La scuola finlandese: ovvero, l’erba del vicino è sempre più verde?

Come nasce in Italia la fascinazione per la scuola finlandese

Poche cose sono gradite quanto una convinzione che viene continuamente rinforzata da evidenze, soprattutto se quella convinzione riguarda realtà lontane – per motivi geografici e culturali – dalla nostra. È il caso del sistema scolastico finlandese che viene puntualmente citato dai media, dall’opinione pubblica, dai docenti e, in generale, dagli ‘addetti ai lavori’ come modello da cui trarre ispirazione, idee, prassi e metodologie per risollevare le sorti molto meno brillanti della scuola italiana.

In premessa c’è da dire che l’interesse per i sistemi di istruzione stranieri è diventato più costante anche grazie alle indagini internazionali PISA che, dal 2000 (anno della prima rilevazione), hanno permesso di pubblicare gli esiti di ciascuna nazione partecipante, consentendo di conseguenza un confronto addirittura su scala mondiale. Inoltre, il carattere periodico delle rilevazioni internazionali (anche quelle della IEA) consente di monitorare il trend delle prestazioni a più livelli: in primis, nazionale. Da sottolineare che il focus delle rilevazioni PISA non è centrato sui diversi curricoli scolastici (contrariamente alle indagini IEA), bensì intende ‘misurare’ fino a che punto gli studenti quindicenni siano in grado di utilizzare quanto hanno appreso per risolvere problemi della vita quotidiana.

Il “peso” delle rilevazioni OCSE-PISA

La restituzione dei dati raccolti da PISA avviene mediante la pubblicazione di corposi reports contenenti tabelle/grafici/diagrammi/istogrammi che mostrano il posizionamento di ciascuna nazione partecipante. È appena il caso di sottolineare che la scelta di ricorrere a strumenti di sintesi non discorsivi risponde alla necessità di partecipare gli esiti in maniera intellegibile, inequivoca e non a quella di creare classifiche di merito o di valore.

La lodevole chiarezza di questi prospetti fa sì, dunque, che chiunque possa correttamente leggerli e interpretarli, poiché presentano a ‘colpo d’occhio’ i livelli top/low e ‘modest’. Il rovescio della medaglia risiede nel fatto che la sintesi estrema – caratteristica di queste presentazioni grafiche – induce ‘naturalmente’ ad una interpretazione classificatoria. Il problema è che la classificazione, a sua volta, è tutto quel che resta, non solo nei media, di un processo di ricerca pieno di sfaccettature. Dunque, la lettura diacronica degli esiti delle rilevazioni internazionali mostra che gli studenti finlandesi non solo confermano puntualmente le prestazioni da top performers, ma anche una situazione omogenea tra le diverse aree del paese, diversamente da quanto invece storicamente si rileva nel nostro.

Perché la scuola finlandese è un modello di innovazione

L’asse dell’attenzione/interesse verso i sistemi scolastici stranieri, in Italia tradizionalmente centrato per lo più sugli USA e, in generale, sui paesi anglosassoni soprattutto fino agli anni ’80 del secolo scorso, si è spostato da circa venti anni – per le ragioni appena ricordate – verso la Finlandia anche in virtù della sua mirabile parabola ascendente nel giro di pochi decenni.

Il sistema scolastico finlandese, infatti, fino all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso era improntato al modello dell’allora Germania Ovest (BRD), con una breve scuola primaria al termine della quale pochi proseguivano gli studi o iscrivendosi al liceo-ginnasio o scegliendo una formazione professionale in percorsi di breve durata, mentre la maggioranza optava per il lavoro. Fino ad allora dunque i sistemi scolastici di Italia e Finlandia non apparivano molto dissimili tra loro, come non lo erano i risultati e l’esiguo numero di laureati.

Dopo appena poco più di cinquant’anni di indipendenza, nel 1972, ha avuto luogo un deciso cambio di rotta nell’assetto scolastico finlandese che è stato totalmente riformato adottando il modello scandinavo ‘a due livelli’ (nove anni di scuola di base unica e tre anni di insegnamento secondario superiore), nonostante forti opposizioni interne ad un cambiamento così radicale. È negli anni Ottanta, superato un quinquennio di transizione e la fase di estensione graduale della riforma, che viene adottato il nuovo assetto con l’inizio della scuola di base a sette anni e il termine a 16 ed è da questo momento che inizia l’ascesa nei risultati.

