Il nuovo governo e le scelte per la scuola

Uno sguardo oltre la pandemia

A partire dal suo insediamento il nuovo governo sembra voler lanciare uno sguardo “lungo” sulla scuola, sebbene ancora prigioniera del tira e molla sulle chiusure/aperture, dovute alla pandemia. È la prima volta che un Presidente del Consiglio nel suo discorso al Parlamento per la fiducia entra nel merito dei principali problemi del nostro sistema scolastico, accennando a scelte risolutive.

Un Ministro “competente”

È anche la prima volta che viene nominato come ministro dell’Istruzione una figura che, alla competenza di economista, ha aggiunto quella di assessore regionale e di professionista impegnato nella formazione avendo anche coordinato il “Comitato degli esperti”, voluto dal precedente inquilino di viale Trastevere. Va ricordato che il Comitato ha prodotto il rapporto “Idee e proposte per una scuola che guarda al futuro” che oggi potrebbe costituire la base per ripensare in maniera efficace ad un nuovo sistema scolastico e formativo.

Andare oltre le scelte attuali

Proviamo dunque ad andare oltre l’emergenza sanitaria che tocca ingiustamente la scuola sia perché non ci sono dati epidemiologici precisi che la riguardano, sia per le scelte autonome delle regioni e degli enti locali. Non sempre tali scelte sono andate a sostenere le attività della scuola e a promuoverne la sicurezza mettendo in atto “patti educativi territoriali”. Non sempre hanno aiutato le famiglie ad assumere comportamenti responsabili ed i servizi (trasporti, mense, ecc.) ad agire in senso preventivo nei confronti del contagio. Speriamo quindi che le vaccinazioni degli operatori servano ad infondere maggiore tranquillità e favorire una definitiva ripresa.

Un calendario flessibile

Sebbene la situazione sembra circoscrivere il dibattito sulla didattica a distanza, il Presidente del Consiglio parla di allineamento del calendario scolastico alle esigenze derivanti dall’esperienza vissuta, facendo pensare ad una maggiore flessibilità dello stesso, riferito più all’autonomia degli istituti che alla burocrazia statale o regionale, alla possibilità di effettuare recuperi di competenze in diversi periodi dell’anno. Ma questa indicazione organizzativa è finalizzata ad un miglioramento della qualità riferita agli standard europei, con innesti di nuove materie e metodologie che coniughino le competenze scientifiche con quelle umanistiche e del multilinguismo.

Una nuova formazione per i docenti

Il richiamo ad investire nella formazione del personale fa capire che un titolo di studio di base più pochi crediti di carattere pedagogico-didattico non possono bastare per coloro che non vantano esperienze di insegnamento: scuola e università devono andare insieme per assicurare una efficace professionalizzazione, magari con un tirocinio che assicuri contemporaneamente una remunerazione. Vi sono infatti profonde differenze tra il 2000 in cui sono nati i ragazzi e il 1900 in cui si sono formati i loro insegnanti.

Un’istruzione tecnica all’altezza dei tempi

Il cantiere dunque è aperto, per l’innovazione dei curricoli e una didattica più efficace che superi l’antinomia tra la formazione generale e professionale, valorizzando l’istruzione tecnica sia a livello secondario che superiore, capace di sostenere i profondi mutamenti delle richieste del mercato del lavoro, che a fronte di nuove professionalità necessita di competenze generali. Ciò potrà rendere più equilibrata l’offerta formativa che non rinvii semplicemente la professionalizzazione all’università, ma assecondi una motivazione precoce dei giovani verso i saperi tecnologico-operativi, che consentono di entrare in rapporto diretto con le aziende, anche mediante percorsi di alternanza, da consolidare negli istituti tecnici superiori o nelle stesse università.

Competenze chiave e apertura al territorio

Ci sono le competenze chiave per l’apprendimento permanente, associate al quadro europeo delle qualifiche, che costituiscono il livello di accettabilità dei risultati nel confronto tra i Paesi dell’Unione, ma anche i pilastri per contrastare l’esclusione e indirizzare un nuovo sviluppo sostenibile. Ma le scuole devono aprirsi al territorio. È un modo per valorizzare tutti gli ambienti di apprendimento e rendere flessibili gli spazi didattici, per rispondere a bisogni educativi che mutano nel tempo, per assicurare un servizio alle comunità locali ed una azione educativa personalizzata lungo tutto l’arco della vita.

Uguaglianza dei traguardi formativi

Primaria resta la questione dell’uguaglianza dei traguardi formativi pur in situazioni di partenza differenti. È un obiettivo che con la pandemia è diventato più lontano: è aumentata negli ultimi tempi la dispersione scolastica e la percentuale dei NEET (Neither in Employment or in Education or Training). La flessibilità dei percorsi e l’autonomia delle Istituzioni scolastiche sono condizioni di partenza per le competenze chiave e per le pari opportunità. È importante un servizio educativo fortemente radicato nel territorio, non solo per l’occupazione, ma per una cittadinanza consapevole, ed anche per garantire il diritto alla salute con la presenza di figure specializzate.  

Misure per cambiare la scuola e i risultati degli studenti

Da dove cominciare dunque: da un lato costruire un umanesimo tecnologico, attraverso percorsi integrati tra istruzione e formazione professionale, e, dall’altro, contrastare il fallimento dell’azione educativa, concentrato dove ci sono i più poveri, nelle periferie del Paese. Investire nella qualità degli ambienti di apprendimento, interni ed esterni alle scuole, con una maggiore presenza nelle aree fragili e a rischio, fino a considerare il territorio e le stesse imprese come comunità educanti. Organizzare i poli formativi per i servizi all’infanzia e gli istituti comprensivi fino al termine del primo ciclo.

Vanno superati i curricoli enciclopedici e frammentati in tante discipline e promossa la didattica per competenze; i docenti devono operare secondo la logica del team teaching. Il Rapporto del Comitato degli esperti, presieduto dall’attuale Ministro, parla di problematizzare l’insegnamento e contestualizzare l’apprendimento, di offrire agli allievi esperienze di cittadinanza responsabile. La valutazione dovrà motivare gli studenti ad apprendere mediante l’apprezzamento dei progressi effettuati e l’indicazione dei livelli raggiunti.

Il tempo scuola andrà scandito con nuclei fondamentali del sapere, attività complementari-laboratoriali con funzione motivante e integrative-opzionali, da sviluppare in ambito scolastico o sul territorio, per personalizzare ulteriormente il curricolo. Non potrà mancare l’orientamento con figure di tutoraggio.

Il Ministro Bianchi ha fatto a volte riferimento ad una via italiana al sistema duale attraverso esperienze di alternanza scuola-lavoro e apprendistato, con la certificazione delle competenze, comprese quelle non formali ed informali, facendo particolare attenzione alle competenze chiave e all’educazione all’imprenditorialità, valorizzando i laboratori interni alla scuola ed esterni, come i “laboratori territoriali per l’occupabilità” (vedi anche legge 107/2015).

Si può migliorare a partire da quello che c’è

C’è molta carne al fuoco per un governo che potrebbe essere ingabbiato dalle conseguenze della pandemia, ma sembra volersi adoperare per imprimere al sistema scolastico e formativo una spinta e collegarli al cambiamento sia sul piano economico che sociale. Non si tratta di grandi riforme costruite dall’esterno, ma di usare ciò che è già presente nel nostro ordinamento secondo un processo di rinnovamento culturale e didattico, che deve coinvolgere la politica, le professionalità impegnate nel settore e più in generale la società civile.