Posti di sostegno: siamo alle solite?

Un’emergenza senza fine

Non c’è COVID che tenga! Anche quest’anno scolastico le notizie sull’avvio delle attività di sostegno per i disabili sono le solite: ritardi nelle nomine dei docenti di sostegno, allievi “rimandati” a casa per assenza di personale, carenza di personale specializzato, precarietà e discontinuità delle figure. Poiché queste situazioni si presentano puntualmente ad ogni inizio di anno scolastico, evidentemente i problemi sono di natura strutturale e affondano le loro radici non nell’ennesima emergenza, ma in nodi reali mai decisamente affrontati[1].

Vediamo, allora, come stanno le cose e se è possibile prefigurare qualche ipotesi di soluzione per il prossimo futuro.

Intanto non è solo un problema di quantità del sostegno, anche se spesso l’attenzione si sposta verso la “copertura” delle ore di sostegno, che vede spesso magistrati ingegnarsi nel quantificare il fabbisogno di ore o gruppi di lavoro o aziende sanitarie esprimersi su questo aspetto, che richiederebbe una approfondita valutazione del contesto scolastico (con le sue opportunità, le sue risorse, i suoi eventuali limiti) e non solo l’apprezzamento della gravità del singolo caso.

Negli ultimi anni si è andata affievolendo questa consapevolezza ed i dati ci stanno dicendo che si assiste alla tendenza di far corrispondere ad ogni allievo certificato l’assegnazione di un docente di sostegno, con l’ambito rapporto 1:1. Sappiamo però che il processo di inclusione non si identifica con il solo docente di sostegno che, a volte, potrebbe trasformarsi in una sorta di “protesi” per l’allievo disabile (l’immagine è di Andrea Canevaro), che rischia di rendere più difficoltoso lo stesso processo di integrazione, limitandolo al rapporto diadico tra singolo docente e singolo alunno.

Le tendenze in atto

Tab. 1 – Serie storica degli alunni con disabilità e dei posti di sostegno. AA.SS. 2015/16-2019/20

Fonte: Ministero dell’istruzione, settembre 2019. I dati sono riferiti all’inizio dell’anno scolastico 2019-20. Una stima aggiornata al settembre 2020 porta il numero degli allievi disabili a 268.671 e dei posti di sostegno a 152.521 (ma i dati sono in continuo aggiornamento). Ministero Istruzione, Focus “Principali dati della scuola – Avvio Anno scolastico 2020-21”, settembre 2020.

Fenomeno in incremento

Dalla tabella emerge il progressivo aumento di allievi certificati (a fronte di un generale calo demografico), che probabilmente fa seguito ad una migliore capacità del sistema di rilevare le situazioni di fragilità e di provvedere con risorse specifiche. Tuttavia, l’incidenza epidemiologica degli alunni disabili sulla popolazione complessiva è andata costantemente aumentando nel corso degli ultimi dieci anni. Se dieci anni fa (a.s. 2009-10) i ragazzi disabili a scuola erano 181.177 pari al 2,32% della popolazione scolastica, oggi essi sono 268.671 e rappresentano il 3,57 %. Certamente una ragione è dovuta alla prosecuzione degli allievi disabili nella scuola secondaria di II grado, soprattutto in alcuni indirizzi, in particolare negli istituti professionali.

Tab. 2 – Alunni con disabilità. A.s. 2020-2021 e incidenza sulla popolazione scolastica

Grado di scuolaAlunni disabiliAlunni complessiviIncidenza disabili %
Infanzia
19.907

876.232
2,27

Primaria100.434
2.384.026

4,21
Secondaria I grado
70.431

1.612.116
4,36

Secondaria II grado
77.899


2.635.110


2,95

ITALIA268.671
7.507.484


3,57

Fonte: Dati Ministero Istruzione, rielaborati dagli autori

Qualche perplessità, semmai, deriva dal parallelo incremento degli allievi certificati come portatori di DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento). È pur vero che non usufruiscono del supporto di docenti specializzati, ma rappresentano ormai un fenomeno assai diffuso (nell’a.s. 2017-18 ben 276.109 allievi sono stati certificati con DSA), con dati superiori a quelli dei disabili, su cui varrebbe la pena disporre di qualche studio approfondito[2].

