I risultati dell’indagine OCSE PISA 2018: una corona di spine per il sistema scolastico italiano

Facciamo ordine nel clamore mediatico

Le politiche internazionali dell’istruzione e della formazione riconoscono una importanza sempre più rilevante agli esiti delle rilevazioni degli studenti e, congiuntamente di riflesso, dei singoli sistemi scolastici nazionali e di quelli internazionali. Le rilevazioni possono essere perciò considerate come ‘dispositivi’ in grado di:

– condurre ad una migliore comprensione dei livelli di apprendimento degli studenti

– fornire informazioni sullo ‘stato di salute’ del sistema di istruzione

– individuare le criticità, analizzarle ed elaborare strategie e pratiche per il miglioramento

– utilizzare i risultati per monitorare diacronicamente le ‘condizioni’ del sistema.

Sulla base di questa premessa il clamore mediatico che da sempre accompagna la presentazione dei risultati delle indagini internazionali rappresenta un fattore di assoluta prevedibilità: dunque, anche quest’anno le prime pagine di quasi tutte le più importanti testate giornalistiche – anche televisive – hanno ‘sparato’ i risultati presentati martedì 3 dicembre. Del rigore scientifico e della sistematicità che i ricercatori dell’INVALSI hanno profuso nel trattamento dei dati presentati non esiste più traccia nel mondo dell’informazione, perché il bisogno di sensazionalismo unito al comprensibile bisogno di semplificazione ha fatto sì che l’attenzione venisse tutta incanalata sui risultati – peraltro indiscutibilmente negativi – raggiunti dal campione della popolazione studentesca italiana (11.785 studenti in 550 scuole, rappresentativi di 521.223 studenti quindicenni).

Considerando le modalità di presentazione degli esiti delle prove INVALSI è di tutta evidenza che per quanto riguarda la tematica delle rilevazioni relative agli apprendimenti esiste una assoluta parità di trattamento giornalistico con quelle relativa a PISA. Tuttavia, sarebbe auspicabile che i risultati fossero inseriti nella giusta cornice di senso per fornire ai ‘non addetti ai lavori’ un orientamento documentato.

Alcune caratteristiche delle rilevazioni OCSE-PISA

Come è noto, le indagini internazionali OCSE-PISA hanno una storia consolidata, iniziata nel 2000 e giunta alla settima edizione nel 2018, e rilevano le competenze in matematica, scienze e literacy in lettura degli studenti quindicenni (indipendentemente dalla classe che frequentano), età che corrisponde- in linea di massima – al termine della scuola dell’obbligo in molti paesi e, quindi, all’età riconosciuta come la soglia minima per iniziare la vita lavorativa. Lo scopo è quello di verificare il livello di acquisizione di conoscenze e di competenze ‘chiave’, essenziali per partecipare alla vita sociale e politica come cittadini adulti, consapevoli ed autonomi: in tale prospettiva, ad esempio, nella rilevazione del 2015 sono state utilizzate prove di problem solving collaborativo.

La caratteristica più saliente delle indagini PISA consiste nel fatto che esse non si riferiscono ai curricoli dei diversi sistemi di istruzione (curriculum free) e che la valutazione non si limita a verificare se gli studenti sono in grado di riprodurre conoscenze, ma esamina anche la ‘qualità’ dell’apprendimento nel momento in cui gli studenti estrapolano le conoscenze scolastiche applicandole a contesti non noti, riferiti sia all’interno che all’esterno della scuola. In buona sostanza, le indagini PISA ‘verificano’ se al termine della scuola dell’obbligo i giovani sono pronti a vivere in maniera consapevole nella società contemporanea ‘manipolando’ il bagaglio di conoscenze e competenze necessarie per prendere parte alla vita attiva come cittadini autonomi e responsabili.

A differenza delle rilevazioni nazionali italiane (INVALSI), che si caratterizzano per la costante equivalenza dei domini indagati annualmente, le rilevazioni PISA esplorano sì tutti e tre i domini (lettura, matematica, scienze) ad ogni ‘tornata’ di triennio, ma l’attenzione viene focalizzata in maniera ciclica sui singoli domini in modo da effettuare un’analisi approfondita della performance su ciascuno ogni nove anni, e ogni tre anni effettuare un’analisi degli andamenti. Si tratta evidentemente di una periodicità con fini ‘politici’, perché i risultati delle indagini dovrebbero essere ‘sfruttate’ dalle singole nazioni per riflettere sulle criticità e per elaborare azioni di medio/lungo termine per il miglioramento del singolo sistema di istruzione.

