Le equipe territoriali formative: ultima chiamata per il PNSD?

Tre obiettivi per le equipe territoriali

È stato, infine, pubblicato il bando per la selezione dei 120 docenti destinati a costituire le “equipe territoriali formative”.

L’istituzione di queste nuove figure è stata prevista dalla L. 145/2018 (Legge di Bilancio per il 2019). Al comma 725 dell’art. 1 (e unico) si legge che le equipe sono costituite “per garantire   la diffusione di azioni legate al Piano per la scuola digitale, nonché per promuovere azioni di formazione del personale docente e di potenziamento delle competenze degli studenti sulle metodologie didattiche innovative”.

Tre obiettivi, dunque, che conviene esaminare separatamente, anche alla luce della loro declinazione ulteriore, desumibile dal bando.

  1. garantire la diffusione di azioni legate al Piano per la scuola digitale. Sembra prefigurare un lavoro di coordinamento, una sorta di raccordo tra il MIUR e le istituzioni scolastiche del territorio.
  2. Promuovere azioni di formazione del personale docente. Qui non è facile comprendere cosa ci si attende: i 120 saranno formatori loro stessi? O forse formatori di formatori? O progettisti di percorsi formativi da realizzare nelle scuole?
  3. [promuovere azioni] di potenziamento delle competenze degli studenti sulle metodologie didattiche innovative. Il terzo obiettivo è quello che sembra più arduo. Come potranno le equipe intervenire direttamente sugli studenti, dato il loro esiguo numero?

Consulenza, sperimentazione, formazione, documentazione

Il bando precisa meglio l’elenco dei “compiti”:

  1. sostegno e accompagnamento all’interno alle istituzioni scolastiche del territorio per lo sviluppo e la diffusione di soluzioni per la creazione di ambienti digitali con metodologie innovative e sostenibili. Al di là del refuso (“alle” -> “delle”), questo primo compito pare riferirsi ad una sorta di attività di consulenza per le scuole, rispetto a progetti basati sull’innovazione e sul digitale.
  2. Promozione e supporto alla sperimentazione di nuovi modelli organizzativi, finalizzati a realizzare l’innovazione metodologico-didattica, e allo sviluppo di progetti di didattica digitale, cittadinanza digitale, economia digitale, educazione ai media. Anche questo punto prefigura il profilo di un consulente esperto al quale le scuole potranno rivolgersi per progettare attività di innovazione didattica. Significativi i richiami alla cittadinanza, all’educazione ai media e all’economia.
  3. Promozione, supporto e accompagnamento per la progettazione e realizzazione di percorsi formativi laboratoriali per docenti sull’innovazione didattica e digitale nelle istituzioni scolastiche del territorio, anche al fine di favorire l’animazione e la partecipazione delle comunità scolastiche attraverso l’organizzazione di workshop e/o laboratori formativi. Il punto sembra riferito al secondo obiettivo fissato dalla legge, ovvero la formazione dei docenti, declinandolo più sul versante organizzativo che su quello dell’erogazione vera e propria, tuttavia non escludendola (“realizzazione”).
  4. Documentazione delle sperimentazioni in atto nelle istituzioni scolastiche, nel campo delle metodologie didattiche innovative, monitoraggio e valutazione delle azioni formative adottate. L’ultimo punto vorrebbe forse riferirsi al terzo obiettivo ma, come è naturale, considerando le forze in campo (120 persone per 8.000 istituzioni scolastiche), lo declina sul piano documentativo, di rendicontazione e monitoraggio: sostanzialmente un’attività di tipo amministrativo.

Un’assegnazione su base regionale

Il bando precisa anche la ripartizione territoriale, effettuata su base regionale in proporzione al numero delle istituzioni scolastiche e indica a grandi linee l’assegnazione di ognuno dei 120 ad una serie di scuole, “nell’area geografica provinciale o territoriale dove è presente la sede di titolarità”.

Questa indicazione, tuttavia, non si armonizza del tutto con la modalità di selezione, prevista per titoli, esperienze e colloquio ma su base unicamente regionale, svincolata dalla sede di titolarità. 

