Il nuovo colloquio nel decreto sulla valutazione e l’esame di Stato

L’esigenza del cambiamento

Il D. Lgs. 62/2017 ha modificato in maniera significativa il precedente Regolamento sulla valutazione DPR 122/2009, apportando sostanziali variazioni anche all’esame di Stato del secondo ciclo di istruzione.

Come avviene di solito, e come è naturale che sia, che ogni cambiamento susciti critiche e consensi, anche le nuove procedure relative all’esame di Stato hanno prodotto opinioni contrastanti: alcune positive, altre negative.

Prima di analizzare alcuni aspetti del nuovo esame, è opportuna una considerazione preliminare: le vecchie procedure erano state sostanzialmente disposte, salvo marginali modifiche, negli anni 97/98 fino alla Legge 11 gennaio 2007, n.1. Una tale distanza temporale, in una società dinamica e in continua evoluzione come quella attuale, è un’eternità. Essere al passo con i tempi, capaci di rispondere alle esigenze via via emergenti, impone rapidi e costanti adeguamenti. Cambiare, rinnovare, adeguare non è una questione di moda o di principio (cambiare per cambiare) è piuttosto una esigenza ineludibile e, direi, vitale (cambiare per migliorare, per evolvere).

Ciò premesso, e considerato che le vecchie procedure andavano cambiate, il punto ora è riflettere, senza pregiudizi, se le nuove procedure degli esami finali costituiscono o meno un miglioramento; un primo passo per meglio orientare i docenti verso la costruzione di un percorso scolastico preparatorio per un positivo inserimento dei giovani nella vita sociale e lavorativa.

Le innovazioni nel decreto attuativo

Uno degli aspetti maggiormente innovativi, e più criticato, del nuovo esame è risultata la procedura relativa al colloquio, definita nel comma 9 dell’art. 17 del decreto in questione.

Per comprenderne il senso è necessario partire dal Decreto citato che esplicitamente, già nell’incipit, art. 12 dispone quanto segue:

  • “L’esame di Stato conclusivo dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado verifica i livelli di apprendimento conseguiti da ciascun candidato in relazione alle conoscenze, abilità e competenze proprie di ogni indirizzo di studi (…) anche in funzione orientativa per il proseguimento degli studi di ordine superiore ovvero per inserimento del mondo del lavoro;
  • In relazione al profilo educativo, culturale e professionale specifico di ogni indirizzo si tiene conto anche della partecipazione di alternanza scuola-lavoro, dello sviluppo delle competenze digitali (…)
  • L’esame di Stato tiene altresì conto delle attività svolte nell’ambito di “Cittadinanza e Costituzione”.

Diventa chiaro, quindi, che se si vuole condurre il nuovo esame con gli schemi tradizionali, gli esiti non possono che essere deludenti. 

Il colloquio e le sue fasi

Nel fare una lettura critica di quanto prevede la normativa, c’è sicuramente da evidenziare lo sforzo che il MIUR sta da qualche anno compiendo per creare una stretta interconnessione tra la norma e la prassi e per facilitare l’individuazione, da parte delle scuole, delle priorità verso cui indirizzare le proprie attività. Ci è riuscito con il RAV-PDM-PTOF con cui è stato possibile mettere ordine e coerenza tra le mille iniziative in essere in ogni istituzione e adesso ci prova con la riforma degli esami di Stato, tentando di uniformare ed orientare diversamente le attività didattiche valorizzando anche la continuità con il primo ciclo.

Non è un caso che la principale finalità del colloquio sia volta ad accertare l’avvenuta progressione del cammino formativo culturale e professionale dello studente; il profilo d’uscita non può restare un documento cui fare riferimento solo negli atti formali, esso deve rappresentare “la bussola” del percorso che lo studente deve percorrere. Stabilire che la finalità del colloquio debba essere l’accertare il conseguimento del PECUP, dovrebbe aiutare le scuole ad essere meno dispersive e a programmare con maggiore coerenza il raggiungimento di competenze spendibili nel corso della vita, abbandonando l’angoscia della quantità dei contenuti disciplinari trattati.

È per questo motivo che la normativa prevede che il colloquio sia caratterizzato da quattro momenti:

1) l’avvio dai materiali di cui all’art.  19, co.1, secondo periodo, dell’O.M.  n. 205 del 2019 e la successiva trattazione di carattere pluridisciplinare;

2) l’esposizione, attraverso una breve relazione e/o elaborato multimediale, dell’esperienza svolta relativamente ai percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento;

3) l’accertamento delle conoscenze e competenze maturate nell’ambito delle attività relative a “Cittadinanza e Costituzione”;

4) la discussione delle prove scritte.

