Autonomia differenziata e istruzione

Il federalismo dopo il Titolo V (2001)

L’art. 116 della Costituzione, modificato dalla riforma del Titolo V approvata nel 2001, consente a ciascuna Regione ordinaria di negoziare particolari e specifiche condizioni di autonomia.

Un primo accordo, firmato il 28 di febbraio 2018, è stato ripreso di recente da Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, mettendo a tema “l’autonomia differenziata”. L’intesa firmata tra Regioni e Stato dovrà poi essere resa operativa attraverso una legge nazionale.

Lo Stato delegherà alcune sue funzioni elencate nell’articolo 117 della Costituzione, tra cui l’istruzione.

Nelle materie di legislazione concorrente, tra cui “istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale”, spetta già alle Regioni la potestà legislativa, “salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.

Fino ad oggi quelle disposizioni non erano mai state applicate, essendo appunto già riconosciuta alle Regioni la potestà legislativa in molte materie. Ora invece, nelle richieste avanzate da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, gli effetti dell’autonomia regionale investono anche il sistema dell’istruzione.

A chi spetterebbe la gestione del personale docente?

Tra le competenze che queste regioni potranno esercitare vi è quella relativa alla determinazione di un organico regionale in relazione alla necessità delle scuole, che dovrà avvenire con una programmazione concordata insieme agli Uffici Scolastici Regionali. Le regioni, inoltre, potranno istituire un fondo per gli organici che potrà essere utilizzato nel caso di organico aggiuntivo.

La regionalizzazione per Veneto e Lombardia dovrebbe comportare anche il trasferimento del personale scolastico dalle dipendenze statali a quelle regionali. Le nuove norme riguarderebbero – pare – solo i neoassunti, a partire probabilmente dai prossimi concorsi; per quanto riguarda gli stipendi, la retribuzione base resterebbe nazionale, ma le Regioni potranno proporre contratti di secondo livello, incentivi e premi.

Quest’ultima richiesta non è stata formulata invece dalla Regione Emilia Romagna.

Si tratta di un’ipotesi, come sostengono alcuni sindacati confederali della scuola, che pregiudicherebbe la tenuta unitaria del sistema nazionale, in un contesto nel quale già esistono forti squilibri fra aree territoriali e regionali?

Sistema nazionale di istruzione e uguaglianza delle opportunità

L’unitarietà culturale e politica del sistema di istruzione e ricerca è davvero minacciata dall’autonomia differenziata? Sarà quindi inevitabile l’aumento del divario tra nord e sud, e tra i settori più deboli e indifesi della società e quelli più abbienti?

Una scuola organizzata a livello regionale sulla base di specifiche disponibilità economiche mette in discussione il principio di uguaglianza, cardine della nostra democrazia, e lede gravemente altri principi, come quello della libertà di insegnamento? Davvero il diritto all’istruzione non è regionalizzabile?

Organico Regionale per superare il modello burocratico

La questione dell’organico e il passaggio al livello regionale è il punto più controverso, quello che sarà oggetto di maggiore opposizione.

La scelta dell’organico regionale, tuttavia, è la madre dell’autonomia rafforzata nel campo dell’istruzione. La possibilità di gestire i contingenti di organico fra numeri, classi di insegnamento, orari di servizio, consentirebbe di attivare criteri diversi di formazione delle classi (una classe liceale funziona bene con 28 studenti, una classe professionale con 28 studenti è una polveriera, o comunque una fonte di insuccessi sicuri). In questo ambito troverebbe una positiva collocazione l’organico potenziato, per una finalità davvero funzionale alle caratteristiche della scuola e al Piano Triennale della Offerta Formativa.

Su questo argomento si potrebbe dire molto, perché la costruzione del modello scolastico nazionale finora non ha fatto altro che ricalcare il peggior modello di funzionamento dei servizi pubblici in Italia.

È un modello costruito a misura di chi ci lavora, funzionale ad assicurare posti di lavoro, con il divieto di valutazione dei suoi operatori: tutto ciò si è risolto, alla fine, nella formale sanatoria del valore legale del titolo di studio.

I difensori della scuola unitaria, dell’uguaglianza e dei diritti all’istruzione, sono dentro a quel modello corporativo politico sindacale che ha generato, talvolta, un mostro burocratico nazionale chiamato scuola.

Giusto per fare un esempio, pensare che l’istruzione nelle scuole superiori (tutte) sia impartita dalle 8 alle 14 (orario sindacale) di ogni giorno, come se gli studenti, soprattutto oggi, potessero apprendere da insegnamenti formali per 6 ore di seguito, spiega, assieme ad altro, come e perché si produce l’insuccesso formativo.