Il focus esplicito delle rilevazioni 2018: la literacy nella lettura

Dunque, ogni ciclo triennale di PISA si caratterizza per uno specifico ambito di ricerca: le rilevazioni del 2018 hanno nuovamente presentato come dominio principale la lettura[1], definita come ‘la capacità degli studenti di comprendere, utilizzare, valutare, riflettere e impegnarsi con i testi per raggiungere i propri obiettivi, sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità e partecipare alla società’.

Nella maggior parte dei paesi partecipanti alla prova – della durata di due ore – è stata svolta secondo la modalità computer based, ma la vera particolarità della rilevazione 2018 è consistita nell’approccio adattivo-multistadio: vale a dire che i blocchi di quesiti proposti ad ogni allievo tengono conto delle prestazioni fornite nei ‘blocchi’ precedenti. Agli studenti era rivolto anche un questionario nel quale erano richieste informazioni personali, le loro esperienze scolastiche e di apprendimento, le loro convinzioni, le loro inclinazioni.

In breve, soltanto il 5% degli studenti italiani si colloca ai livelli 5 e 6 (più elevati) a fronte di una media OCSE del 9%, mentre ben il 77% è riuscito a raggiungere almeno il livello di competenza in lettura (media OCSE 77%). Il dato più rilevante, però, risiede nel trend negativo dell’Italia, rispetto alle rilevazioni PISA 2000 e 2009 (quelle con lettura come ambito principale): dunque soltanto il 18% degli studenti italiani si attesta sui livelli ‘medi’ (3 e 4), mettendo in evidenza una situazione ‘ad imbuto’ che sembra qualificare – ormai tradizionalmente – il nostro sistema.

Le disuguaglianze restano immutate

Anche il divario Nord-Sud – peraltro conclamato nelle rilevazioni INVALSI – trova conferma in maniera molto significativa, come risulta dalla tabella riportata.

Anche i risultati esaminati fra le diverse tipologie di scuole evidenziano – per l’ennesima volta – che gli studenti liceali ottengono punteggi molto elevati, rispetto ai loro coetanei degli istituti tecnici, degli istituti professionali e della formazione professionale.

Le diseguaglianze interne, dunque, si perpetuano e si accentuano, nel senso che non si rilevano cenni, magari anche flebili, di un indizio di cambiamento di questi trend interni che restituiscono l’immagine di un sistema scolastico che, nonostante il robusto e ormai ventennale intervento europeo, e gli sforzi di innovazione concentrati sulla didattica e sugli spazi di apprendimento, non riesce a rendere questi interventi concretamente efficaci.

Le misure europee – alle quali le scuole delle regioni della macro-area Sud e Isole hanno ampiamente e continuativamente attinto dal 1999 – finalizzate essenzialmente al recupero e al potenziamento delle competenze di base attraverso la programmazione PON FSE, hanno finora dato scarsi esiti su entrambi i fronti (nazionale: INVALSI – internazionale: PISA) delle rilevazioni.

A questo punto, sarebbe auspicabile – anche in vista della imminente programmazione 2021/2027 – un ripensamento radicale di tali misure, da riferirsi in special modo alla coerenza delle proposte progettuali da parte delle scuole rispetto ai propri punti di criticità.

Il focus implicito delle rilevazioni 2018: i questionari a corollario

Tuttavia, il dato più allarmante proviene dalle risposte fornite dagli studenti ai questionari ‘personali’ che definiscono in maniera inequivoca un aspetto finora scarsamente riconosciuto come problema: la ‘cripto dispersione’. Di cosa si tratta?

Nel questionario circa il 30% degli studenti quindicenni (media OCSE 26%) ha dichiarato che, durante le lezioni di italiano, l’insegnante deve attendere non meno di dieci minuti per ripristinare l’ordine tra gli studenti e farli concentrare sulla lezione. Ipotizzare che questa situazione non sia circoscritta soltanto alle lezioni di italiano, ma che anche le altre discipline siano interessate da questa dinamica, conduce a scenari impressionanti in termini quantitativi di ore lezione non svolte.