Procedure per la certificazione

Un altro elemento che crea perplessità, oltre alla diversa incidenza delle certificazioni nei diversi livelli scolastici, con un picco che si raggiunge nella scuola secondaria di I grado, è la diversa distribuzione delle certificazioni tra le diverse regioni italiane. Si nota cioè che alcune regioni hanno una propensione maggiore di altre nel rilascio di certificazioni (ad esempio, Sardegna, Liguria, Sicilia, Abruzzo, Lombardia viaggiano attorno al 4% rispetto alla media nazionale del 3,57%). Questo ci dice che lo status di “disabilità” si carica immediatamente di una connotazione sociale ed ambientale. Ci segnala anche che i criteri degli specialisti delle ASL sono tra di loro molto difformi; che i sistemi di classificazione (ICD) hanno fatto ormai il loro tempo, ma che anche i nuovi sistemi di riconoscimento della disabilità (in particolare l’ICF, che mette in gioco un approccio socio-psico-biologico) si sganciano da un dato prevalentemente sanitario e si inoltrano sul terreno impervio delle condizione del contesto complessivo in cui si trova un soggetto disabile. Quali saranno gli effetti quando tutto ciò si tradurrà nel rilascio della certificazione amministrativa di handicap, anzi di accertamento della condizione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica, come si legge nell’ultimo decreto legislativo in materia di inclusione (D.lgs. 96/2019)?

I rapporti numerici

Il rapporto numerico tra insegnanti di sostegno ed allievi disabili “seguiti” è pari a 1,72 (se fosse vicino ad 1 ci sarebbe un rapporto individualizzato ad personam). Questo rapporto, tuttavia, è assai ballerino e varia da regione a regione, dal rapporto più favorevole della Sardegna (1,25) a quello più “pesante” della Liguria (un solo docente di sostegno ogni 2,69 alunni disabili). Come interpretare questa disparità nell’assegnazione delle risorse? Sul dato degli alunni certificati pesano certamente i criteri utilizzati dagli specialisti dell’equipe sanitarie nel rilascio delle certificazioni. Sul dato del personale docente, al di là delle diverse tradizioni “ambientali”, potrebbe influire la minore presenza di personale educativo o di figure educative (dipendente dagli Enti locali), la cui carenza viene compensata dall’aumento del personale docente di sostegno.

Tab. 3 – Alunni disabili e loro incidenza. Docenti di sostegno e rapporto numerico adulto: alunni

Anno scolastico 2020-21.

RegioneAlunni disabili
(a)
Alunni complessivi (b)Incidenza %
(a/b)
Docenti sostegno
(c)
Rapporto numerico
(a/c)
Piemonte
16.783


519.466

3,23
11.005


1,52

Lombardia
45.324

1.173.645
3,86*


19.320


2,34

Veneto
17.647


582.355

3,03
9.376


1,88

Friuli Venezia Giulia
4.050


141.042


2,87


1.604


2,52

Liguria
6.852


170.105


4,02*


2.580

2,69
Emilia-Romagna
19.236


547.187


3,51


10.291


1,86

Toscana
16.139


471.724


3,42


10.963


1,47**

Umbria
4.276


115.122


3,71


2.795


1,52

Marche
7.055


205.601


3,43


5.096


1,38**

Lazio
27.529


722.737


3,80

15.801
1,74

Abruzzo
6.691


169.447


3,94*


3.643


1,83

Molise
1.177


36.445


3,22


771


1,52

Campania
30.065


849.737


3,53

15.801
1,90

Puglia
19.284


562.276


3,42

11.353
1,69

Basilicata
1.929


73.899


2,61


1.383

1,39**
Calabria
8.733


268.101


3,25


4.688


1,86

Sicilia
27.986


702.507


3,98*


19.660


1,42**

Sardegna
7.916


196.088


4,03*


6.331


1,25**

ITALIA
268.671

7.507.484
3,57

152.521
1,76

Fonte: Ministero dell’istruzione, settembre 2020 (dati in via di aggiornamento). Note: * Regioni con la più alta incidenza di disabili (in realtà, di certificazioni); **Regioni con la più alta “densità” di docenti di sostegno.

Al di là di numeri più o meno favorevoli la differenza che conta è quella della qualificazione del personale docente. Il rapporto tra posti coperti da titolari e posti coperti da supplenti ormai si avvicina al 50% per ognuno dei due gruppi. E spesso il personale precario, con supplenza annuale, è privo del prescritto titolo di specializzazione (nella misura del 20-25%, secondo le stime di “Tuttoscuola”). Questo spiega, ma non giustifica, il ritardo nelle nomine ed il tasso di avvicendamento e discontinuità nella presenza in classe.