Gli elementi “forti” del modello

Il merito del cambiamento in Finlandia consiste anche nell’aver saputo individuare le ‘materie prime’ con le quali ricostruire e cementare in maniera duratura ed utile il sistema:

• per l’apprendimento: personalizzazione, knowing/learning by doing, ricerca, monitoraggio

• per la qualità dei docenti: selezione iniziale, formazione continua, valutazione

• per le scuole: autonomia agita, flessibilità, rendicontazione.

La ‘triangolazione’ dei livelli, unita alla stabilità delle scelte politiche riguardanti la scuola, contribuisce in maniera determinante a rendere solido e affidabile l’intero impianto. Nondimeno, questi pilastri non sono affatto riconosciuti dall’opinione pubblica e dai media italiani per i quali il successo degli esiti della scuola finlandese è da ascrivere alla parte ‘fenomenica’ (didattica innovativa, presenza di digital devices nelle aule, numero contenuto di studenti nelle classi, finanziamenti destinati all’istruzione, ambienti scolastici accoglienti) del processo fin qui descritto, anziché alla parte ‘politica’.

Un ‘locus classicus’: la scuola finlandese è un modello da emulare?

Dunque, il paragone, continuamente evocato da più parti in Italia tra i due sistemi ha generato una affabulazione retorica secondo la quale la scuola finlandese rappresenterebbe il modello salvifico da adottare per la risoluzione dei problemi del nostro sistema di istruzione. A parte le ovvie considerazioni circa la distanza culturale e la diversa composizione del tessuto sociale esistente tra le due nazioni, vale la pena esaminare anche alcuni aspetti meno appariscenti del sistema scolastico finlandese che rendono molto difficile, se non addirittura impraticabile in primis per le conseguenze occupazionali che ne deriverebbero, un adeguamento del modello italiano a quello finnico.

Ritornando al discorso riguardante le rilevazioni PISA, occorre riflettere sul fatto che – in Finlandia – il campione di studenti è omogeneo dato che tutti i quindicenni frequentano ancora la scuola di base. Gli studenti italiani, invece, appartengono a classi tra loro disomogenee poiché in maggioranza frequentano il primo o il secondo anno del biennio dei diversi indirizzi dell’istruzione secondaria di secondo grado, se non addirittura ancora (in situazioni di svantaggio) la terza classe dell’istruzione secondaria di primo grado: il che significa che all’interno di un ciclo così esteso temporalmente non esistono ‘fratture’ e che gli studenti finlandesi affrontano le prove delle rilevazioni internazionali al termine del primo ciclo di studi, a differenza dei loro colleghi italiani che frequentano – per lo più – il primo biennio del secondo ciclo. Terminato questo primo, lungo segmento (fig. 1), arriva il momento delle scelte di indirizzo negli studi che, in Finlandia, vengono compiute a 16 anni – anziché a 13/14 come in Italia – sulla base delle indicazioni orientative che i docenti esprimono sulla base del curriculum dello studente.

Un percorso formativo a misura di studente

Infatti, il percorso scolastico è documentato fin dai primi anni con cura e con la massima attenzione allo scopo di delineare il ‘profilo’ del singolo studente nel suo percorso di crescita, registrandone gli sviluppi, le acquisizioni, la partecipazione, secondo il principio generale ispiratore – sopra ricordato – della personalizzazione di cui veramente è permeato l’intero sistema e che spiega anche come mai l’organizzazione scolastica tra le due nazioni sia completamente diversa:

• in Italia fondata sulla classe, sostanzialmente stabile per la intera durata del singolo ciclo di studi;

• in Finlandia fondata sul gruppo che si compone e si scompone più volte durante l’anno e sulla base delle discipline.

In altre parole, l’alunno in Italia è ancorato al gruppo-classe del ciclo frequentato, mentre in Finlandia, proprio perché inserito contemporaneamente in più classi, è ancorato solo a sé stesso.