Eppure, il livello di scolarizzazione degli studenti quindicenni dovrebbe vederli ampiamente responsabilizzati e consapevoli delle regole d’aula, per il semplice fatto che essi si trovano nel decimo anno di frequenza scolastica e che, per tale motivo, dovrebbero aver raggiunto un buon livello di autocontrollo e di autodeterminazione.

I dati su quella che abbiamo definito ‘cripto dispersione’ non finiscono qui: ben il 57% degli studenti italiani ha dichiarato di essersi assentato da scuola nelle due settimane precedenti le rilevazioni PISA, a fronte del 21% degli studenti OCSE. La situazione appare invece più equilibrata per quel che riguarda il ritardo in ingresso nel medesimo arco temporale: 45% degli studenti italiani contro il 48% degli studenti OCSE. Il questionario non approfondisce ulteriormente il tema, ma senz’altro il dato delle ore di lezione non fruite aumenterebbe in modo considerevole se venissero considerate le uscite anticipate, la partecipazione alle assemblee di istituto e di classe e le assenze dei docenti.

La cripto-dispersione: un deficit di motivazioni

Sono questi, ad avviso di scrive, gli aspetti di maggiore criticità in quanto riflettono un ‘andazzo’ la cui corresponsabilità va equamente distribuita tra i genitori e le scuole: in altri termini, questi dati ci quantificano il baratro educativo e la crisi genitoriale da un lato, dall’altro ci mostrano che il sistema scolastico è tra quelli – nella Pubblica amministrazione – dove più elevato è il tasso di assenze del personale.

Tra l’altro, il fenomeno della ‘cripto dispersione’ è trasversale perché investe in egual misura le diverse tipologie di scuola: quindi, l’atteggiamento è diffuso e persistente, per quel che riguarda sia gli studenti sia i docenti. Come intervenire? Il semplice richiamo all’osservanza del patto di corresponsabilità da parte dei genitori senz’altro non può bastare, così come non sortisce alcun effetto il richiamo ad un comportamento etico nell’espletamento della professione docente. I dati della ‘cripto dispersione’ ci parlano in maniera chiara mettendoci di fronte ad una crisi, ormai annosa, di motivazione che coinvolge entrambe gli ‘attori’ in scena: studenti e docenti.

Senza una revisione radicale del sistema di reclutamento dei docenti qualsiasi altro intervento è destinato a fallire: l’attuale procedura non esplora gli aspetti relativi alle attitudini, alle motivazioni, all’interesse nei confronti di un impegno professionale che quotidianamente richiede la mobilitazione di risorse plurime.

Gli esiti delle rilevazioni: molto rumore per nulla?

Dal quadro appena delineato, che mostra in maniera sintetica e selezionata i risultati più ‘interessanti’ scaturiti dalla rilevazione PISA 2018, e dall’attenzione giornalistica che – come abbiamo ricordato – è stata loro dedicata, sarebbe logico attendersi un particolare interesse da parte dell’opinione pubblica sullo ‘stato di salute’ del sistema scolastico in Italia. Così non è.

Il 53° Rapporto CENSIS sulla situazione sociale del Paese rappresenta un punto di riferimento qualificato per osservare il sentiment della popolazione su questo aspetto: ebbene, tra le questioni ritenute più importanti che l’Italia deve affrontare quelle relative al sistema educativo si posizionano all’ultimo posto in una scala di tredici risposte, mentre a livello europeo il loro posizionamento occupa il 6°/7° posto.

Nel Rapporto sono riportati in maniera dettagliata i dati relativi agli italiani low skilled nella competenza alfabetica, numerica, nella comprensione dell’ascolto della lingua inglese (studenti delle classi terze della scuola secondaria di primo grado, studenti delle classi quinte della scuola secondaria di secondo grado): è importante osservare che i valori percentuali sono sempre abbondantemente superiori al 30%.

In conclusione, sembra di poter affermare che l’attenzione rivolta ai risultati delle rilevazioni nazionali e internazionali ha carattere momentaneo, episodico, legato ai momenti clou delle presentazioni: l’opinione pubblica recepisce il dato negativo, ma non ritiene che gli interventi sul sistema educativo rappresentino una priorità per lo sviluppo e il miglioramento della nazione. Sfiducia o disinteresse? Probabilmente entrambe, unite anche ad una buona dose di disillusione.

Il corto circuito è sotto gli occhi tutti e produce danni non calcolabili per l’intero sistema Paese.

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[1] Tale dominio era stato già esplorato in maniera specifica nelle rilevazioni PISA del 2000 e del 2009.