La qualità dell’integrazione

Sono ormai passati dieci anni dall’indagine sulla qualità dell’integrazione, realizzata da un gruppo di associazioni (Fondazione Agnelli, Treellle, Caritas)[3] in cui si mettevano in evidenza i pregi ma anche le criticità dell’inclusione nel nostro Paese, ove alle belle parole spesso non seguono concrete realizzazioni. Sarebbe ormai il tempo di replicare quella ricerca e di inserire pienamente la voce “inclusione” tra gli indicatori di qualità di una scuola “normale”, come prevede per altro anche il RAV-Rapporto di Autovalutazione (DPR 80/2013).

L’aggiornamento dell’analisi sarebbe quanto mai utile anche per capire cosa è successo nel mondo della disabilità al tempo del Covid-19. Ragazzi e genitori confinati per tempi lunghissimi in casa hanno certamente fatto venir meno tante opportunità di crescita, socializzazione e apprendimento legate all’esperienza dell’integrazione scolastica. E non è facile valutare il peso e l’efficacia della didattica a distanza (DAD) e delle relazioni educative che si è riusciti a mantenere durante il lockdown, anche se vengono alla luce molti buoni esempi di legami educativi mantenuti ed anzi rafforzati con il supporto delle tecnologie digitali, spesso un inedito canale di comunicazione diretta[4].

Un po’ stiracchiate sono apparse alcune misure di emergenza adottate, ad esempio con la possibilità di “non” ammettere alla classe successiva l’allievo disabile (perché solo lui?) o la previsione di rafforzare l’istruzione domiciliare con impegni in capo al personale docente ed educativo. Una misura di difficile realizzazione viste le restrizioni sanitarie. Fa ben sperare la precisa indicazione del Ministero (Piano Scuola 2020-21) di garantire agli allievi disabili la frequenza in presenza, anche in caso di turnazioni o ricorso alla didattica a distanza. La frequenza scolastica è l’elemento primario per garantire il diritto all’istruzione e alla socialità agli allievi disabili. Ci si aspetta, allora, che l’integrazione avvenga nel migliore dei modi possibili, rimuovendo gli ostacoli che ogni anno sembrano limitare e condizionare tale diritto.

Proposte per superare le attuali criticità

Ci permettiamo, in conclusione, di formulare alcune ipotesi di intervento, corredate di qualche notazione critica (in corsivo).

1. Incrementare il numero di posti di sostegno in organico stabile (di diritto) facendolo coincidere, a grandi linee, con i posti effettivamente necessari ed attivati. I posti in organico di diritto per l’a.s. 2020-21 sono 101.164 (di cui coperti da titolari, prime delle nuove nomine 79.679) ma il fabbisogno oscilla attorno alle 152.000 unità ed oltre.

Ovviamente questa proposta dovrebbe essere calibrata in relazione ad eventuali cambiamenti rispetto alla qualità interna dell’organico. Ad esempio, l’eventuale adozione della cattedra mista (con orario suddiviso tra sostegno e insegnamento curricolare) oppure la previsione di personale docente ad alta specializzazione (ma con funzioni da articolare su più scuole) oppure il rafforzamento di personale educativo qualificato, con orari di servizio che sono più ampi.

2. Adottare modalità più rapide per l’espletamento delle procedure di immissione in ruolo sui posti vacanti, attraverso l’indizione tempestiva dei concorsi o l’adozione di procedure semplificate di assunzione in ruolo per personale con titoli e servizio (concorsi riservati).

Le notizie ad ora disponibili ipotizzano che solo il 10% dei posti di sostegno offerti per le nomine in ruolo con decorrenza 1° settembre 2020 (circa 21.000) sarebbero stati “coperti, causa graduatorie esaurite, mancanza di candidati, soprattutto nelle regioni del Nord. In Parlamento sono stati depositati numerosi emendamenti per agevolare l’assunzione in ruolo del personale con titolo di specializzazione sul sostegno acquisito con percorsi pubblici selettivi (TFA universitari), ma non sono stati accolti. Si potrebbe tornare alla procedura di un doppio canale (metà posti per concorso-ordinario, metà posti dalle graduatorie-concorsi riservati). Intanto i prossimi concorsi ordinari metteranno a bando 18.280 posti di sostegno.

3. Stabilizzare la presenza del personale specializzato di ruolo sui posti di sostegno. Ora, dopo 5 anni di permanenza nel ruolo, è possibile ottenere un passaggio quasi automatico sulla cattedra di insegnamenti curricolari. Questo determina un turnover annuale di personale che lascia il sostegno, sostituito in genere da personale precario e spesso senza titolo.