Fig. 1: tratta da Commissione Europea/EACEA/Eurydice, 2019. The Structure of the European Education Systems 2019/2020: Schematic Diagrams. Eurydice Facts and Figures. Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, pag. 32.

Una inclusione “parziale”

Per quel che riguarda l’inclusione, si deve subito dire che nelle aule delle scuole finlandesi, durante le ore di lezione curriculari e durante le attività di svago, non sempre gli alunni con disabilità sono presenti. Infatti, esistono ancora classi/scuole speciali e i momenti comunitari sono circoscritti e ben definiti dal team misto di specialisti di cui i docenti fanno parte a titolo non maggioritario. Del resto, è pratica usuale riunire gli alunni con disabilità in piccoli gruppi, o lavorare con il singolo, al di fuori dello spazio-aula durante le lezioni, in una dimensione di apprendimento totalmente diversa da quella quotidianamente praticata nelle aule.

Sempre nel campo dell’inclusione, l’approccio della scuola italiana è sostanzialmente diverso, sia perché, fin dal primo giorno di scuola dell’infanzia, gli alunni con disabilità seguono tutte le lezioni insieme ai loro compagni, sia perché il sistema scolastico italiano attua un modello di inclusione esteso, ‘totale’ per tutti gli alunni con disabilità (anche quelli in situazione di estrema gravità), i cui numeri sono imponenti (oltre 284mila studenti nel 2018/2019: dati ISTAT), di certo non paragonabili a quelli molto più esigui della Finlandia che, come abbiamo già detto, adotta un modello di inclusione ‘parziale’.

L’Italia, dunque, è senz’altro all’avanguardia, mostrando anche una particolare attenzione – fin dai primi anni di scuola – all’avvistamento dei disturbi specifici dell’apprendimento e ai bisogni educativi speciali. Iniziare la frequenza scolastica a 7 anni, come avviene nel sistema finlandese, comporta invece un’osservazione ‘esperta’ non precoce col rischio di provocare ripercussioni sul futuro scolastico.

Il curriculum dello studente

Il numero degli alunni nelle classi rappresenta un altro versante sul quale si ritiene – a torto – che i numeri in Finlandia siano decisamente più contenuti, tuttavia chi ha visitato le scuole finlandesi avrà avuto modo di notare che:

a) il concetto di ‘classe’, come appena detto, è molto diverso dal nostro, nel senso che non esiste un gruppo fisso, poiché la composizione dei gruppi di alunni dipende dalle lezioni da seguire;

b) il numero degli alunni nelle ore delle discipline di base (finlandese, matematica, scienze…) è pressoché identico a quello delle scuole italiane.

È solo in alcune zone scarsamente abitate del territorio nazionale finlandese che le scuole/classi hanno dimensioni molto esigue, tanto da dover prevedere le pluriclassi, proprio come accade in Italia nelle zone interne o nelle piccole isole. Il sistema finlandese punta all’autonomia consapevole degli alunni, al punto che già dopo il percorso di studi del primo ciclo essi scelgono in maniera orientata il proprio curriculum, e di conseguenza selezionano le discipline da frequentare sulla base del proprio percorso.

Autonomia della scuola e professionalità docente

Gli alunni, dunque, costruiscono il proprio futuro fin dalla prima adolescenza in un sistema che li colloca proattivamente al centro del processo di crescita. L’autonomia scolastica è quindi spiccatissima e le scuole sono in dialogo continuo, diretto e aperto con tutte le componenti (familiari, politiche, sociali, produttive, culturali) del territorio, grazie ad una visione dinamica che punta alla qualità realmente diversificata dell’offerta scolastica. Le scelte degli alunni contribuiscono quindi in maniera determinante a costruire la ‘fisionomia’ delle scuole, in un processo bottom-up che in Italia – stante la struttura rigida del nostro sistema – non è praticabile perché un tale approccio presenta evidenti ricadute sulla stabilità occupazionale dei docenti e sulla stabilità della loro permanenza nelle scuole.

