Fare scuola a giugno?

A chi, come e con quali strumenti

Vivere periodi storici complessi come l’attuale è difficile per tutti. Non esistono scorciatoie. Non ci sono soluzioni “standard”. Bisogna attraversarli, perseverare nei comportamenti responsabili, di prevenzione e di gestione dell’emergenza.

Attraversare la complessità significa anche evitare contrapposizioni plastiche fra punti di vista diversi, come sta accadendo sulla ormai abusata questione di un prolungamento dell’anno scolastico fino a fine giugno.

La fotografia delle scuole italiane non è certamente omogenea

Chi predica l’inefficacia della didattica a distanza, chi rivendica un impegno lavorativo oltre l’immaginabile, chi lo ritiene insufficiente, chi pesa in termini quantitativi gli apprendimenti mancati. Eviterei le considerazioni apocalittiche (di chi misura i “pezzi di apprendimento” in termini solo quantitativi) e quelle più superficiali troppo legate a interessi di bottega (chi le misura solo dal lato dei docenti e mai dal lato degli studenti).

Cominciamo col dire che esistono forti differenze fra regioni e fra cicli scolastici. Ci sono alunni che stanno frequentando con regolarità (nel primo ciclo), quotidianamente, grazie alle procedure igieniche, al distanziamento e alla solerzia del personale della scuola, tutto. Non è così o non è stato così in tutte le regioni, ma nella maggior parte sì.

Diversa la questione nel secondo ciclo, dove la didattica digitale integrata ha avuto ed ha efficacia diversa a seconda dei contesti, delle metodologie, delle situazioni logistiche e delle competenze tecniche e didattiche dei docenti. In molti professionali sono stati garantiti alcuni laboratori in presenza (una delle maggiori lacune per i nostri ragazzi in questa epoca pandemica) ma la frequenza è stata sicuramente meno continua, sappiamo anche per problematiche legate ai trasporti.

La fotografia complessiva è comunque molto meno omogenea di quella che si dipinge e mancano, in realtà, misurazioni dei livelli di apprendimento degli alunni dopo un anno e mezzo di didattica integrata.

Didattica “blended” e difficoltà di apprendimento

Manca anche un resoconto serio e rigoroso della progettazione dei docenti, che hanno faticato molto ad entrare nell’approccio metodologico di una didattica “blended”, anche per le indicazioni ministeriali troppo poco incisive e di piccolo orizzonte.

Gli alunni che più hanno sofferto e soffrono sono quelli già in difficoltà per motivi legati al contesto socio culturale, linguistico, ai disturbi e alle difficoltà di apprendimento. Gli altri riescono a seguire con risultati eterogenei a seconda della loro applicazione e dell’efficacia della mediazione didattica, anche a distanza.

Sicuramente la distanza ha aumentato il gap fra chi andava meglio già prima e chi arrancava.  Ha tuttavia solo reso più evidente il deficit della nostra scuola perché questo è da decenni l’abisso da cui non riusciamo ad emergere. Senza scomodare troppo don Milani, la didattica a distanza ha reso ancora più visibili i malati, ma anche come le nostre metodologie e la nostra organizzazione rigida rendano complicatissimo accompagnare questi alunni verso il successo formativo. Ovviamente, questo non significa che se il male c’era prima ed i sintomi sono solo più evidenti, non ce ne dovremo prendere carico. Lo dovremo fare trovando strategie diverse da quelle che ci hanno portato fin qui, altrimenti è un accanimento di terapie sbagliate.

Le competenze informali e non formali in lockdown

Cosa sta davvero mancando ai nostri studenti? Certamente le uscite sul territorio, la voce di esperti che portino in classe il mondo circostante, le gite scolastiche, le uscite in biblioteca, la collaborazione e il lavoro a gruppi, la fisicità, la motricità, lo sport, la dimensione affettiva, l’uscire di casa e lo sperimentarsi lontani dalla famiglia di origine, i concerti, il cinema, il teatro, i gruppi di studio, le “pizzate” serali, la vita normale di un preadolescente e di un adolescente.

Più che le competenze formali, a questi ragazzi stanno mancando come il pane quelle informali e non formali.

