I servizi educativi per l’infanzia all’epoca del Coronavirus

La ripartenza dei servizi educativi e scolastici da zero a 6 anni

L’emergenza sanitaria ha comportato conseguenze di pesante incertezza sul presente e sul futuro dei servizi educativi e scolastici da 0 a 6 anni, nonché per la condizione di vita delle famiglie con bambini in età prescolare. Alla fase di chiusura forzata ne è seguita una seconda e una terza in cui si sono registrate spinte contraddittorie per la riapertura nel periodo estivo con soluzioni diversificate a livello regionale. Fin qui i risultati visibili e concreti sono due:

-da un lato il decreto del Presidente del Consiglio in data 11 giugno che ha confermato la sospensione delle attività in tutti i servizi di cui al Dlgs 65/2017 e però ha autorizzato contemporaneamente (in modo un po’ approssimativo e lacunoso secondo molti osservatori nonostante la pubblicazione di Linee Guida ad hoc) l’attivazione di servizi estivi per la fascia di età 3-14 anni e (soprattutto, poco dopo) anche per la fascia di età 0-3 anni, con le fughe in avanti (?) di alcune regioni e province autonome (Veneto, Trento e Bolzano) che hanno ritenuto di riaprire tout court i servizi educativi per l’infanzia (in base a quale quadro di riferimento normativo?).

– dall’altro l’assenza a tutt’oggi di un quadro di riferimento generale relativo alle modalità di riapertura dei servizi educativi e scolastici da settembre 2020.

Le risorse finanziarie straordinarie a sostegno dei gestori privati 0-6 anni

Alla data di oggi è ancora in corso di conversione in legge in parlamento (termine il 19 luglio) il decreto che prevede lo stanziamento di risorse straordinarie a sostegno dei soggetti gestori di nidi e scuole d’infanzia per il periodo di chiusura forzata, che ha comportato – fra le altre cose – un quadro drammatico di mancate entrate con un pericolo evidente per la stessa continuità dei servizi esistenti. I fondi inizialmente previsti per un importo complessivo di 65 milioni di euro (palesemente insufficienti) potrebbero essere aumentati fino a 145 milioni di euro e sembra che la procedura di erogazione preveda a questo scopo la mobilitazione diretta degli Uffici scolastici regionali (per le scuole d’infanzia paritarie, in ragione di un parametro pro capite individuato sul numero degli iscritti a dicembre 2019) e dei comuni (per i soggetti gestori di servizi educativi da 0 a 3 anni, in ragione di un parametro pro capite basato sul numero dei posti censiti dall’Istat).

I fondi “ordinari” del Piano nazionale 0-6 (2020), ma non sol…

I contributi ministeriali previsti per l’attuazione del Piano nazionale 0-6 (D.lgs. 65/2017) per l’anno 2020 sono stati aumentati fino a 264 milioni di euro con una ipotesi di decreto del MI approvata in Conferenza Stato-Regioni- Comuni in data 18 giugno e verranno distribuiti alle regioni sulla base di indirizzi nazionali concordati nell’ambito della conferenza. Resta invariata la procedura vigente per i contributi alle scuole d’infanzia paritarie (a gestione comunale e/o privata), ma resta anche incompiuta quella funzione di monitoraggio a livello nazionale delle modalità di utilizzo e di erogazione di questi fondi a livello regionale e locale, che costituiva uno dei compiti della Cabina di regia prevista dal Piano Nazionale.

In attesa di ulteriori sviluppi verso un obiettivo di integrazione di questi Fondi nel Piano Nazionale, come da richiesta avanzata da Anci Nazionale, ma nel quadro di un più ampia e approfondita riflessione sui criteri di erogazione alle regioni e ai soggetti gestori da parte dei comuni, si continua a prorogare l’intesa relativa alle sezioni primavera. Gli Usr e/o le regioni a seconda dei casi e del tipo di accordi stabiliti a livello regionale provvederanno quindi a istruire i provvedimenti di erogazione.