La scelta del “materiale”

L’innovazione più significativa, che finalmente sostituisce la vecchia e consuetudinaria tesina, è rappresentata dalla fase iniziale del colloquio, caratterizzata dalla scelta di materiale predisposto dalla commissione attinente alle Indicazioni Nazionali per i licei e alle Linee guida per gli istituti tecnici e professionali. La norma volutamente non indica alle commissioni di scegliere argomenti disciplinari e/o di far riferimento ai programmi svolti dai docenti, va oltre, essa chiede di superare il tradizionale colloquio per valutare, non più esclusivamente, i contenuti, ma soprattutto altro.

Prevedere “materiale-spunto” che favorisca la trattazione di nodi concettuali, non significa selezionare argomenti specifici, ma vuol dire proporre al candidato una trama da argomentare, cioè individuare concetti correlati caratterizzanti le varie discipline. Questo perché la prova è finalizzata a verificare non tanto, e non soltanto, le conoscenze, già ampiamente accertate durante l’anno e valutate in sede di scrutinio finale, ma soprattutto a constatare abilità e competenze acquisite. Sarà, quindi, la capacità di tessere la trama che metterà la commissione in grado di verificare: la modalità di organizzare il pensiero, di selezionare informazioni, di risolvere problemi, le capacità argomentative, riflessive, di rielaborazione critica, la metacognizione, la gestione dell’ansia.

È chiaro, ovviamente, che tali competenze emergeranno solo laddove il candidato abbia acquisito conoscenze significative e non nozionistiche e mnemoniche e laddove i consigli di classe abbiano lavorato con un curricolo unitario integrando le competenze disciplinari con le competenze chiave europee. Se le conoscenze acquisite saranno di tipo nozionistico e approssimative, (e non significative), le argomentazioni e i collegamenti risulteranno altrettanto generici e superficiali, (o viceversa, appropriati e brillanti). E ciò non è certo conseguenza degli spunti proposti dai commissari, quanto piuttosto dalla qualità delle conoscenze e delle competenze in possesso dello studente e del modo in cui egli è capace di padroneggiarle e di servirsene.

Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento (PCTO)

Con la riforma dell’esame, non si discute più di alternanza scuola-lavoro, ma di percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento; anche in questo caso non è semplicemente un cambio di terminologia, ma è la richiesta di una diversa impostazione che si vuole dare all’ex ASL. Non deve più essere esclusivamente una prima conoscenza nel mondo del lavoro, ma deve diventare un concreto orientamento post-scolastico. Le scuole investono nel corso del triennio numerosissime ore, tanto da svolgere un lungo “percorso” che non può ridursi a semplice ed iniziale esperienza lavorativa, fine a sé stessa. Le ore di alternanza per gli studenti devono rappresentare la possibilità di integrare le attività didattiche in contesti operativi con lo scopo di apprendere quelle competenze prescritte nel Profilo educativo, culturale e professionale del proprio percorso di studi.

È chiaro che le scelte delle scuole saranno significative quando riusciranno a predisporre progetti adeguati ai bisogni dei singoli studenti evitando pacchetti preconfezionati uguali per tutti. Lo scopo dei PCTO è quello di soddisfare le specifiche esigenze formative valorizzando i diversi talenti.

Affinché tali esperienze diventino per i ragazzi un ulteriore momento di crescita, sarà poi necessario che le scuole adottino modalità di restituzione di quanto realizzato. In tal modo, in sede di esame, il candidato che avrà metabolizzato quanto appreso “in situazione”, non si limiterà a raccontare esclusivamente le attività effettuate, ma saprà rappresentare quanto tale impegno l’abbia aiutato a crescere nello sviluppo di abilità e di competenze socio-relazionali, nello spirito di iniziativa, nella capacità imprenditoriale, nella consapevolezza del grado di maturità raggiunto rispetto alle scelte future valutando  i propri  limiti e potenzialità, oltre che prendere atto delle competenze di settore acquisite.

