Non buttiamo via la pasta con l’acqua di cottura

Due anni difficili per il servizio di ristorazione scolastica

Se il 2017 era stato l’anno del pasto domestico e della protesta contro il caro-prezzi della mensa, il 2018 è stato l’anno delle gravi irregolarità che sono emerse nella condizione igienica di numerose sedi del servizio di ristorazione scolastica.

Su 224 strutture ispezionate, oltre un terzo è risultato fuori norma, e sette sono state chiuse all’istante, ritenendo consistente il rischio di contaminazione dei pasti prodotti.

Parole pesanti sono state utilizzate dai più alti livelli istituzionali: il ministro della Salute Giulia Grillo ha denunciato la presenza di “cibi scaduti, gravi carenze igieniche, topi e parassiti”, lasciandosi andare all’esclamazione: “un film dell’orrore!”, mentre il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti ha affermato che “chi ha messo a repentaglio la salute e la sicurezza dei nostri figli non rimarrà impunito”.

La situazione certamente non deve essere sottovalutata, e l’analisi di Giovanni Faedi, pubblicata su questo stesso numero di Scuola7, ci aiuta a capire come stanno le cose, quali possono essere le cause di un decadimento nella qualità del servizio e cosa è possibile fare per cambiare in meglio. Allo stesso tempo si deve evitare il rischio di demolire un servizio che può e deve essere di qualità, che può e deve supportare una scuola di qualità.

La storia della mensa scolastica è la storia del tempo pieno

Quando nel 1972 fu istituito il tempo pieno, già il 15% delle classi aveva attività pomeridiane variamente denominate e diversamente gestite. Quasi sempre era presente la mensa scolastica. Poi, con il DPR 616/1977, furono sciolti i “patronati”, e le funzioni di “assistenza scolastica” furono attribuite ai comuni, mentre nella scuola la percentuale delle classi a tempo pieno era già arrivata al 20%. Da un’indagine di quegli anni risultò che in quelle classi si svolgevano attività innovative, che non erano presenti nella scuola antimeridiana (“manuali e pratiche, fotografiche-cinematografiche; grafico-pittorico-plastiche, musicali,  tipografiche, osservazione e ricerca scientifica,  ricerca storico-ambientale, ludiche e di socializzazione, ginniche e sportive”).

Era in atto la sperimentazione di un nuovo modello di scuola, e i comuni erano parte attiva di questo processo. Da molti enti la fornitura dei “servizi di supporto” (mensa e trasporto) non era vissuta come una funzione “servente” ed esterna, come un peso (economico e gestionale), ma come la partecipazione a un processo di riforma che, finalmente, apriva la scuola al territorio e alla realtà sociale. In quest’ambito, oltre ai servizi obbligatori, i comuni fornivano esperti, materiali per i laboratori e qualche volta anche insegnanti aggiuntivi a proprio carico.

Nascono allora, tra le tante esperienze di partecipazione, le commissioni mensa, e si discute di educazione alimentare coinvolgendo tutte le componenti della scuola e del territorio.

Da un indagine ANCI dello scorso anno, le classi con cinque rientri pomeridiani rappresentano oggi quasi il 40% del totale; un altro 39% effettua uno o più rientri, mentre solo il rimanente 21%, in gran parte nel sud Italia, effettua un orario solo antimeridiano, senza cioè necessità del servizio di ristorazione scolastica.

Più qualità della scuola, più tempo, più mensa e minori costi a carico delle famiglie

Il caso vuole che, proprio negli stessi giorni in cui è salito all’onore delle cronache nazionali il tema della qualità nella ristorazione scolastica, si è fatto un gran parlare anche di generalizzazione del tempo pieno. Poco più di un mese fa il vice premier Luigi di Maio ha scritto su Facebook: “D’ora in poi, in tutte le scuole elementari italiane ci sarà il tempo pieno: i bambini potranno stare più tempo a scuola, potranno avere un percorso di istruzione più lungo, che gli consenta di stare più con gli insegnanti e di approfondire ancora di più le materie, e allo stesso tempo permetterà ai genitori che lavorano tutto il giorno di sapere che anche il pomeriggio il loro figlio o la loro figlia starà a scuola con gli insegnanti e avrà un percorso formativo ancora più ricco”.

Si tratta di ottimi condivisibili propositi, a condizione che, come ci ha ricordato Giancarlo Cerini, si tratti di un tempo ricco di strutture adeguate, di spazi verdi, di laboratori, di docenti preparati e motivati, etc. Non ultimo il servizio di refezione scolastica, la cui elevata qualità dev’essere garantita ed il cui prezzo per le famiglie dovrebbe essere “calmierato” con un intervento di risorse statali, che permettano di introdurre il principio di un’equa tariffa tra i livelli di erogazione delle prestazioni (LEP) che devono essere assicurati nell’ambito del servizio d’istruzione obbligataria, costituzionalmente garantito.

Linee di indirizzo per la qualità

Molte azioni sono già state intraprese per la qualità del servizio di refezione scolastica: in quest’ultimo anno abbiamo avuto il decreto sulle mense biologiche e le Linee di indirizzo rivolte agli  enti gestori di mense scolastiche, mentre altri provvedimenti sono prossimi all’adozione, come le Linee di indirizzo e i Criteri Ambientali Minimi (CAM) rivolti alla ristorazione scolastica. Tutti questi provvedimenti potranno avere, se congruamente finanziati, un rilevante impatto positivo, e dovranno essere correttamente recepiti dai comuni e dai soggetti gestori del servizio.

Una scommessa da giocare insieme con quella del tempo pieno (e già non sarebbe poco se, per iniziare, fossero stanziate le risorse per accogliere interamente la domanda non soddisfatta) e della qualità della scuola. E non è il caso di bluffare, perché si gioca sul futuro del Paese.