Per contrastare realmente la dispersione scolastica

Dispersi 3,5 milioni di studenti in vent’anni: un problema drammatico.

Il principio della scuola inclusiva diventa efficace se segmenti di scuola (professionali) che portano il peso del disagio e della dispersione sono trattati in modo specifico. La riforma recente dei professionali (D.Lgs. 61/2017) è solo un inizio. Occorre uscire dai dibattiti ideologici sulla scuola come fattore di uguaglianza, ridotti allo sterile e burocratico impegno di dare contenuti e/o metodi uguali a diseguali. La lotta alla dispersione scolastica si può fare davvero con azioni concrete, anche promuovendo la stabilità e il merito professionale dei docenti.

Per rilanciare l’istruzione e la formazione professionale

Allo stato attuale anche la recente riforma dell’istruzione professionale potrà risolvere assai poco, con il turn over attuale dei docenti per cui qualunque progettazione e formazione è vanificata l’anno dopo, quando statisticamente oltre la metà dei docenti si sposta altrove. La Regione può fare quello che lo Stato non ha mai potuto per numerosi ostacoli: per esempio un contratto di mobilità che impegni i docenti di ruolo a mantenere il posto per almeno 5 anni, in presenza di disponibilità del posto.

Sempre nei professionali, scuola in crisi ma molto importante per lo sviluppo nella economia manifatturiera, sarebbe giusto un compenso aggiuntivo assegnato ai docenti con un contratto che preveda una collaborazione con la Formazione Professionale.

Con lo stesso organico regionale sarebbe possibile la costruzione di un sistema davvero integrato fra istruzione e formazione professionale anche per gli insegnanti, con possibilità di passaggio da un sistema all’altro.

Libertà di insegnamento, autonomia metodologica e formazione docenti

Le Regioni sono il luogo giusto per azioni concertate di formazione sulla base delle esigenze del territorio, che ha elementi e fattori di sviluppo diversi. In Inghilterra e nel mondo anglosassone questo avviene con efficacia mediante i programmi di sviluppo delle contee, che individuano metodologie innovative e sperimentali, se necessario.

È venuto il momento di affrontare i temi delicati dell’autonomia dell’insegnamento e della formazione dei docenti. La scuola è uno dei pochi servizi pubblici in cui la formazione degli operatori non è obbligatoria tuttora, nonostante le intenzioni della Buona Scuola, subito smorzate da norme ambigue successive.

L’apparato amministrativo da riformare

Il sistema amministrativo delle scuole, oggi sempre più complesso e da riorganizzare, potrebbe integrarsi con quello dei servizi locali con efficaci sinergie e passaggi di competenze, per esempio sulla progettazione e la gestione dei fondi europei.

Le Fondazioni ITS e l’occupabilità

Gli Istituti Tecnici Superiori sono il futuro dell’Italia manifatturiera. Un percorso di potenziamento del diploma biennale costruito sulle esigenze del mondo produttivo, integrato ad esso e capace di fornire percentuali di occupabilità inimmaginabili, è la possibile via italiana al modello duale tedesco, incentivato anche dal progetto di Industria 4.0 avviato dall’ex ministro Calenda. Qui la regionalizzazione è davvero indispensabile per una forte accelerazione, a sostegno della capacità di esportazione del nostro sistema produttivo.

Riscoprire l’autonomia della scuola

Le norme generali ed il sistema ordinamentale di istruzione sono in capo allo Stato. Gli obiettivi generali, l’accesso ai finanziamenti (per i primi 2 settenni i finanziamenti europei alle scuole sono stati indirizzati solo alle Regioni del sud), i fondi perequativi, destinano tuttora una spesa pro-capite per studente superiore nelle scuole del sud Italia.

Nel 1997 quando, nasce l’autonomia scolastica, si prende atto che il Ministero non è in grado di migliorare la scuola e si riconosce nel principio di sussidiarietà, attraverso la prossimità con le altre istituzioni, e nell’innovazione didattica, la via per un deciso miglioramento dell’istruzione.

Ora è singolare che si porti l’autonomia delle singole scuole a livello costituzionale e non si riconosca nel livello regionale la possibilità di contribuire a raggiungere meglio alcuni obiettivi propri della Costituzione.

L’autonomia scolastica è la più grande risorsa della scuola, regolarmente ignorata per le difficoltà e l’impegno che comporta. Ma si deve rafforzare il modello scolastico nella direzione della flessibilità, della variabilità e della responsabilità educativa verso il territorio, per un ulteriore impegno di cambiamento.

Tutto il resto mi sembra l’ennesimo rituale in cui si riaprono i cassetti pieni di fogli, o meglio di matrici già riprodotte con il ciclostile qualche anno fa.