Inutile chiedersi quanto questo deficit agisca sulle motivazioni e sulla strutturazione e lo sviluppo delle competenze formali, perché la risposta è scontata. Per questo non credo che un recupero quantitativo di ore calato dall’alto possa costituire tout court un riscatto dalle difficoltà e dagli insuccessi formativi di questo anno scolastico. La questione non si riduce ad un dato contabile.

La scuola nel pieno di una pandemia insegna qualcosa di nuovo

Chiediamoci anche se i nostri studenti, in questa scuola della pandemia, stanno imparando qualcosa che prima non imparavano abitualmente. Sì, stanno imparando e parecchio: il senso della collettività e del rispetto, ma anche il senso di una comunità che cerca di reagire ad un’epidemia, di una scuola che continua ad assicurare proposte e percorsi di apprendimento. Stanno prendendo dimestichezza con l’approccio al digitale e alla rete, non intesi come il paese dei balocchi, ma come strumento culturale, di conoscenza e di creatività. Stanno verificando come sia possibile collaborare a distanza, pianificare a distanza, costruire in sincrono accedendo per la prima volta in una dimensione di Infosfera nella quale necessariamente dovranno sempre più tuffarsi in profondità e riemergere. Ancora, stanno sperimentando una maggiore autonomia anche organizzativa e si ritrovano spesso a dover risolvere problematiche nuove, non ultima quella di superare ansie e paure legate allo stare in casa per intere giornate. 

Il tempo che stiamo vivendo e la reazione collettiva anche della scuola alle difficoltà ci portano inevitabilmente ad agire competenze e a sviluppare conoscenze e capacità differenti da quelle della normalità scolastica. Di questo “pieno” non si parla mai, si tende solo a misurare i “vuoti”. Eppure è un “pieno” che andrebbe valorizzato, anche attraverso la maturazione, nelle nostre scuole, di una maggiore consapevolezza e determinazione a vivere questa fase al massimo delle possibilità di ognuno.

Tre azioni complementari e urgenti

Alla luce di tutto ciò, si possono individuare tre direzioni possibili, non alternative ma complementari.

  • La prima, quella di mappare seriamente e rigorosamente i bisogni dei nostri ragazzi, per predisporre recuperi efficaci non solo nei mesi estivi, a giugno e luglio, ma già da ora.  Non un’appendice di un tempo scuola generica ma una strutturazione di un “pronto soccorso” diffuso, che stimoli il recupero di livelli di apprendimento per gli alunni da sostenere e supportare.
  • La seconda, quella di aiutare il recupero dell’informale e del non formale, attraverso esperienze sul territorio, uscite, passeggiate nella natura, vita sociale, uscendo dalla scuola e andando ad incontrare esperienze pratiche, di relazione, di vissuto, di testimonianza, di contatto con l’archeologia e l’arte, la storia e la letteratura, l’astronomia e la scienza, lo sport la salute, l’ambiente e la musica. Manca poco alla primavera, facciamo rinascere anche questa scuola. Non importa aspettare giugno (ma nemmeno esaurirle a giugno) per proporre queste due azioni che andrebbero sempre più incentivate e integrate nel quotidiano, coinvolgendo non solo la parte docente ma anche le risorse umane dei territori, delle associazioni e delle cooperative sociali, delle istituzioni.
  • La terza direzione, finché siamo ancora a tempo, ripensare anche la didattica digitale integrata in un modo più innovativo e coinvolgente, imparando ad accompagnare gli alunni in percorsi di apprendimento ridisegnati in modalità blended. Accompagnarli non solo come docenti (istituendo anche la figura di un tutor degli apprendimenti che sostenga gli alunni e di un diario di bordo in cui dare loro spazio in termini metacognitivi e di consapevolezza) ma anche con i materiali/attività predisposti ad arte dai docenti, come in una palestra attrezzata.

La necessità di una regia

Forse dal ministero serve più coraggio a dare linee di indirizzo più incisive anche in questa direzione. Occorrerebbe anche orientarsi con più velocità verso la fruizione di learning objects più accessibili. Su questo tema si apre un capitolo nuovo del nostro dibattito, quello degli editori, dei libri di testo in digitale e delle espansioni online. Nessuno ne parla ma la qualità e la fruibilità dei contenuti, in integrazione con le piattaforme scolastiche, non può essere un tema secondario. È tempo di una maggiore interoperabilità fra ambienti digitali e di accessibilità e funzionalità degli stessi e dei loro contenuti.