Cittadinanza e Costituzione

Lo studio di tematiche relative alla “cittadinanza” realizza finalmente un percorso unitario e continuativo con quanto sancito per il primo ciclo, per il quale (cfr. il documento “Nuovi Scenari e Indicazioni Nazionali”) la Cittadinanza rappresenta lo “sfondo integratore” di ogni attività. Nel secondo ciclo, vi è però il valore aggiunto che tali tematiche saranno affrontate in una fascia di età in cui i ragazzi sono maggiormente da responsabilizzare per attuare un processo di transizione verso la sostenibilità. Inoltre, è l’età in cui sono talvolta vittime, talvolta carnefici, di tutte le emergenze sociali (bullismo, dipendenze, violenza, disturbi alimentari, problemi ambientali). È attualmente impensabile, oltre che anacronistico, quindi, non affrontare questioni che delineano oggi un allarme comunitario proprio attraverso chi rappresenta la risorsa umana su cui far leva per il cambiamento. 

Il ritorno allo studio della Costituzione rappresenta poi un’ulteriore responsabilità educativa; in un’epoca in cui è ormai smarrita ogni coscienza storica e politica e in cui la maggior parte dei ragazzi è completamente disinteressata a ogni conoscenza dei ruoli e dei poteri degli organi e dei rappresentanti dello Stato, conoscere la Costituzione diventa una priorità se si vuole realmente realizzare una “cittadinanza attiva”.

Discussione degli elaborati

Alla fine del colloquio, come in passato, è necessario discutere gli elaborati; è questa la fase in cui si verifica il livello di autovalutazione del candidato e anche la sua maturità nel verificare se successivamente allo scritto ha approfondito autonomamente l’argomento per integrarlo all’orale.  

La valutazione

Il colloquio è la parte conclusiva dell’esame che a sua volta è la parte conclusiva di un lungo percorso di studi pluriennale.

Lo studente vi arriva avendo già con sé in dote il punteggio per i crediti conseguiti negli ultimi tre anni nello studio delle singole discipline e quello conseguito nelle due prove scritte (fino ad un massimo complessivo di 80 punti).

Con il colloquio, soprattutto nella prima fase, lo studente viene esaminato nella sua pienezza e qui, posto davanti ad un problema da risolvere costituito dal materiale proposto dalla commissione, può dimostrare, molto più che con la vecchia tesina, il risultato da lui conseguito, rispetto al livello culturale, educativo e professionale proprio del suo corso di studi. Può dimostrare non solo ciò che sa, ma anche e, soprattutto, come sa connettere, relazionare, sommare le sue conoscenze per crearne di nuove con un valore aggiunto.

Interrogativi per il futuro: il “posto” delle competenze

Il colloquio così inteso, al di là del limitato punteggio ad esso riservato, rappresenta un’innovazione di notevole portata. Esso, indicando la meta finale, può rappresentare, come già detto, la bussola per orientare docenti e studenti nel percorso scolastico. Si è ben consapevoli, tuttavia, che affinché il colloquio possa esprimere il senso della riforma, c’è un lungo e complesso lavoro che le scuole dovranno affrontare e che certamente non può considerarsi esaurito in pochi mesi dell’anno scolastico. Il lavoro per il nuovo esame di Stato impostato quest’anno è solo l’inizio di un lungo cammino tutto da strutturare.

A differenza del primo ciclo, dove la riflessione sulla didattica per competenze dura orami da 15 anni (a partire dal d.lgs. 59/2004, infatti, le scuole hanno dovuto elaborare autonomamente modelli di certificazione, prima di adottare un unico modello nazionale), nel secondo ciclo è tutto in fieri.

È arrivato il tempo, quindi, in cui i docenti delle scuole superiori affrontino un lungo e profondo studio su come certificare le competenze degli studenti. Sarà necessario implementare metodologie di didattiche attive e modalità di progettazione utili allo sviluppo, all’osservazione e alla valutazione delle competenze. È chiaro che i professori non potranno più limitarsi alla classica impostazione disciplinarista? (non sottovalutando che le discipline sono soprattutto strumenti per la conoscenza), ma dovranno abbracciare (come già fatto da molti) un approccio maggiormente pedagogico, accompagnati da una mirata e specifica formazione.

La società si evolve secondo un ritmo sempre più accelerato. Le conoscenze, le competenze, le professionalità oggi reclamate dal mondo civile, sociale e produttivo, a breve, per l’incombere delle innovazioni tecnologiche e robotiche, potranno risultare desuete e inutili. In questa realtà il compito della scuola, che non può certo rimanere immobile e ad occhi chiusi, è delicato e difficile. Essa deve fornire ai giovani le competenze specifiche oggi richieste, ma al contempo deve fornire una formazione duttile e flessibile che consenta di acquisire nuove competenze adatte alle esigenze emergenti.

La riforma costituisce un primo piccolo, piccolissimo, passo che va in questa direzione. Resta ancora molto da fare.