La “fuga” da sostegno è certamente un segnale della faticosità di questa mansione, ma anche delle scarse gratificazioni di un ruolo spesso considerato di minor pregio. Occorre dare dignità a questa funzione, anche attraverso generosi riconoscimenti economici, l’ampliamento delle responsabilità, l’attribuzione di funzioni di coordinamento, tutoraggio, formazione, da attribuire ai colleghi di sostegno più preparati, motivati e anziani sul ruolo. L’ipotesi della cattedra mista potrebbe ovviare in parte a questa sottovalutazione della funzione. Resta sempre sullo sfondo la proposta di prolungare il periodo di permanenza nel ruolo di sostegno (ad esempio, portandolo a 10 anni).

4. Anticipare le procedure per il rilascio delle certificazioni e della documentazione necessaria per l’attivazione dei posti. Oggi, in molti casi, le “deroghe” (un fenomeno comunque da contenere) vengono definite ad anno scolastico abbondantemente avviato, con tutte le conseguenze del caso.

La normativa (D.lgs. 66/2017) aveva previsto una sede tecnica (il Gruppo interistituzionale territoriale) in cui esaminare le richieste di sostegno, collegarle non solo alla condizione di gravità, ma al tipo di progettazione predisposto dalla scuola: ad esempio, un conto è la riduzione del numero degli alunni, altro la quantità del sostegno, altra la presenza di altre figure educative, altro ancora l’analisi del contesto classe, ecc. In mancanza di una sede tecnica (ora abolita dal D.lgs. 96/2019), l’assegnazione del sostegno rimarrà ancorata ad un calcolo matematico di gravità e di posti disponibili, disincentivando la progettualità per l’inclusione.

5. Rendere più trasparenti le procedure per l’attivazione dei posti universitari per l’acquisizione del titolo di specializzazione, facendo corrispondere la disponibilità di posti alle esigenze effettive del territorio.

I posti di specializzazione sono fissati con decreto del Ministro dell’Università sulla base delle richieste degli Atenei. È imbarazzante scoprire enormi differenze tra le Università (Enna: 1.000 posti disponibili, Bologna: 0 posti). Di fronte a questo fenomeno c’è chi chiede l’attivazione di percorsi formativi completamente dedicati al lavoro educativo sul sostegno e non come specializzazione da acquisire successivamente alla laurea “disciplinare”. Va da sé che la proposta configurerebbe due carriere nettamente separate (docenti di sostegno e docenti curricolari).

6. Rafforzare i compiti del personale educativo (assistenti all’autonomia, assistenti per la comunicazione, figure di mediazione, ecc.) e attribuire con più sicurezza compiti di natura assistenziale al personale ausiliario, con riconoscimento di un “gradino” contrattuale più elevato.

Quando si verifica una scarsa presenza di tale personale, di rimbalzo cresce la domanda di insegnanti di sostegno. Da alcune parti si richiede la statizzazione del personale educativo, che oggi è fornito dagli enti locali con “esternalizzazione” alle cooperative di servizi, determinando una notevole precarietà della condizione lavorativa. Occorre soppesare vantaggi e svantaggi di questa eventuale operazione, in termini di maggiore stabilità, ma anche di possibile “rigidità” dell’utilizzazione del personale statizzato (orari, mansioni, mobilità).

7. Rendere più incisive le attività di formazione, consulenza, supervisione professionale per tutte le figure (docenti curricolari, docenti di sostegno, educatori, ecc.) impegnati nei processi di integrazione scolastica, in modo da evitare la scontata “delega” dell’integrazione al solo docente di sostegno.

Come è noto le attività di formazione in servizio, benché la norma ne preveda l’obbligatorietà (Legge 107/2015), sono ancora affidate ad una incerta negoziazione con le organizzazioni sindacali (attraverso un contratto integrativo annuale), ed alla delibera del Collegio dei Docenti sul “Piano di formazione di istituto”. Proponiamo anche che la frequenza di moduli brevi o corsi specifici sulla didattica inclusiva sia valorizzata come “credito formativo” (cioè un bonus per agevolare l’acquisizione del titolo di specializzazione. La formazione in servizio, ancorché obbligatoria, dovrebbe essere sempre incentivata e riconosciuta (in carriera).

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[1] G.A.Stella, Sostegno tradito, in Corriere della Sera-Buone Notizie, 15 settembre 2020.

[2] MIUR, I principali dati relativi agli alunni con DSA. 2017-18, Miur, giugno 2019.

[3] Fondazione Agnelli, Treellle, Caritas, Gli alunni con disabilità nella scuola italiana: bilancio e proposte, Erickson, Trento, 2011.

[4] M.Dugheria, Buone pratiche per l’inclusione: dalla distanza alla presenza, in www.scuola7.it , n. 191 del 29 giugno 2020.