Va detto che il bando era molto atteso, se ne parlava da mesi nelle comunità online degli animatori digitali e docenti dei team per l’innovazione. Figure, queste, istituite tra il 2015 e il 2016, subito dopo la pubblicazione del PNSD, che negli ultimi tempi hanno manifestato un certo disagio, causato dalla mancanza di riconoscimento istituzionale e, sostanzialmente, di un (apparente?) progressivo “raffreddamento” delle iniziative legate al Piano.

Un esperto itinerante? Tra i rischi di sovra-utilizzazione o di marginalità

Già nelle prime ore successive alla pubblicazione del bando, su Facebook e negli altri ambienti social si sono moltiplicati i commenti e le discussioni attorno al bando.

Le opinioni sono discordanti, come è ovvio, tuttavia prevalgono un certo scetticismo e una punta di delusione.

Molti i dubbi e le perplessità: le condizioni di lavoro non chiarissime, l’esonero totale dall’insegnamento (ma come altro potrebbe essere?), il numero di scuole da seguire che sarà inevitabilmente molto elevato (tra le 65 e le 70 per ognuno, anche rapportate ai due anni per i quali è previsto l’incarico sono comunque tante), la lunga lista di incompatibilità previste dal bando (soprattutto l’impossibilità di effettuare altre attività di formazione. Ma come troverebbero il tempo di farlo?), la tempistica non ottimale (perché solo ora?). 

Ma anche questioni economiche e di status, ad esempio legate ad orario e sede di servizio ed ai rimborsi spese (che si prefigurano “importanti”, immaginando un ruolo di esperto “itinerante” in un territorio mediamente esteso).

Sono tutte considerazioni ragionevoli: il PNSD aveva generato alte aspettative e speranze, in parte, forse, andate deluse. Ora, è pertanto comprensibile il timore che, quasi “fuori tempo massimo”, i componenti delle equipe possano finire per oscillare tra l’essere soverchiati da impegni insostenibili e il rimanere sottoutilizzati, magari in compiti amministrativi, lontani dalla realtà delle scuole.

Un super animatore digitale o un tecnico di alta professionalità?

In fondo, i nodi fondamentali rispetto all’innovazione rimangono sempre legati al personale e alla formazione: la figura dell’animatore digitale, ad esempio, era chiaramente intesa come un esperto prevalentemente di didattica (con o senza tecnologie), piuttosto che un “super-tecnico”. In molte scuole, tuttavia, a partire dai criteri di scelta di tale figura, hanno finito per prevalere le questioni tecniche, anche spicciole, dal collegamento della stampante alla ricalibrazione di una LIM. Problemi “piccoli”, si potrebbe pensare, ma che diventano facilmente insormontabili, in un ambiente lavorativo come le scuole, fondamentalmente povero di competenze informatiche di base.

Ora, con la selezione delle equipe territoriali, l’auspicio è che non si ripetano errori del genere: al di là delle (innegabili e inevitabili) difficoltà che si prefigurano, c’è da augurarsi che si candidino e che siano successivamente selezionati docenti realmente esperti non già della tecnologia all’ultimo grido (che sia la realtà virtuale o la robotica o il coding o chissà cos’altro) ma insegnanti con un ricco bagaglio professionale afferente alla cultura digitale e alla didattica, con una forte propensione alla condivisione e al coinvolgimento dei colleghi, con solide competenze progettuali e con una visione chiara di come la scuola potrebbe essere, all’interno del nostro mondo digitale e della vita “on life” che caratterizza non solo i giovani studenti ma ormai l’intera società.

C’è bisogno di consulenti pedagogici per l’innovazione didattica

La scuola italiana non ha bisogno di 120 super tecnici (con buona pace del requisito presente nel bando, relativo alle “capacità di utilizzo di dispositivi e di automi programmabili”) ma potrebbe davvero giovarsi invece di 120 consulenti pedagogici, che sapessero guidare, consigliare, mostrare esempi di come le tecnologie possono aiutare e supportare lo sviluppo di una didattica innovativa, inclusiva, universale.

Il bando è quindi un’occasione, forse l’ultima, per tornare allo spirito originario del PNSD, quella “strategia complessiva di innovazione della scuola italiana” (come si legge nell’incipit del Piano) che ha bisogno di essere costantemente sostenuta, accompagnata e rinforzata.

Sempre che ci si creda veramente.