Il Fondo istituito con apposito DM nel 2017 per la costruzione di poli scolastici (edifici) per bambini da 0 a 6 anni non risulta ancora effettivamente attivato a seguito degli atti programmatori specifici delle regioni che hanno assunto determinazioni varie e diverse sul piano istruttorio. Le indicazioni contenute nel Dm parlavano di un numero di progetti da 1 a 3 per regione. Su questo esiste ora anche una sollecitazione specifica formulata (unitamente ad altre proposte) in un documento articolato in 5 punti e consegnato al premier da nove reti della società civile il 17 giugno 2020.

A tre anni dalla istituzione del bando nazionale per il contrasto delle povertà educativa per la fascia di età da 0 a 6 anni da parte della Impresa sociale “Con i Bambini”, individuata come soggetto gestore dalla Associazione delle Fondazioni Bancarie (ACRI) con una dotazione complessiva di 66 milioni di euro, le iniziative finanziate sono tuttora in corso di attuazione con uno slittamento prevedibile dei termini per la conclusione delle attività al dicembre 2012, in conseguenza del blocco determinato dalla emergenza sanitaria.

Analogamente dicasi per Il provvedimento straordinario assunto nel 2019 dal Consiglio dei Ministri che riguarda le città metropolitane del mezzogiorno (21 milioni di euro) che a sua volta si aggiunge ai residui ancora attivi di fondi europei assegnati nel 2012 dal Governo Monti a 4 regioni meridionali (Campania, Sicilia, Puglia e Calabria).

Il disegno di legge recante misure per le famiglie (Family Act)

Il Consiglio dei ministri in data 11 giugno 2020 ha approvato il disegno di legge comunemente denominato come FamilyAct. Si tratta di un investimento sulle politiche per le famiglie in via di ipotesi decisamente notevole. Che riprende i contenuti di progetti di legge già presentati nella legislatura precedente (Nannicini e Lepri/Del Rio) e intende riordinare un insieme di interventi a sostegno del reddito delle famiglie (varie tipologie di Bonus con diverse destinazioni e regole di erogazione) istituiti negli anni secondo una logica frammentaria.

Il progetto approvato si basa su cinque elementi strutturali:

1) un assegno universale mensile per ogni figlio fino all’età adulta e senza limiti d’età per i figli con disabilità;

2) un forte sostegno alle spese educative e scolastiche delle famiglie, anche per attività sportive e culturali;

3) riforma dei congedi parentali con estensione a tutte le categorie professionali;

4) incentivi al lavoro femminile, dalle detrazioni per i servizi di cura alla promozione del lavoro “flessibile”;

5) forte attenzione ai giovani, con vari interventi a sostegno degli under 35 come ad esempio interventi sulle spese universitarie e per l’affitto della prima casa.

L’idea è quella di sfoltire la giungla dei sostegni esistenti, compattarla e rafforzarla: bonus bebè, premio alla nascita, bonus rette asili nido da soli valgono oltre 2 miliardi. Le detrazioni per spese scolastiche e sport altri 2,2 miliardi, ma bisogna pure considerare (vedi dati fiscali) che le famiglie nel 2018 hanno beneficiato dallo Stato di 25,3 miliardi tra detrazioni, assegni, fondi, bonus. 

Ora comincia la fase più delicata, quella dell’esame parlamentare e poi dell’attuazione (tempo previsto: 2 anni ?). Servirà un ampio sostegno e non sarà semplice; ma si tratta di un impegno che meriterebbe di essere portato avanti fino in fondo in un quadro di interventi più ampio dove il sostegno al reddito si coniughi auspicabilmente con altri interventi di sostegno alla natalità e alla genitorialità e con lo sviluppo del sistema dei servizi educativi e scolastici per l’infanzia.

