e i ragazzi, rendendoli protagonisti della loro crescita personale e culturale. Tutto questo non si improvvisa, non può essere solo frutto di una personale predisposizione all’insegnamento, che è necessaria ma non sempre innata. Si può e si deve imparare a fare gli insegnanti; non può essere solo il frutto di esperienza fatta sulla pelle e sul futuro dei giovani[4].

I docenti formati e selezionati con le modalità previste dalla Legge di Bilancio saranno in grado di reggere alla sfida contemporanea che le studentesse e gli studenti ci pongono quotidianamente nelle nostre classi, facendoli diventare cittadini competenti?

—–

[1] Per quanto riguarda la scuola primaria e dell’infanzia, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 89 del 9.11.2018 il bando con la definizione dei posti dopo la pubblicazione del decreto per il concorso straordinario riservato ai diplomati magistrali e ai laureati in Scienze della Formazione Primaria che hanno almeno due anni di servizio a tempo determinato.

[2] Anche nel FIT era previsto di bandire sulla disponibilità dei posti, sia in relazione alle cattedre che alle regioni in cui vi erano posti scoperti.

[3] Nel FIT i 24 CFU erano propedeutici e iniziali di un percorso di specializzazione che doveva prevedere, oltre alla didattica della disciplina, anche lo sviluppo di quelle competenze che sono indispensabili per fare l’insegnante oggi: inclusione, valutazione, progettazione, oltre alla capacità di lavorare con gli altri, di entrare con consapevolezza in un ambiente di lavoro complesso.

[4] Le principali associazioni dei docenti si sono espresse in un Manifesto che motiva ampiamente le critiche, entrando nel merito delle scelte che sostengono gli interventi di modifica previsti dalla Legge di Bilancio: https://www.ilsussidiario.net/news/educazione/2018/11/9/scuola-formazione-iniziale-lappello-delle-associazioni-il-governo-ci-ripensi/1803243/