Il principio autonomistico viene applicato con rigore in Finlandia, dove la selezione dei docenti è estremamente severa, non centralizzata, e le modalità di assunzione sono stabilite, per ogni scuola, da una commissione formata dal dirigente scolastico, da alcuni docenti e da un rappresentante dell’ente locale.

Questi aspetti che in Italia ostacolano l’innovazione non rappresentano una criticità nel sistema finlandese dove la sua natura totalmente student-oriented, richiede anche di impegnarsi per l’apprendimento continuo da parte dei docenti mediante una formazione altamente qualificata, ad iniziare da quella iniziale (teorico/pratica) presso le Teacher Training Schools, considerata determinante per il miglioramento.

In un sistema con queste caratteristiche, la consuetudine della ‘continuità didattica’ – che in Italia rappresenta invece un valore assoluto – non costituisce un principio di grande rilevanza, anche perché la professione è molto impegnativa, dinamica e sfidante e soggetta ad un processo di valutazione puntuale, obbligatorio e sistematico. La valutazione dei docenti è infatti considerata un elemento serio, determinante ai fini del miglioramento continuo del sistema scolastico ed è ‘affidata’ agli alunni, al dirigente scolastico e ad una commissione di esperti. In un sistema così fortemente autonomistico la qualità professionale dei docenti è ‘la’ chiave di volta sia per creare fiducia verso il sistema e verso i suoi professionisti sia per raggiungere obiettivi di qualità.

Le scelte sul curricolo

Le radicali differenze esistenti tra i due Paesi si manifestano però in maniera ancora più dirompente nelle rispettive culture pedagogiche che orientano le determinazioni politiche, entrambe ben salde sui propri principi ispiratori. Negli obiettivi di apprendimento ed ancor più nelle modalità della loro esposizione è facile riconoscere i rispettivi capisaldi culturali dei due Paesi:

• core-oriented nel sistema finlandese e sottoposti a costanti verifiche, sulla base di bisogni reali per la crescita e la formazione dell’alunno, fin dalla primissima infanzia, come cittadino consapevole, autonomo e responsabile;

• cultural oriented nel sistema italiano, nel rispetto della tradizione culturale italiana fortemente improntata all’acquisizione di saperi disciplinari.

In parallelo, il curricolo finlandese prevede alcune discipline obbligatorie (finlandese, svedese, inglese, matematica, …) e altre opzionali, scelte dal singolo alunno sulla base dei suoi interessi e inclinazioni, mentre il curricolo in Italia ha carattere nazionale ed è ‘tipizzato’ a seconda della tipologia e del livello scolastico. Le attività didattiche in Finlandia hanno una organizzazione modulare di durata diversa da scuola a scuola ed anche tra studente e studente, al termine della quale gli alunni sostengono prove di verifica che possono essere ripetute solo una volta nel caso di mancato superamento. In Italia, la modulabilità resta ancora una aspirazione che si scontra con l’organizzazione centralistica, malgrado siano trascorsi ormai oltre vent’anni dal riconoscimento dello status autonomo alle scuole.

Una sfida per il sistema scolastico italiano

La ricerca di un modello di scuola ‘vincente’ è comprensibile, soprattutto nel caso di un sistema che, come quello italiano, non riesca ad uscire dalla ormai cronica situazione di stallo in cui versa nonostante il susseguirsi delle riforme. Per tutte le caratteristiche sopra menzionate, sembra evidente che ispirarsi al modello finlandese in maniera seria comporterebbe uno sforzo fondativo per la cui realizzazione dovrebbero essere impegnate in maniera convinta tutte le parti, nella piena consapevolezza di operare un cambiamento epocale che dovrebbe portare ad una trasmutazione ‘genetica’ della nostra visione di scuola.

In conclusione, bisogna riconoscere che l’erba del vicino è davvero molto più verde, ma anche che il lavoro di ‘manutenzione’ comporta dei ‘costi’ elevati e che le condizioni di aridità del nostro campo possono migliorare soltanto con un impegno costante e ragionato che riesca ad utilizzare strumenti di base: selezione seria dei docenti, valutazione, formazione continua, autonomia.

La cassetta degli attrezzi è pronta da tanto tempo, ora bisogna usarla.