Se i numeri restassero quelli della proposta Nannicini, la misura costerebbe 9 miliardi di euro. Oltre ad assorbire gli assegni familiari (5,7 miliardi) e le detrazioni per figli a carico (11 miliardi) che oggi non arrivano a tutti. Secondo il Forum delle famiglie una quantificazione realistica delle risorse consentirebbe di recuperare in un triennio circa 30-32 miliardi di euro da destinare alle 5 direttrici indicate sopra.

Il Piano Colao (paragrafo individui e famiglie)

Un approccio di carattere generale e complessivo sembra emergere nell’ambito del paragrafo specifico dedicato a individui e famiglie del Piano elaborato dalla Commissione Colao (vedi schede progetto da pag. 101 a pagina 121). Dopo circa sei settimane di lavoro, svolto per di più nella maggior parte da remoto, ne è uscito un rapporto ampio e articolato, composto di una sintesi di una cinquantina di pagine e di 102 schede operative contenute in 121 pagine di analisi, diagnosi, proposte di azione.

Le proposte specifiche relative al paragrafo su riferito (in tutto 15 schede di lavoro) coprono un ampio raggio di azioni possibili che comprendono fra le altre cose: i presidi del welfare di comunità, il supporto psicologico alle famiglie, i progetti riabilitativi e i servizi territoriali sociosanitari, il sostegno all’occupazione femminile, la conciliazione dei tempi di vita e il sostegno alla genitorialità, compresi i servizi educativi per la prima infanzia.

È qui che compaiono quelli che sembrano allo stato dei fatti i sogni di gloria. Che dire infatti di un obiettivo (esplicitamente formulato senza alcuna articolazione programmatica e di spesa nella scheda 97.I.) nei termini di un aumento dal 25% al 60% dei posti di nido in un triennio? Non sembra molto credibile come non risulta credibile porre un obiettivo svincolato dalla analisi dei processi in atto di erogazione di risorse ordinarie. Più realistico (ma pur sempre da monitorare) il programma contenuto nella legge finanziaria 2020 di un piano decennale a questo scopo.

Purtroppo infatti approccio complessivo non significa di per sé anche approccio sistemico. Le singole schede infatti risultano essere un elenco di proposte fra di loro autonome e collegate secondo un ordine che non indica le priorità, da un lato, nonché tempi e modi di attuazione, dall’altro, senza per altro il corredo necessario di una analisi dei costi di realizzazione.

Da ultimo vorremo anche dire che non basta investire in infrastrutture dedicate e qualificazione del personale. L’esperienza delle regioni del centro nord in cui i servizi per l’infanzia e le famiglie e si sono sviluppati a partire dalla metà degli anni settanta dimostra che è necessaria anche la paziente e tenace costruzione di presupposti di ordine sociale e culturale nei termini di una promozione diffusa di:

– una cultura della emancipazione femminile;

– una cultura sociale del lavoro e dei diritti;

– una cultura sociale della infanzia, dell’educazione e della condivisione delle responsabilità genitoriali.

Conclusioni provvisorie

Insomma il quadro qui sommariamente delineato testimonia che l’insieme delle politiche e delle risorse dedicate all’infanzia andrebbe meglio coordinato e monitorato in un sistema di governance multilivello (ministeri, regioni e sistemi delle autonomie locali ) perchè i problemi sono tanti e complessi, per cui gli obiettivi andrebbero declinati in una logica sistemica e secondo un approccio pragmatico con indicazione delle scadenze e delle priorità.

Tanto più in ragione del fatto che l’ammontare complessivo delle risorse necessarie risulta tutt’altro che irrisorio, ma la sua produttività concreta e reale rispetto ai risultati nonchè la coerenza rispetto alle finalità restano ancora una scommessa da tutta da giocare bene per poterla vincere.

E non pare a questo proposito che il tema possa essere risolto nemmeno nell’ambito degli Stati Generali convocati dal Governo in queste giornate di giugno.